Pita Limjaroenrat Move Forward

La Thailandia vota per il cambiamento, ma resta lo spettro dei militari

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Il Move Forward ha vinto le elezioni in Thailandia smentendo i pronostici che a lungo hanno ritenuto il Pheu Thai il partito dominante. I due hanno già deciso di unirsi in coalizione, ma la netta maggioranza ottenuta alla camera non basta. Il senato nominato dai militari potrebbe non appoggiare il governo democratico, aprendo a una serie di scenari che rimetterebbero l’esercito al centro della politica thailandese

L’opinione diffusa tra gli analisti che si occupano di Thailandia è che i sondaggi elettorali non siano così affidabili. Sia per il metodo di raccolta dei dati (prevalentemente online), sia per la distribuzione del campione, che proviene soprattutto dalle città, da Bangkok in particolare. E infatti i sondaggi si sbagliavano. La crescita del Move Forward nelle intenzioni di voto delle ultime settimane veniva ritenuta credibile, ma forse sopravvalutata. Invece il partito di Pita Limjaroenrat ha vinto le elezioni del 14 maggio con un discreto margine sul Pheu Thai, secondo, e ha già formato sulla carta una coalizione per guidare la Thailandia in base alla propria agenda politica, focalizzata su riforme costituzionali e istituzionali che promettono di scuotere la struttura di potere del paese. Proprio per questo, però, vedere governare il Move Forward non sarà così semplice.

La storia della Thailandia degli ultimi cento anni è una storia di colpi di Stato, riusciti (13) e falliti. L’ultimo del 2014 ha prodotto – grazie alla nuova costituzione redatta dai militari nel 2017 – il sistema politico tuttora vigente, sbilanciato a favore di uno status quo che tutela l‘establishment filo-monarchico e filo-militare. Domenica i thailandesi hanno votato per eleggere i 500 deputati della camera bassa del parlamento, ma non i 250 membri del senato, nominati invece dall’ormai defunto Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, cioè la giunta militare che ha guidato il paese dal golpe del 2014 alle elezioni del 2019.

Secondo quanto previsto ad hoc dalla costituzione, fino al 2024 i senatori hanno il potere di partecipare alle votazioni del parlamento per la nomina del primo ministro. Condizione che nel 2019 ha permesso al generale golpista Prayut Chan-o-cha di restare al potere nonostante il partito che lo aveva candidato, il Palang Pracharat (PPRP), fosse arrivato secondo alle elezioni. E che oggi mette potenzialmente in minoranza il fronte democratico guidato dal Move Forward sebbene abbia ottenuto una netta vittoria alle urne.

LA COALIZIONE

Il partito guidato da Pita ha ottenuto un totale di 152 seggi (uno in più rispetto a quanto previsto inizialmente), battendo quella che si riteneva la principale formazione pro-democrazia, il Pheu Thai di Paetongtarn Shinawatra, che ha eletto 141 deputati. Tra gli scenari ipotizzati, sia prima che dopo il voto, si riteneva che il Pheu Thai potesse scegliere di allearsi con i partiti filo-militari e conservatori nel tentativo di formare un governo di compromesso. Nella giornata di lunedì però il partito ha smentito questa ipotesi, e Pita ha dichiarato ufficialmente la nascita sulla carta di una coalizione che coinvolge altri quattro partiti, oltre a Move Forward e Pheu Thai: il Prachachart (9 seggi), il Thai Sang Thai (6), il Seree Ruam Thai (1) e il Fair Party (1).

I 310 seggi della coalizione sono più che sufficienti per arrivare a una maggioranza alla camera, dove il PPRP ha eletto 40 deputati e il “nuovo” partito di Prayut, lo United Thai Nation (UTN), 36. Ma sono meno dei 376 necessari per formare un governo senza che il voto dei senatori risulti decisivo. L’idea di Pita e dei suoi è che il mandato popolare ricevuto sia troppo forte, e che il senato non voterà in massa per impedirgli di governare. In caso contrario «chi sta pensando di abolire i risultati elettorali o formare un governo di minoranza pagherà un prezzo piuttosto alto», ha dichiarato nella conferenza stampa di proclamazione della vittoria. Il leader del Move Forward ritiene l’ipotesi appena descritta «inverosimile», ma qualche senatore ha già detto che non lo sosterrà come primo ministro.

Per questo potrebbe risultare fondamentale il terzo classificato alle elezioni, il Bhumjaithai (BJT) di Anutin Charnvirakul, che ha ottenuto 71 seggi. Anutin è il ministro della Salute uscente del governo guidato dal PPRP, però il suo è un partito di centro, non anti-establishment ma nemmeno schierato completamente dalla parte dei militari. Per ora Pita ha dichiarato che «non è necessario» coinvolgere il BJT, ma le cose potrebbero cambiare. Intanto il leader del Move Forward – che si dice «pronto a diventare il trentesimo primo ministro della Thailandia» – sta preparando un memorandum d’intesa per la coalizione. Una sorta di “contratto di governo” nel quale quale verrà delineato il programma delle cose da fare durante il primo anno dell’esecutivo al potere.

IL PROGRAMMA

Ci sono infatti diverse questioni sulle quali i partiti devono mettersi d’accordo. La coalizione è formata da chi ha condiviso gli ultimi quattro anni all’opposizione, ma i rapporti, specialmente tra Move Forward e Pheu Thai, hanno avuto alti a bassi. Il tema fondamentale è senza dubbio quello che riguarda l’articolo 112 del codice penale thailandese, cioè la “legge sulla lesa maestà” che prevede fino a 15 anni di carcere per chiunque «diffami, insulti o minacci» i membri della famiglia reale.

Il Move Forward ha tra i suoi candidati diversi dei manifestanti accusati di lesa maestà per il loro ruolo nelle manifestazioni democratiche e anti-monarchiche del 2020-21, e a lungo Pita ha espresso la sua volontà di abrogare la legge. Con l’avvicinarsi delle elezioni la posizione del partito si è ammorbidita, ma l’intenzione di emendare e depotenziare la norma rimane, ed è stata confermata dallo stesso leader in diverse dichiarazioni post-vittoria.

Nonostante sia stata smussata, resta una posizione radicale nel contesto thailandese: la monarchia è tra le più potenti al mondo ed è fonte di legittimità politica (il re deve approvare la nomina del primo ministro), nessun altro grande partito ha osato metterla in discussione così apertamente. Alla conferenza stampa in cui il Pheu Thai ha annunciato di aver accettato di unirsi alla coalizione, Pateongtarn ha detto che il partito «non sosterrà l’abolizione dell’articolo 112», ma che «si può discutere in parlamento su come applicarlo in modo efficace».

Ma il programma del Move Forward va oltre la questione monarchica. Il partito ha proposto anche l’organizzazione di un referendum per eleggere un’assemblea costituente che riscriva la costituzione, sostituendo quella di matrice militare del 2017 e limitando così l’influenza e il potere dell’esercito nella politica thailandese. C’è poi la volontà – questa condivisa con il Pheu Thai – di cancellare la coscrizione obbligatoria, di produrre una legge anti-monopolio, innalzare il salario minimo giornaliero da 330 a 450 baht (da 9 a più di 12 euro) e legalizzare i matrimoni gay. Sulla marijuana, invece, il Move Forward vorrebbe limitarne l’utilizzo ai soli scopi medici.

Per quanto riguarda la politica estera, Pita propone di fatto il non-allineamento tra Stati Uniti e Cina, richiamando però alla «diplomazia fondata su regole» da rispettare. Ha condannato l’aggressione della Russia in Ucraina, e sul Myanmar ha detto che la Thailandia dovrebbe collaborare con la comunità internazionale così che il popolo birmano possa «risolvere il proprio conflitto». Anche questa una posizione di fatto distante dai vertici dell’esercito thailandese, che hanno sempre mantenuto un rapporto di ambiguità con la giunta militare del Myanmar.

GLI SCENARI

I piani del Move Forward non possono che non piacere all’establishment di potere tradizionale. Secondo fonti del Thai Enquirer, già prima delle elezioni parti del fronte conservatore avrebbero iniziato a costruire un caso per portare allo scioglimento del partito. Dopo qualche giorno Pita è stato accusato di detenere circa 42.000 azioni di ITV, un’emittente thailandese che ha chiuso nel 2007 ma la cui registrazione rimane ancora attiva. Sarebbe una violazione delle leggi elettorali (che vietano ai candidati al parlamento di avere partecipazioni in società dei media), e nel peggiore dei casi potrebbe portare a una squalifica del candidato e del partito. Pita si dice tranquillo, ma per un contenzioso simile il precedessore de facto del Move Forward, il Future Forward, è stato sciolto nel 2020 e i suoi vertici banditi per dieci anni dalla politica.

A indagare sulla vicenda sarà la commissione elettorale, organo solo formalmente indipendente, ma i cui membri sono stati nominati dai militari. Nel caso in cui l’esercito volesse rovesciare il risultato delle elezioni, al momento si ritiene che è più probabile che lo farà passando per la via giudiziaria piuttosto che attraverso un ulteriore colpo di Stato, escluso dallo stesso capo delle forze armate Narongphan Jitkaewthae (che sarà inoltre in visita ufficiale alle Hawaii fino al 28 maggio). Se è legittimo avere dubbi su tali dichiarazioni, lo stesso può valere per quelle di Prayut, che una volta divenuta chiara la sconfitta ha detto che avrebbe rispettato la transizione democratica.

Con il senato dalla parte dei conservatori, resta viva anche la possibilità di un governo di minoranza filo-militare, che a quel punto (per questioni numeriche) dovrebbe essere guidato dal BJT. Il tempo per eventuali ribaltoni non manca. La commissione elettorale dovrà pubblicare i risultati ufficiali delle elezioni entro 60 giorni, poi il parlamento verrà convocato per la votazione del primo ministro. Dopo essere approvato dal re, il premier potrà formare il suo governo. Si prevede che accadrà non prima di inizio agosto.

IL FUTURO

Al di là delle questioni formali, l’ultima tornata elettorale ha già portato con sé una serie di evidenze importanti. Per diversi analisti la vittoria del Move Forward ha segnato la fine della politica clientelare e dinastica di cui si è fatto portavoce anche lo stesso Pheu Thai, che ha ottenuto meno di quanto sperasse anche nel nord-est, la roccaforte dei Shinawatra. Con tutta probabilità, inoltre, dopo 9 anni Prayut non sarà più il primo ministro della Thailandia. Anche in caso di governo filo-militare, sia Anutin del BJT che il generale Prawit Wongsuwon, leader del PPRP, potranno infatti rivendicare la leadership forti di essergli arrivati davanti. E poi il tabù monarchia è stato infranto. Fino a qualche anno fa era impensabile anche solo parlare pubblicamente del ruolo della corona: oggi, il partito che più lo ha messo in discussione è arrivato primo alle elezioni.

Dalle proteste del 2020-21, forse, qualcosa è cambiato. “Taa sawang”, occhi luminosi. È il termine usato dai giovani thailandesi per descrivere la loro “illuminazione” su temi prima considerati proibiti. È facile pensare che diversi di loro abbiano partecipato alla parata della vittoria del Move Forward di lunedì a Bangkok, una marea arancione. «Non lasceremo mai che un’opportunità come questa venga sprecata» – ha dichiarato Pita alla folla – «Dobbiamo costruire la Thailandia che amiamo, piena delle speranze e dei sogni di tutti. Presto avremo un primo ministro che farà di nome Pita Limjaroenrat, e insieme cambieremo questo Paese».

A cura di Francesco Mattogno