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Thailandia al voto: scelta tra riforme e status quo filo-militare

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

È tutto pronto per le elezioni in Thailandia del 14 maggio. Il Pheu Thai di Paetongtarn Shinawatra domina nei sondaggi ma difficilmente riuscirà a governare da solo, mentre i partiti filo-militari sanno di poter contare sui 250 voti del senato non elettivo. Move Forward e Bhumjaithai le variabili più interessanti, ma non saranno elezioni “libere ed eque”

Da due decenni le elezioni in Thailandia si svolgono secondo un copione quasi identico. Si prevede che anche quelle fissate il 14 maggio non ci si discosteranno troppo. Sarà di nuovo una lotta tra il partito della famiglia Shinawatra e i partiti associati all’establishment conservatore, legati ai militari e filo-monarchici. Il Pheu Thai (PTP) – terzo nome del partito populista dei Shinawatra, sciolto per due volte in passato – ha vinto tutte le elezioni dal 2001 al 2019, ma ha governato a fasi alterne solo finché l’esercito glielo ha permesso.

Nonostante due colpi di Stato (2006 e 2014) e una nuova costituzione scritta dai militari (2017), il Pheu Thai resta la principale forza elettorale del paese. La generalità dei sondaggi in vista delle elezioni del 14 maggio lo dà tra il 46% e il 49%, con la sua principale candidata premier, Paetongtarn Shinawatra, sempre al primo posto tra le preferenze con anche venti punti di distacco dagli esponenti degli altri partiti. Ma per vincere non basterà.

In Thailandia sono elettivi solo i 500 seggi della camera bassa del parlamento, mentre i 250 posti del senato (che partecipa alla votazione del primo ministro) sono a nomina militare. Una condizione prevista ad hoc dalla costituzione del 2017 che ha permesso al generale golpista Prayut Chan-o-cha di mantenere il posto da primo ministro nel 2019 e di sperare oggi nella rielezione, nonostante il suo partito, lo United Thai Nation (UTN), sia terzo e ampiamente staccato nei sondaggi (10-15%). Ancora più indietro, ma per lo stesso motivo ancora in lotta, anche l’altro generale dietro il colpo di Stato del 2014, Prawit Wongsuwon. Lui candidato premier del principale partito militare nonché di governo, il Palang Pracharat (PPRP), dato al 2%.

COALIZIONE OBBLIGATA

Saranno chiamati a votare 52 milioni di thailandesi. L’obiettivo dichiarato del Pheu Thai è conquistare circa 300 seggi, soglia che dimostrerebbe un mandato popolare indiscutibile e che quindi renderebbe teoricamente difficile per il senato ostacolare la formazione di un governo a guida Shinawatra. Secondo l’analisi del sito thailandese The Nation non si tratta di un traguardo impossibile, ma certamente complicato. Ed è già chiaro che per costruire un esecutivo stabile – raggiungendo la maggioranza di almeno 376 seggi – il partito dovrà formare una coalizione.

Dietro al Pheu Thai, al secondo posto nei sondaggi c’è stabilmente un partito progressista, il Move Forward (MFP). Nato dalle ceneri del Future Forward, arrivato terzo nel 2019 e sciolto nel 2020, il Move Forward raccoglie tra i propri candidati ed elettori tanti dei giovani che hanno partecipato alle proteste democratiche e anti-monarchiche del 2020-21. È un partito forte tra gli under 25 e nei centri urbani. Le previsioni lo danno attorno al 15-20% e potenzialmente in crescita, ma va considerato che i sondaggi prendono in considerazione soprattutto Bangkok e le maggiori città provinciali, rendendo il campione poco rappresentativo delle zone rurali del paese. Comunque, Bangkok è la città che assegna più seggi (33), seguita da quelle nel nord-est, regione roccaforte del Pheu Thai.

Che Pheu Thai e Move Forward possano formare un’alleanza post-elettorale (insieme ad altri partiti progressisti minori) è evidente. Il leader del Move Forward Pita Limjaroenrat ha escluso coalizioni solo con chi è associato al colpo di Stato, cioè PPRP e UTN. Sull’alleanza con i militari, invece, la leadership del Pheu Thai ha mantenuto a lungo una certa ambiguità. Solo di recente Paetongtarn ha dichiarato che non le sono “piaciuti gli ultimi due colpi di Stato”, cioè i golpe con cui i militari hanno deposto e costretto all’esilio prima suo padre Thaksin e poi sua zia Yingluck. Più diretto l’altro candidato premier del partito, il magnate dell’immobiliare Shretta Thavisin, che ha detto di non volersi unire a chi “ha saccheggiato il potere sovrano del popolo”.

A complicare una relazione che sembrerebbe scontata sono soprattutto le posizioni radicali del Move Forward nei confronti della legge sulla lesa maestà. In passato Limjaroenrat ha richiesto esplicitamente la modifica del famigerato articolo 112 del codice penale, che prevede una pena dai 3 anni ai 15 di carcere per chiunque “insulti o diffami” la famiglia reale. La monarchia thailandese è una delle più potenti al mondo e metterla in discussione rappresenta un rischio per la sopravvivenza politica dei partiti che ci provano. In campagna elettorale nessuno, compreso il Pheu Thai, ha mai nominato la legge sulla lesa maestà e anche lo stesso Move Forward ha abbassato i toni.

IL “CENTRO” CONSERVATORE DEI DEMOCRATICI E DEL BJT

Essere accusati di alto tradimento è facile, ancora di più lo è rispettare lo status quo. Il Partito Democratico (DP) thailandese è sempre stato maestro in questo, anche se negli ultimi anni ha iniziato a pagare il proprio spregiudicato trasformismo politico. Nel 2007 il partito più antico del paese arrivò al 38% dei voti: oggi è dato intorno al 4%. I democratici hanno spesso “dichiarato cose gradite alle masse prima delle elezioni” ma non hanno una chiara agenda politica, scrive il Diplomat. L’ultima mossa acchiappa-voti è la proposta di legalizzazione dei sex toys (oggi possederne uno in Thailandia può comportare fino a 3 anni di carcere), ma c’è la discreta probabilità che questo possa far allontanare anche gli ultimi residui di elettorato conservatore rimasti al leader democratico e attuale ministro del Commercio, Jurin Laksanawisit.

Sempre parte dell’attuale governo guidato dal PPRP è il Bhumjaithai (BJT) del ministro della Sanità Anutin Charnvirakul, l’uomo dietro alla caotica legalizzazione della cannabis. È un personaggio da non sottovalutare per la sua capacità di porre il BJT al centro tra i conservatori e i progressisti. Se il Pheu Thai domina nel nord-est agricolo, il Move Forward è forte nei centri urbani e l’UTN di Prayut nel sud del paese, il BJT sembra in grado di raccogliere voti un po’ ovunque. Viene dato intorno al 5%, ma ci sono stime che lo credono più competitivo.

TRA RIFORME POLITICHE E POPULISMO ECONOMICO

Quello di Charnvirakul viene ritenuto un profilo equilibratore, che sarebbe capace di fare da primo ministro sia in un governo conservatore insieme ai militari, sia in un governo progressista. Il leader del BJT ha anche dichiarato che sosterrà la formazione di un’assemblea per riscrivere la costituzione della Thailandia, cioè una delle proposte politiche chiave del Move Forward. Il partito progressista e il Pheu Thai hanno infatti inserito nel programma elettorale una serie di riforme costituzionali e dell’esercito, tra cui l’abolizione della coscrizione obbligatoria.

Sono misure che metterebbero in discussione l’attuale ordine conservatore di eredità del golpe e che contribuiscono a rendere difficile pensare che il senato possa appoggiare un eventuale premier del Pheu Thai, in particolare una Shinawatra. Per questo, e per il fatto che Paetongtarn ha partorito il suo secondo figlio il 1° maggio, l’ipotesi di un primo ministro di compromesso (o che il Pheu Thai punti su Thavisin) non va scartata.

Se sul piano politico si riescono ancora a notare marcatamente due poli, quello conservatore e quello progressista e anti-militare, le cose cambiano quando si parla di economia. “Il populismo ha vinto”, sostiene l’analista Thitinan Pongsudhirak. Al di là di piccole differenze di forma, ogni partito ha come perno del suo programma economico la presenza di uno o più sussidi e misure assistenziali. A inaugurare l’assistenzialismo sfrenato sono stati i Shinawatra, che ne hanno fatto per vent’anni la fonte primaria della propria popolarità, in particolare tra gli agricoltori. Un approccio non apprezzato da tutti, specialmente a Bankgok, ma che ha il merito di aver sdoganato il tema delle enormi disuguaglianze di reddito nella società thailandese e di aver di fatto rafforzato il sistema di welfare, questione su cui ha costruito parte del proprio sostegno anche il governo Prayut.

Oggi gli stessi partiti filo-militari che dipingevano i Shinawatra come irresponsabili sono tra i più generosi nel promettere aiuti economici, ma le proposte davvero ambiziose vengono sempre dal Pheu Thai, che si impegna a raddoppiare il salario minimo dei lavoratori e a donare a tutti i maggiori di 16 anni 10.000 baht (circa 270 euro). Idee che hanno attirato critiche per il loro potenziale peso sulla spesa pubblica. Si legge poco invece su come riformare strutturalmente l’economia della Thailandia, che da dieci anni non cresce quanto quelle dei più importanti Stati della regione. Una volontà comune è quella di rendere il paese hub manifatturiero delle nuove industrie tecnologiche, come quella delle auto elettriche, rafforzando un processo già in corso da alcuni anni.

ELEZIONI LIBERE ED EQUE?

A valutare la fattibilità delle proposte economiche sarà la commissione elettorale, che ha anche il potere di perseguire i partiti per eventuali violazioni dei regolamenti legati al voto, dando il via a un procedimento giudiziario di fronte alla corte costituzionale che potrebbe portare al loro scioglimento. È un pericolo tangibile sia per il Pheu Thai che per il Move Forward. L’indipendenza della commissione elettorale e della corte costituzionale è infatti solo formale: entrambi gli organi sono legati all’élite conservatrice e militare.

Secondo Human Rights Watch, “le elezioni thailandesi si terranno in base a quadri politici, costituzionali e legali che rendono quasi impossibile un procedimento libero ed equo”. Per questo non rassicurano dichiarazioni come quella dell’ex generale Prawit: “Se i thailandesi resteranno uniti un colpo di Stato non sarà necessario”, ha detto, specificando che in caso di tumulti diventerà invece “un obbligo”. Legittimo avere dubbi anche sulle parole di Prayut, che ha promesso di “tornare a casa” in caso di sconfitta.

Comunque, quello di un altro colpo di Stato in caso di disfatta totale dei militari è una possibilità per ora da considerare remota. Gli scenari post-voto ampiamente condivisi sono essenzialmente tre. La vittoria schiacciante dell’opposizione, con la formazione di una coalizione guidata da Pheu Thai e Move Forward che potrebbe riformare il sistema politico thailandese. Il successo (grazie ai numeri del senato) del fronte conservatore con conseguente mantenimento dello status quo. Oppure un governo di compromesso tra Pheu Thai e partiti dell’establishment. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio arriveranno i risultati non ufficiali, poi la commissione elettorale avrà 60 giorni di tempo per pubblicare quelli definitivi.

A cura di Francesco Mattogno