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Cosa ci dice la telefonata tra Xi e Zelensky?

In Cina, Relazioni Internazionali by Alessandra Colarizi

Xi al telefono con  Zelensky – Prima la mediazione tra Iran e Arabia Saudita, poi il corteggiamento dei leader europei: dove possibile, la Cina ha cercato in ogni modo di ripristinare la propria reputazione internazionale in risposta al rapido deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti. Ora non è escluso che anche la guerra in Ucraina venga sfruttata perlopiù come palcoscenico per promuovere l’immagine di una Cina superpotenza responsabile.    

Un’operazione cosmetica o una vera svolta diplomatica. La telefonata tra Volodymyr Zelensky e il presidente cinese, Xi Jinping, potrebbe essere entrambe le cose. I due si sono sentiti per la prima volta dall’inizio della guerra solo mercoledì scorso dopo gli innumerevoli appelli del presidente ucriano. Per Kiev la conversazione – durata oltre un’ora – è stata “molto produttiva”, e rappresenta “una nuova tappa dei rapporti tra Kiev e Pechino”. Ma altrove la telefonata è stata accolta con diffuso scetticismo. Soprattutto considerate le tempistiche e il contesto geopolitico: mentre Zelensky attendeva pazientemente il suo turno, negli ultimi nove mesi la leadership cinese ha condotto una controffensiva diplomatica a tutto campo. Prima la mediazione tra Iran e Arabia Saudita, poi il corteggiamento dei leader europei: dove possibile, la Cina ha cercato in ogni modo di ripristinare la propria reputazione internazionale in risposta al rapido deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti. Ora non è escluso che anche la guerra in Ucraina venga sfruttata come palcoscenico per promuovere l’immagine di una Cina superpotenza responsabile.    

D’altronde, dalla telefonata tra Xi e Zelensky non sono emerse grandi novità. Rievocando la “proposta di pace” in 12 punti presentata a marzo, il leader cinese ha ribadito il solito mantra del “rispetto reciproco per la sovranità e l’integrità territoriale”. Criticando velatamente la Russia, Xi ha auspicato una soluzione politica alla crisi, avvertendo che “in una guerra nucleare non c’è vincitore”. Ma ha anche ricordato che è necessario considerare le legittime preoccupazioni di tutti. Anche quelle della Russia nei confronti del pressing NATO. Poi ha rinnovato la disponibilità a facilitare il dialogo tra le parti in conflitto, anche se “la Cina non ha creato la crisi ucraina, né è parte della crisi. “Come… grande paese responsabile”, la Repubblica popolare “non può stare a guardare, né aggiungerà benzina al fuoco, tanto meno sfrutterà la situazione” a proprio favore. Allusione alle massicce importazioni di gas e petrolio russo, nonché alle indiscrezioni americane – mai confermate – sulla presunta fornitura di armi cinesi a Mosca. 

Almeno ufficialmente, la Cina non ha mai sostenuto militarmente la Russia, ma non ha mai nemmeno condannato l’invasione dell’Ucraina. Un’ambiguità che ha suscitato non pochi malumori in Europa. Creare un canale diretto con Zelensky è quindi quanto serve a sostanziare la posizione “neutrale” rivendicata da Pechino. Virgolettato ancora d’obbligo considerati i frequenti scambi con Putin, incontrato personalmente da Xi oltre 40 volte in pochi anni, l’ultima nel mese di marzo a Mosca.  

La domanda è quindi perché la telefonata è arrivata proprio ora? Da qualche tempo l’andamento incerto della guerra e la fruttuosa negoziazione tra Teheran e Riad sembravano aver reso la Cina più propositiva, anche nell’ottica di ritagliarsi un posto nella ricostruzione dell’Ucraina. Ma a dare la spinta finale potrebbe essere stata la recente polemica sullo status delle ex Repubbliche sovietiche che ha travolto l’ambasciatore cinese in Francia. Negando l’indipendenza de iure di Stan e Paesi baltici, i commenti di Lu Shaye non solo rischiano di compromettere l’immagine della Cina in Asia Centrale, una regione dove la popolarità della seconda economia mondiale negli ultimi anni è stata favorita proprio dalla volontà di slegarsi da una Russia sempre più incombente. Rischiano anche di sfilacciare ulteriormente i rapporti con l’Europa, dove le parole del diplomatico sono state interpretate come un endorsement alle presunte velleità neo-imperialiste di Putin in cambio di un analogo riconoscimento delle rivendicazioni cinesi su Taiwan. Il tutto a pochi giorni dagli appelli di Emmanuel Macron e von der Leyen affinché Pechino “riporti la Russia alla ragione”. 

Notando i toni relativamente concilianti, Xi potrebbe aver quindi preferito afferrare la mano tesa da Macron prima che sia troppo tardi: l’Unione europea si appresta a rivedere il proprio rapporto con la Cina, oggi definita “partner”, “competitor” e “rivale”. Domani chissà; l’ordine della sequenza – ha avvertito il capo della diplomazia Ue, Josep Borrell – potrebbe presto venire invertito. D’altronde Pechino sa di potersela giocare: Parigi ambisce a organizzare una conferenza di pace, a cui Zelensky ha detto parteciperà solo se ci saranno anche Biden e Xi. 

Che non si sia trattato però di uno slancio pacifista è abbastanza evidente. Come precisato dai media statali, la telefonata è avvenuta su richiesta di Zelensky. Segno di come la Cina non sentisse poi troppo la necessità di chiarire la propria posizione. Piuttosto, il colloquio viene fatto passare quasi come una concessione di Xi. Forse anche nel tentativo di rassicurare l’amico Putin sulla natura di un gesto che altrimenti sarebbe potuto sembrare un “tradimento”. D’altronde nelle parole del leader di Pechino non si percepisce alcun cambiamento in merito alla Russia, mai nominata espressamente. Così come resta tabù la parola “guerra”, che Xi si ostina a chiamare “crisi”. Anzi, prendendo tempo, il presidente cinese si è premurato di arrivare ai colloqui con Zelensky solo dopo aver consolidato l’“amicizia senza limiti” con Mosca. 

Quelli appena trascorsi sono stati mesi scanditi da incontri di alto profilo. Da ultima la controversa visita in Russia del nuovo ministro della Difesa cinese. Sanzionato da Washington, Li Shangfu ha notato come le relazioni bilaterali oggi “superano le alleanze politico-militari dell’epoca della Guerra Fredda”. E’ un punto su cui, piaccia o no, difficilmente Pechino cambierà idea. Mosca resta un partner strategico nella ridefinizione di un sistema internazionale americanocentrico in cui la Cina – come molti altri paesi in via di sviluppo – si sente fortemente penalizzata. 

Questo non vuol dire che la Cina voglia la guerra. La pace è precondizione necessaria al regolare svolgimento delle attività economiche con l’Europa, tra i principali partner commerciali della Repubblica popolare. Il problema è come raggiungere la pace senza indebolire Putin, la cui permanenza a capo del Cremlino serve a scongiurare l’arrivo di un leader filo-americano dall’altra parte del confine. Non a caso il documento cinese in 12 punti comincia con la proposta di un cessate il fuoco che – a detta di molti – consoliderebbe la posizione russa nei territori occupati. Quello dei confini resta uno scoglio difficile da superare. Parlando con Xi, Zelensky ha ribadito che la pace potrà tornare solo quando “l’integrità territoriale dell’Ucraina sarà ripristinata entro i confini del 1991”. Ovvero compresa la restituzione della Crimea. Una “richiesta deliberatamente irrealistica,” secondo il Cremlino, su cui la Cina non si è mai pronunciata chiaramente. 

Sono questioni scivolose su cui servirà lavorare in tandem. A questo proposito, seppellita tra le molte dichiarazioni trite e ritrite, dalla telefonata è emersa un’importante novità: l’annuncio sincronizzato della nomina di un nuovo ambasciatore ucraino in Cina e dell’invio a Kiev del rappresentante cinese per l’Eurasia. Classe 1953, Li Hui ha decenni di esperienza in Asia Centrale e Russia, dove in qualità di ambasciatore ha proposto una maggiore interconnessione tra la Nuova via della seta cinese e l’Unione economica eurasiatica, l’organizzazione a guida moscovita che comprende anche Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Tanto che per il lavoro svolto a promozione dei legami bilaterali, nel maggio 2019 è stato insignito da Putin dell’Ordine dell’amicizia. A differenza di altri inviati speciali di Pechino, Li è quindi una persona che conosce molto bene l’area di competenza. Nei prossimi giorni sarà lui il funzionario cinese di grado più elevato a visitare Kiev dall’inizio della guerra. Obiettivo: mostrare al mondo le buone intenzioni della Cina, e – se possibile – aiutare Mosca a sfilarsi dal conflitto senza perdere la faccia. 

Forse dando voce a pareri origliati nei palazzi del potere, il noto analista cinese Wang Yiwei ha invitato Bruxelles a perseguire un accordo “coordinato”: l’Ue convincendo l’Ucraina ad accettare “la perdita di alcuni territori”, la Cina persuadendo la Russia “a non occupare troppo”. Ma, ça va sans dire, se queste sono le premesse, il dialogo tra Pechino e Kiev rischia già di diventare un telefono senza fili. 

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su Esquire]