La stretta di mano Kim-Trump è un gioco d’azzardo

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La macchina organizzativa a Singapore sta ultimando i preparativi per l’evento dell’anno. Ma un livello di incertezza incredibile per la diplomazia contemporanea circonda il summit. Quali carte tengono nascoste in mano Trump e Kim?


Le autorità di Singapore hanno appena fatto partire i messaggi su WhatsApp per indicare le strade che saranno bloccate o controllate dalla polizia ed è stato stabilito e ufficializzato il luogo: l’Hotel Capella nell’isoletta di Sentosa che, rispetto alle altre location in gioco, sembra garantire maggior sicurezza per gli ospiti. Oltre duemila giornalisti saranno presenti al media center allestito nella zona del circuito di Formula uno e non mancano le polemiche anche a questo riguardo: Politico ha espresso il proprio fastidio per un summit organizzato a Singapore, Paese che risiede al 150esimo posto (su 180) nella classifica della libertà di stampa.

In ogni caso, tutto sembra procedere, tutta la macchina organizzativa è ormai in procinto di ultimare i preparativi per l’avvenimento dell’anno e forse di un bel pezzo di inizio secolo: per la prima volta un presidente americano in carica incontrerà il leader della Corea del Nord.

Benché esisteranno dubbi fino alla fine, c’è da credere che ormai l’incontro avverrà. Secondo la Casa Bianca il 12 giugno Trump e Kim si incontreranno alle 9 del mattino per la storica stretta di mano. Il problema vero è che può essere che il summit non produca più che questo: una stretta di mano, una photo opportunity e poco altro.

La verità, infatti, è che le due parti sembrano ancora piuttosto distanti nonostante l’intensa e notevole attività diplomatica di questi giorni. D’altronde, nel presentare questo summit è stato lo stesso Trump a definirlo come un primo passo di un lungo processo. Il presidente americano — dopo aver compreso le difficoltà della negoziazione — aveva scritto la sua famosa lettera a Kim nella quale in pratica affossava summit e percorso.

Alla risposta di Pyongyang, che invece pareva volere l’incontro, si sono riaperti gli spiragli. Delegazioni di alto livello Usa sono andati in Corea del Nord, così come l’ex capo delle spie di Pyongyang, nonché importante funzionario del governo e sanzionato dagli Usa, si è comunque recato da Trump con una lettera — di dimensioni bizzarre — da parte di Kim. Non solo: in questi giorni il ministro degli Esteri di Singapore, Vivian Balakrishnan, andrà in visita di due giorni a Pyongyang per preparare il vertice. Il ministro sarà in visita ufficiale su invito dell’omologo di Pyongyang, Ri Yong Ho.

Tutto è dunque tornato sui binari della diplomazia mentre Lavrov andava da Kim, mentre Abe — in questi giorni — va da Trump e mentre Xi Jinping e Putin si incontrano a Qingdao in Cina, dove è in corso lo Sco (Shanghai cooperation organization).

Rimane però un incredibile livello di incertezza a circondare il summit. L’incontro si farà ma cosa si concluderà? Poco, sembra. In questo un’analisi precisa delle sensazioni pre-summit sembra averla raccolta Julian Borger sul Guardian, quando scrive che “Raramente nella storia moderna c’è stato un summit con maggiore incertezza sui risultati. Da un lato del tavolo ci sarà il capo di uno Stato isolato che ha dedicato gli ultimi tre decenni allo sviluppo di testate nucleari e missili. Kim Jong-un sostiene ora di voler puntare sullo sviluppo economico ma il regime ha già fatto affermazioni simili prima. Dall’altra parte del tavolo ci sarà un presidente degli Stati Uniti diverso da qualsiasi altro nella storia: capriccioso, sdegnoso nei consigli dei suoi stessi funzionari e completamente convinto che il suo istinto — la sua sensibilità per l’arte dell’affare — sia sempre la migliore guida all’azione”. Non proprio un viatico promettente.

Di sicuro Trump e Kim potrebbero riconoscersi nell’arte dell’azzardo ma entrambi hanno in mano carte che forse non hanno ancora completamente mostrato. “La grande domanda per il summit — prosegue il Guardian — sarà quali carte giocheranno e in quale sequenza”.

Pyongyang — a quanto si dice — dovrebbe confermare la totale sospensione dei test e il congelamento del suo arsenale nucleare. Ma in cambio chiede garanzie di sicurezza? Quali potranno essere concesse da Trump? Per ora la Casa Bianca ha sempre detto di sostenere una posizione precisa: prima Kim denuclearizza poi ne parliamo. Ma non è propriamente un comportamento ideale in un negoziato. Più probabile che si stabilisca un’agenda, una sorta di road-map cui dare seguito. Ma a quel punto le possibilità che tutto salti nuovamente saranno altissime.

Sullo sfondo ci sono però due Stati interessati a un esito positivo.

La Cina, i cui media statali in questi giorni sottolineano la necessità di non essere dimenticati da Trump e Kim, che continua nella sua opera di vicinanza strategica a Kim, tanto che si parla di un incontro con Xi Jinping immediatamente successivo al summit di Singapore.

E poi c’è la Corea del Sud: Moon Jae-in si è giocato tutto non tanto nel summit quanto nel ripristinare una relazione vera con il Nord, confermata dal doppio incontro e dalla volontà espressa da entrambe le parti di ritrovarsi più spesso. La scommessa di Moon è sul lungo periodo: sarà lui, presumibilmente, quello più interessato ad andare a vedere quanto di concreto uscirà dallo storico summit di Singapore.

di Simone Pieranni

[Pubblicato su Eastwest]