La propaganda cinese passa al digitale

In Cina, Relazioni Internazionali by Alessandra Colarizi

Nel mese di novembre, l’Ofcom, l’autorità regolatrice per le società di comunicazione nel Regno Unito, ha aperto un’inchiesta per accertare le accuse spiccate dall’ex investigatore privato e giornalista Peter Humphrey, secondo le quali l’emittente statale cinese avrebbe avuto un ruolo chiave nell’esecuzione della confessione forzata estortagli dalle autorità di Pechino prima ancora che fosse messo a processo. Secondo Humphrey, condannato nel 2014 a due anni di carcere in un caso di corruzione, “i giornalisti della CCTV hanno collaborato con la polizia cinese per estrarre, registrare, produrre e poi trasmettere la sua confessione”. Le immagini sono poi circolate a livello global attraverso la divisione internazionale CGTN, violando le regole dei media. Se l’inchiesta dovesse confermare le accuse, nel peggiore dei casi l’emittente rischia l’espulsione dal paese per aver infranto il codice di trasmissione britannico quanto a “imparzialità, accuratezza, correttezza e privacy.”

Si tratterebbe del primo rovinoso inciampo per il colosso statale, dopo anni di protagonismo sullo scacchiere internazionale. Complice la crisi vissuta trasversalmente dal settore alle nostre latitudini. Da quando nel 2003 il termine “guerra mediatica” è stato incluso nel vocabolario dell’Esercito di Liberazione popolare per descrivere l’influenza filocinese esercitata sull’opinione pubblica nazionale ed internazionale in situazioni di crisi, la propaganda comunista ha speso più di 6 miliardi di dollari per puntellare la propria presenza oltreconfine, con l’offerta di corsi di formazione per giornalisti stranieri, conquistando spazi nei principali quotidiani in lingua inglese e aprendo un centinaio di redazioni radiofoniche e televisive all’estero.

Ora che, tuttavia, il progetto infrastrutturale a guida cinese Belt and Road ha già raggiunto oltre 100 paesi tra Asia, Africa, Sudamerica ed Europa, il soft power made in China comincia prendere nuove strade. Lontano dagli occhi vigili dell’Occidente, la seconda superpotenza mondiale sta estendendo il proprio controllo sull’informazione dalla fase di produzione ai canali di trasmissione.

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