Indonesia – The Look of Silence

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

The Look of Silence, premiato dalla giuria alla 71esima Mostra del cinema di Venezia, è un documentario forte. Che cerca di rompere un muro di silenzio intorno a un massacro pressoché sconosciuto in Italia: le purghe anticomuniste del 1965-66 in Indonesia in cui morirono un milione di persone. C’è chi dice che la storia si ripeta due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Da una parte c’è un evento, violento e sconvolgente. Dall’altra la sua riproduzione farsesca a distanza di anni.

La tragedia è quanto successo in Indonesia per le purghe anticomuniste del 1965 e del 1966. Un milione di morti stimato, almeno 500mila accertati. In due anni, la politica indonesiana fu letteralmente stravolta con l’eliminazione prima dalle sedi istituzionali, poi fisicamente, della sinistra.

La storia come farsa è quella messa in scena in due film che rivivono quella stagione: The Act of Killing del 2011 e The Look of Silence, presentato e premiato con il Gran premio della giuria quest’anno alla 71esima Mostra del cinema di Venezia.

Il secondo film-documentario non potrebbe esistere senza il primo: è infatti il suo naturale seguito. Non solo: le due opere sono complementari, come in un gioco di incastri.

In una delle prime scene del film, Adi, un ottico di una cittadina del nord dell’isola di Sumatra, uno dei luoghi delle purghe, è davanti alla tv e guarda alcune scene di The Act of Killing. Osserva gli assassini di suo fratello Ramli, morto due anni prima della sua nascita, mimare in modo surreale gli atti di violenza compiuti nei confronti delle loro vittime.

Vittime violentate, giustiziate sommariamente e gettate nel fiume solo per essere state sospettate di “comunismo”, dagli intellettuali ai contadini, dagli insegnanti agli operai delle fabbriche di pneumatici.

Gli interlocutori di Adi ammettono con orgoglio ciò che hanno fatto. Davanti alla telecamera di Oppenheimer, si sentono comparse hollywoodiane in un film di guerra. La violenza diffusa degli anni del colpo di stato del generale Suharto, registrata nelle pagine di storia viene banalizzata e trasformata in performance dagli stessi protagonisti a distanza di decenni.

Adi approfitta del suo lavoro itinerante per parlare con gli anziani della zona, entrare in casa loro: vuole rivivere gli anni delle purghe e parlare con gli assassini di suo fratello. Cerca di portare loro la sofferenza della sua famiglia, in particolare di sua madre Rohani, il cui odio per gli assassini del figlio maggiore – quasi certamente non comunista – non si è mai sanato.

Ma si trova di fronte a una rimozione – o negazione – collettiva del senso di colpa: “era una rivoluzione” o “ho solo eseguito degli ordini” sono tra le risposte che Adi si sente dare da ex comandanti e membri delle squadracce messe su dall’esercito indonesiano per compiere i massacri.

Le domande di Adi vengono così in molti casi evitate perché “troppo politiche” e il rischio di un nuovo ritorno del “comunismo” è sempre dietro l’angolo. “Se fossi capitato qui durante la rivoluzione – gli spiega uno dei responsabili dell’uccisione del fratello – non puoi nemmeno immaginarti cosa ti sarebbe successo”.

Adi non incontra se non alla fine del documentario parole di scusa per la sofferenza procurata alla sua famiglia da figli o mogli di coloro che compirono il massacro e oggi o sono morti, o sono anziani innocui. Ma c’è anche chi è diventato un influente politico locale.

Frutto di un lavoro decennale – da quando cioè il regista Joshua Oppenheimer iniziò a fare ricerche nelle piantagioni di palma da olio nel 2003 – The Look of Silence cerca di rompere il muro di oblio e omertà che circonda gli eventi del 1965-66. Il prossimo 10 dicembre, giornata mondiale per i diritti umani, scrive il Jakarta Post, il film sarà proiettato in alcune città dell’Indonesia

La sue riprese non sono però state senza problemi per i protagonisti: la famiglia di Adi ha dovuto trasferirsi in un’altra zona del paese, ha spiegato Oppenheimer a euronews.com, e la troupe del documentario rimane anonima in tutti i suoi membri indonesiani.

Ennesima dimostrazione che la “farsa” può essere spesso più tragica della tragedia stessa.