In Cina e Asia – Shenzhen prima al mondo per trasporti elettrici

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Shenzhen è diventata la prima città al mondo ad aver sostituito tutti i vecchi mezzi pubblici con veicoli elettrici. La trasformazione, completata a dicembre, vede oggi la megalopoli del Sud avvalersi di 16.259 autobus elettrici – tre volte quanto New York – e 19.000 taxi elettrici. Secondo uno studio del Bloomberg New Energy Finance, in Cina ogni cinque settimane vengono introdotti 9.500 nuovi veicoli elettrici. Cifre che rendono il gigante asiatico il primo paese per numero di bus elettrici con una quota mondiale del 99%. E’ dal 2012 che Pechino è impegnato in una rivoluzione verde al fine di ridurre il livello di inquinamento dell’aria. Secondo l’architetto spagnolo Vicente Guallart, “la Cina sta sviluppando un nuovo tipo di città compatta ad alta densità dove, in futuro, le auto private non avranno più alcuno spazio”. Ma come per le rinnovabili, la massiccia elargizione di sussidi statali mette a rischio la sostenibilità economica del settore.

Crescita cinese ai minimi dal 1990

L’economia cinese continua a rallentare inesorabilmente. E non solo a causa della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Secondo i dati rilasciati stamattina dal National Bureau of Statistics, nel quarto trimestre il Pil cinese è cresciuto del 6,4% – in calo rispetto al 6,5% del trimestre precedente -, trascinando verso il basso le stime complessive per l’anno appena concluso. Nel 2018, l’economia cinese ha riportato un tasso di crescita del 6,6%, il più basso dal 1990, ma comunque in linea con gli obiettivi del 6,5%. In discesa un po’ tutti gli indici, dall’export agli investimenti infrastrutturali, fatta eccezione per i servizi e la produzione industriale. A preoccupare è soprattutto l’erosione dei consumi interni, il segmento su cui Pechino conta di più per affrancare l’economia nazionale dagli investimenti, all’origine dell’indebitamento dei governi locali: le venditi al dettaglio nel 2018 sono scese ai minimi da quindici anni. Complice l’aumento dei mutui a fronte di una stagnazione degli stipendi. Escludendo l’arrivo di nuovi stimoli sul genere sperimentato nel 2008, il governo cinese si prepara a intervenire chirurgicamente con sgravi fiscali e incentivi “soft”. Ma le aspettative degli economisti non sono particolarmente ottimistiche.

Giù anche le nascite

Calano anche le nascite. I dati ufficiali del NBS confermano le proiezioni fosche degli esperti: nel 2018 si sono registrati 15 milioni di nuovi nati, 2 milioni in meno rispetto all’anno precedente. La popolazione cinese non cresceva a ritmi tanto bassi dalla grande carestia del 1961, ma quel che più preoccupa è il progressivo calo della madopera, diminuita di 4,7 milioni lo scorso anno.

Guerra dei dazi: Washington incassa 13 miliardi di dollari. Ma chi paga?

“Il Tesoro degli Stati Uniti ha prelevato MOLTI miliardi di dollari grazie alle tariffe addebitate alla Cina e ad altri paesi che non ci hanno trattato in modo equo”, ha affermato lo scorso 3 gennaio Donald Trump sostenendo l’efficacia della guerra commerciale scatenata contro Pechino. Secondo la U.S. Customs and Border Protection, a dicembre i dazi sulle importazioni avevano già fruttato 13 miliardi di dollari, di cui 8 miliardi provenienti da merci cinesi. Peccato che non siano veramente i governi stranieri a pagare i sovraccosti. Secondo Hurt the Heartland, coalizione di imprenditori e agricoli statunitensi, solo nel mese di ottobre, le imprese americane hanno dovuto sborsare 2,8 miliardi di dollari per far fronte alle tariffe. E lo shutdown ha già provocato notevoli ritardi nella distribuzione degli aiuti stanziati per sopperire alle perdite riportate dal settore agricolo a causa delle ritorsioni cinesi.

Cina e Usa vicini a un compromesso

Intanto, continuano i negoziati tra le due superpotenze per raggiungere un accordo sufficientemente stabile da permettere non solo il congelamento ma anche la rimozione delle reciproche tariffe. Stando alle ultime indiscrezioni della stampa internazionale, la Cina si sarebbe impegnata ad appianare il surplus commerciale nell’arco di sei anni attraverso l’acquisto di merci e servizi americani per un importo pari a 1 trilione di dollari. Washington da parte sua starebbe spingendo per l’istituzione di un meccanismo di verifica periodico mirato a quantificare l’impegno cinese in corso d’opera. Pena la reintroduzione delle tariffe. Nonostante le recenti aperture agli investimenti esteri, la Cina sconta un trascorso di promesse non mantenute. In settimana, il vertice di Davos – a cui parteciperà il vicepremier Wang Qishan – fornirà l’occasione per rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale. Complice l’assenza della delegazione americana a causa dello shutdown. La patata bollente passerà in ultima istanza al vicepremier Liu He, atteso a Washington alla fine del mese.

Filippine, i musulmani votano per una regione autonoma

Dopo oltre quattro anni di negoziati, questa settimana la popolazione musulmana sarà chiamata alle urne per votare la nascita di una regione autonoma nota come Bangsamoro. L’accordo, siglato nel 2014 ma sbloccato in parlamento soltanto lo scorso anno, impone ai ribelli islamici del Moro Islamic Liberation Front di rinunciare alla proclamazione di uno stato indipendente in cambio di ampia autonomia. Alla formazione della nuova regione dovrà seguire la smobilitazione dei 30-40.000 combattenti Moro. Secondo i piani di Rodrigo Duterte, grazie a sovvenzioni annue per un importo pari a 1,3 miliardi di dollari, Bangsamoro assicurerà pace e benessere al sud del paese, scongiurando l’avanzata dello Stato Islamico, sfociata nel 2017 nell’assedio della città di Marawi. L’esito del voto si saprà venerdì prossimo.

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