In Cina e Asia — Se la Tpp diventa CPTPP

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Se la Tpp diventa CPTPP

La Trans-Pacific Partnership sopravviverà anche senza gli USA ma con un nuovo nome: Comprehensive and Progressive Agreement for the TPP (CPTPP). Il nuovo accordo — che prevede la sospensione di 20 disposizioni, perlopiù riguardanti la proprietà intellettuale — verrà siglato una volta raggiunta l’intesa su quattro aree ancora da definire. Questo, tuttavia, non fermerà Pechino dallo sponsorizzare i suoi accordi multilaterali (leggi: Free Trade Area of the Asia-Pacific e Regional Comprehensive Economic Partnership). Il peso dell’economia cinese renderà innocue le ripercussioni di una possibile finalizzazione della nuova TPP a 11, ha affermato l’ex viceministro del Commercio Wei Jianguo. Come dichiarato da Xi Jinping, la posizione di Pechino continua ad essere favorevole nei confronti della globalizzazione e delle relazioni inclusive a dispetto della spinta protezionistica americana. Il vertice Apec si è concluso sabato con una dichiarazione congiunta in cui si auspica non solo una maggiore apertura dei mercati ma anche una correzione delle “pratiche commerciali sleali”, la sospensione dei sussidi statali e un miglioramento della funzione della World Trade Organisation’s (WTO) nella risoluzione delle controversie — in modo da accontentare le richieste di Trump.

Quanto alla nuova strategia di Washington nella regione, Pechino si è detto tranquillo ma desideroso di apprendere meglio cosa comporta l’insistenza dell’amministrazione Trump nel rinominare l’Asia-Pacifico come “Indo-Pacifico”, un termine utilizzato fin dal 2010 dalla marina indiana che punta a riunire Asia Orientale, Asia meridionale e Sudest asiatico sotto lo stesso ombrello.

Incontri

L’Apec ha inoltre fatto da sfondo ad alcuni incontri bilaterali, tra cui il faccia faccia tra Xi Jinping e il presidente sudcoreano Moon Jae-in declinato all’ufficializzazione della distensione tra i due paesi dopo un anno di gelo. Il sistema antimissile Thaad (vero pomo della discordia) e la ripresa del dialogo con Pyongyang mirato alla denuclearizzazione della penisola coreana sono stati tra i temi toccati dai due. Ugualmente cordiale lo scambio con Shinzo Abe, nel corso del quale i due leader si sono impegnati a sancire “un nuovo inizio” per le relazioni Cina-Giappone, in un momento di tensione per la regione scossa dalle provocazioni nordcoreane. All’offerta di reciproche visite di Stato, tuttavia, ha fatto seguito l’incontro tra il premier nipponico e l’inviato taiwanese James Soong. Il meeting è avvenuto a stretto giro dagli impliciti ammonimenti di Xi riguardo contro il recente riavvicinamento tra Tokyo e Taipei. Ad Abe la possibilità di aggiustare il tiro durante il suo imminente incontro con il premier cinese Li Keqiang, durante il quale con ogni probabilità verrà sollecitata l’organizzazione di un trilaterale con Moon Jae-in entro fine anno.

Un bilancio

Intanto oggi Trump è a Manila dove, a margine del summit Asean, sta avendo colloqui con Turnbull e Abe, cioè Australia e Giappone, i due più fidati alleati degli Stati Uniti nel Pacifico. Ha già detto che farà un bilancio del suo viaggio asiatico mercoledì alla Casa Bianca. Salvo colpi di scena e al netto della retorica con cui probabilmente infiocchetterà la sua spedizione, l’impressione è non ci siano stati grandi cambiamenti sui due dossier che più gli stavano a cuore: Corea del Nord e deficit commerciale. Era abbastanza scontato l’appoggio giapponese alla linea dura verso Pyongyang, perché Abe ha un proprio interesse ad agitare lo spettro nordcoreano per superare la costituzione pacifista del Giappone. Ma in Corea del Sud e Cina, nonostante i grandi cerimoniali, Moon Jae-in e Xi Jinping non si sono accodati alla linea dura di Washington.

A Pechino si sono invece siglati 253 miliardi di dollari di accordi commerciali, un record il cui significato però non va ingigantito: la Cina ama queste cerimonie di firme quando ospita qualche leader straniero, ma spesso si tratta di accordi già siglati precedentemente oppure di memorandum d’intesa che poi possono essere revocati. Si consideri anche che il deficit statunitense con la Cina arriverà a fine anno a una cifra compresa tra i 350 e i 500 miliardi di dollari. Diversa la questione che riguarda la vendita di armamenti, quelli tirano sempre: Trump sarebbe riuscito a piazzare ordini per 69 miliardi in Giappone e si parla di esportazioni anche in Corea del Sud.

Capiremo più a freddo se il presidente statunitense sia riuscito invece a sciogliere la contraddizione tra “America First”, da un lato, e tutela degli interessi degli alleati asiatici, dall’altro. Questi colloqui finali con Australia e Giappone servono anche a quello. Cina e Russia, ma anche Corea del Sud, stanno alla finestra, ma non con le mani in mano: Pechino e Seul hanno già precisato congiuntamente che la questione nordcoreana va risolta pacificamente.

Calma piatta nel Mar cinese meridionale

Corea del Nord, terrorismo, pirateria e crimine transnazionale sono i dossier su cui si soffermeranno i leader dell’Asean durante il vertice in corso a Manila (13–14 novembre). Per il momento nulla è stato detto sul Mar cinese meridionale, teatro di scontro tra Cina e vicini rivieraschi. Ma fonti di GMA News Online pronosticano la ripresa delle negoziazioni per il tanto atteso codice di condotta, di cui un quadro di massima è stato raggiunto lo scorso agosto.

Nel weekend Xi Jinping ha rassicurato Duterte che la Cina lavorerà con i paesi del Sudest asiatico “per salvaguardare la pace, la stabilità e la prosperità nella regione del Mar Cinese Meridionale”. Come precedentemente affermato alla stampa, durante il bilaterale il presidente filippino ha sollevato le preoccupazione dei vari paesi asiatici “su come dovremmo comportarci nei mari che oggi sono militarizzati, col timore che un errore possa sfociare in uno scambio di colpi di arma da fuoco”. Proprio domenica, incontrando il presidente vietnamita Tran Dai Quang ad Hanoi, Trump, che finora si è mantenuto cauto sulla questione — pur moltiplicando le operazioni di libera navigazione nel tratto di mare conteso — si è addirittura offerto come mediatore delle dispute: “Se posso essere d’aiuto a mediare o arbitrare, per favore fatemi sapere”.

L’intelligenza artificiale vera protagonista del Singles’ Day

25,4 miliardi i dollari. E’ il nuovo record totalizzato dall’11/11, il Black Friday cinese organizzato dal colosso dell’e-commerce Alibaba. A metà giornata, il volume di merce scambiata aveva già raggiunto la cifra complessiva totalizzata lo scorso anno: 18 miliardi. Numeri a parte, l’ultima edizione si è distinta sopratutto per il protagonismo delle nuove tecnologie. Dalle consegne per mezzo di robot e droni fino a Tmall Smart Selection, sistema di algoritmi che studiando i comportamenti online dei consumatori è in grado di consigliare ai rivenditori su quale prodotti puntare di più, fino a Dian Xiaomi, la chatbot che interloquisce con i clienti in caso di bisogno. Almeno apparentemente, la progressiva automatizzazione non dovrebbe togliere lavoro a nessuno andando a sopperire piuttosto la carenza di forza lavoro a fronte del vorticoso aumento degli ordini.

Tutto rientra perfettamente nei piani di Pechino. Entro il 2030, l’industria AI cinese dovrebbe raggiungere i 150 miliardi di dollari.

Joint-venture sino-estere per una propaganda più persuasiva

Non solo partnership tra testate statali ed esteri ma anche coproduzioni televisive. Ecco come Pechino sta cercando di trasformare la narrazione del paese asiatico oltremare. L’esempio più lampante è il documentario in tre parti trasmesso da Discovery Channel (in collaborazione con il China Intercontinental Communication Center) “China: Time of Xi”, andato in onda subito dopo la riconferma del presidente cinese alla guida del partito sancita dall’19esimo Congresso. Il programma descrive con ammirazione il nuovo ordine globale tracciato dalla leadership di Xi, con un plauso particolare alla Nuova Via della Seta. Deontologia a parte, la cooperazione è di natura tipicamente win-win: le risorse economiche e la vastità del mercato cinese fanno gola ai media internazionali, che dal canto loro ricompensano Pechino sfoderando uno storytelling più credibile e autorevole rispetto a quello dei mezzi d’informazione locali. Si tratta di una diversificazione rispetto agli usuali strumenti propagandistici: inserti e annunci con cui da anni i media governativi si sono insinuano tra le pagine dei più noti giornali stranieri dal Wall Street Journal al New York Times.