In Cina e Asia – Ricambio ai vertici Ue, per la Cina si mette male

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

L’arrivo di Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione europea potrebbe complicare non poco i rapporti tra la Cina e il blocco dei 28. L’ex ministro della Difesa tedesco non ha mai nascosto una certa diffidenza nei confronti del gigante asiatico. In un’intervista al Die Zeit lo scorso gennaio Von der Leyen accusava l’Europa di “sottovalutare spesso il modo in cui [Pechino] persegue coerentemente i suoi obiettivi – e in modo intelligente”, arrivando ad auspicare l’utilizzo di politiche analoghe a quelle adottate nei confronti della Russia. Più in generale, il nuovo presidente dell’esecutivo dell’Ue ha espresso il proprio disappunto riguardo alla vocazione “liberticida” del regime cinese, in particolar modo in riferimento al famigerato sistema dei crediti sociali. Von der Leyen prevede che la popolazione “opporrà resistenza” al controllo totalizzante del governo. Il ricambio ai vertice della Commissione europea arriva mentre Pechino guarda con maggiore speranza al Vecchio Continente per controbilanciare il clima d’ostilità che regna negli Usa [fonte: Scmp]

Il Pcc compie 98 anni

Il 1 luglio, mentre Hong Kong ricordava l’handover con proteste e scontri, a Pechino la leadership festeggiava i 98 anni del Partito comunista cinese. Per l’occasione il Dipartimento Centrale per l’Organizzazione ha rilasciato statistiche fresche sulla sua composizione. Apprendiamo così che nel 2018 la membership è cresciuta di 1,03 milioni di unità raggiungendo quota 90,59 milioni di tesserati. Di questi l’80% ha meno di 35 anni. Questo – secondo la società di consulenza Trivium –  vuol dire che lo scorso anno oltre 1 milione di membri ha abbandonato il partito per morte o in seguito a un provvedimento disciplinare. Nonostante la campagna anticorruzione, da quando Xi Jinping ha assunto la presidenza, il Pcc ha visto aumentare più rapidamente il numero degli iscritti: 2,1 milioni l’anno, contro gli 1,8 milioni del periodo 1978-2012. Il dato più spiazzante proviene dal calo delle cellule di partito all’interno delle aziende statali e soprattutto di quelle private passate da 1,88 milioni a 1,59 milioni. Al momento il Pcc è il secondo partito più grande del mondo per numero di iscritti dopo l’indiano Bharatiya Janata Party [fonte: China Daily]

Hong Kong, allarme suicidi e disturbi mentali tra i manifestanti

Dietro alle proteste anti-estradizione si nasconde un disagio giovanile più radicato di quanto non sembri. Dall’inizio delle manifestazioni sono già tre i ragazzi ad essersi tolti la vita, due quelli ad aver minacciato di farlo nella sola giornata di mercoledì. Samaritan Befrienders, un gruppo per la prevenzione del suicidio, ha riferito ieri di aver ricevuto 42 richieste di aiuto a partire dal 9 giugno, cinque volte quelle recapitate tra marzo e maggio. Tutte le chiamate sarebbero state collegate alla controversa legge. Novantanove sono invece le richieste di supporto psicologico indirizzate alla la Hong Kong Red Cross dal 12 giugno, il giorno in cui le proteste sono sfociate per la prima volta in scontri con le forze dell’ordine. “L’intera società è in preda all’isteria a causa di un’eruzione vulcanica generata dalla profonda crisi d’identità innescata dal disegno di legge”, ha affermato Paul Yip Siu-fai, direttore del Centre for Suicide Prevention presso la University of Hong Kong, “le persone sono arrabbiate, si preoccupano della sicurezza degli altri e percepiscono l’incertezza della propria vita. Non ho mai visto Hong Kong così turbata, turbata dalla sensazione che nulla sia sotto controllo”. E adesso si teme sempre più che la rassegnazione di alcuni inneschi gesti di emulazione. Più volte – giustificando l’utilizzo di metodi violenti – i manifestanti hanno sottolineato il senso di disperazione maturato durante le fallimentari marce pacifiche [fonte: Scmp]

La Cina in Africa oltre i luoghi comuni

Sull’attivismo cinese in Africa si è detto tutto e il contrario di tutto. Finalmente uno studio accurato ne analizza in maniera scientifica i pro e i contro. Realizzata dalla School of Oriental and African Studies e la London School of Economics, la ricerca prende in esame il comportamento delle aziende cinese in Etiopia e Angola. Quel che emerge è un quadro piuttosto diverso da quello pennellato normalmente dalla stampa internazionale. Sebbene lungi dall’essere eccezionale, il trattamento riservato dalle società cinese ai dipendenti locali si rivela sicuramente di qualità non inferiore a quello dei competitor internazionali o africani. Il report smentisce anche il luogo comune secondo il quale i lavoratori autoctoni sarebbero discriminati a vantaggio dei colleghi cinesi: in Etiopia ben il 90% del personale impiegato nelle aziende d’oltre Muraglia e locale. Nulla da recriminare anche in termini di stipendio, a cui spesso vengono aggiunti alloggio e pasti gratuiti. Lo studio conclude sottolineando le responsabilità dei governi locali, spesso troppo passivi nell’accettazione di condizioni imposte dall’esterno [fonte: FT]

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