In Cina e Asia – Pechino approva la prima legge contro le sanzioni straniere

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Il parlamento cinese ha approvato in seconda lettura l’attesa legge contro le sanzioni straniere. La legge era nell’aria da tempo, ma la sua finalizzazione è avvenuta in tempi insolitamente rapidi. A gennaio il ministero del Commercio cinese aveva introdotto nuove misure per punire le aziende estere compiacenti nei confronti delle sanzioni straniere. Era poi stato il presidente dell’Assemblea nazionale del popolo, Li Zhanshu, lo scorso marzo ad anticipare l’arrivo di nuovi “strumenti legali per affrontare le sfide, proteggerci dai rischi e opporci a sanzioni straniere, interferenze e alla giurisdizione dal braccio lungo”. Chiaro riferimento alle misure introdotte dagli Stati uniti contro aziende e funzionari cinesi, ritenuti responsabili della repressione di Hong Kong e delle minoranze dello Xinjiang. Da dicembre a oggi, il ministero degli Esteri cinese ha annunciato 11 contromisure per punire l’interferenza dei paesi occidentali negli affari interni di Pechino. Ma, come spiega al Global Times Tian Feilong della Beihang University, “le precedenti sanzioni [cinesi] erano frammentarie e prive di una base giuridica sufficiente.” Ora la Cina “potrà adottare contromisure dalla stessa posizione dell’Occidente”. Sì perché provvedimenti simili sono stati introdotti anche dall’Ue nel 1996, ma vantano una trasparenza che l’equivalente cinese non ha. Cosa comporta la nuova legge? Le agenzie del Consiglio di Stato “possono ora inserire in ‘elenchi di contromisure’ persone straniere direttamente o indirettamente coinvolte nella formulazione, nel processo decisionale o nell’attuazione di misure discriminatorie restrittive”. Le contromisure comprendono “il rifiuto/revoca del visto, divieto di ingresso, l’espulsione, il congelamento dei beni e il divieto o la restrizione delle transazioni con le persone inserite nell’elenco”. Tali ritorsioni possono essere estese anche a persone legate ai soggetti sanzionati, come i familiari stretti o la dirigenza di entità estere. La legge è stata accolta con favore anche a Hong Kong, dove la chief executive Carrie Lam ha dichiarato che la normativa farà assaggiare agli States e agli altri paesi ostili “la loro stessa medicina”. Si dicono invece preoccupate le aziende straniere, ormai costrette a fare una scelta di campo: investire negli Stati uniti o in Cina. Secondo gli esperti, tuttavia, la nuova legge fornisce una giustificazione legale per poter esigere un’esenzione dalle sanzioni occidentali. [fonte SCMP, GT]

Hong Kong: stretta sull’industria cinematografica

Hong Kong sempre più cinese, anche nelle scelte cinematografiche. Stamattina il governo locale ha provveduto a modificare la Film Censorship Ordinance per meglio adattarla alla nuova legge sulla sicurezza nazionale. Il comunicato ufficiale recita che “il censore dovrà vigilare sulla rappresentazione, raffigurazione o trattamento di qualsiasi atto o attività che possa costituire un reato pericoloso per la sicurezza nazionale, o che rischi altrimenti di mettere a repentaglio la salvaguardia della sicurezza nazionale da parte dell’HKSAR”. Nel mirino finisce “qualsiasi contenuto di un film oggettivamente e ragionevolmente in grado di essere percepito come avallo, sostegno, promozione, glorificazione, incoraggiamento o incitamento” di comportamenti in violazione della controversa legge. Le nuove misure – che hanno effetto immediato – confermano la progressiva erosione della libertà di espressione nella regione amministrativa speciale, come confermato in un rapporto realizzato dal governo britannico tra luglio e dicembre 2020. “La Cina si trova in uno stato di continua non conformità alla Dichiarazione congiunta” del 1984, ha spiegato ieri il ministro degli Esteri Dominic Raab presentando il report. [fonte Reuters AFP, RTHK]

La Cina leader della tecnologia blockchain entro il 2025

La Cina leader della tecnologia blockchain entro il 2025. E’ l’obiettivo del nuovo piano realizzato congiuntamente dal ministero dell’Industria e dell’Information Technology (MIIT) e la Cyberspace Administration of China (CAC), che prevede prevede la creazione di standard industriali, incentivi fiscali e tutele della proprietà intellettuale per supportare il promettente settore. Il documento sottolinea la necessità di coltivare campioni nazionali in grado di competere a livello globale, nonché l’importanza della blockchain per l’economia reale – gestione della catena di approvvigionamento, tracciabilità dei prodotti e condivisione dei dati – così come per i servizi pubblici. Da quando Xi Jinping ha inserito la blockchain tra le priorità del paese, il mercato cinese è cresciuto a un ritmo di oltre il 50% l’anno. Alibaba è la prima azienda al mondo per brevetti sulla tecnologia blockchain depositati. Ma non tutto è rosa e fiori. Una delle principali applicazioni della tecnologia, lo sviluppo di criptovalute decentralizzate, è in questi giorni al centro di una ferrea regolamentazione. Xinjiang, Qinghai e Mongolia interna hanno severamente vietato il mining. La stretta ha in parte motivazioni ambientali, dato il dispendio energetico richiesto dal processo estrattivo. Ma non solo. Di ieri la notizia dell’arresto di oltre 1000 persone accusate di utilizzare le criptovalute per riciclare denaro sporco. Nell’operazione, condotta in 23 province, sono stati sgominati 170 gruppi criminali. Alla necessità di combattere gli illeciti si aggiungono però considerazioni legate alla stabilità sociale. Secondo un recente sondaggio condotto da Weibo, il 44,8% dei 29.000 rispondenti ha dichiarato di aver investito nelle criptovalute. Per la maggior parte sono ragazzi giovanissimi e inesperti. Con le oscillazioni vertiginose dei prezzi, c’è il rischio reale che gli investitori alle prime armi si ritrovino da un giorno all’altro con un pugno di mosche in mano. [SCMP, REUTERS]

Guai in arrivo per Wang Qishan?

Le autorità giudiziarie hanno annunciato che l’ex funzionario anticorruzione Dong Hong sarà processato a Qingdao per corruzione. I reati contestati sono stati commessi in un lungo arco di tempo, mentre Dong ricopriva incarichi statali a Pechino e sull’isola di Hainan, prima ancora di cominciare a prestare servizio nella Commissione disciplinare. Balza all’occhio un particolare riportato dalla stampa cinese: le malefatte sarebbero state compiute proprio nello stesso periodo in cui Dong era assistente del vicepresidente Wang Qishan, ex zar dell’anticorruzione nonché ex sindaco di Pechino ed ex segretario del partito di Hainan. Il cerchio si stringe intorno a Wang? Forse. D’altronde da quando ha assunto il suolo cerimoniale di vicepresidente, il fidato alleato di Xi Jinping è finito un po’ nell’ombra. Vero è però che, per quanto una rarità, è già successo che il braccio destro di un leader sia stato relegato dietro le sbarre. Era successo alla vigilia del XVIII Congresso del partito con il segretario di Hu Jintao, Ling Jihua. Ma la cosa non sembra aver turbato il pensionamento dell’ex presidente. [fonte FT]

USA e Taiwan pronti a riavviare il dialogo economico

Gli Stati uniti si apprestano a riavviare il dialogo economico con Taiwan. Nella giornata di giovedì la rappresentante per il commercio americana Kathrine Tsai ha incontrato l’omologo taiwanese in videoconferenza. Le due parti hanno convenuto sulla necessità di rilanciare i lavori del Trade and Investment Framework Agreement Council, congelati nel 2016 con l’insediamento di Trump per non compromettere i negoziati commerciali con il gigante asiatico. Dichiarazione di intenti che non ha mancato di indispettire Pechino. La questione taiwanese è ormai uno dei dossier più spinoso delle relazioni tra la Cina e le democrazie, che queste siano occidentali o asiatiche. Sempre ieri il ministero degli Esteri cinesi ha emesso una nota verbale in risposta all’insolito utilizzo da parte del premier nipponico Suga del termine “paese” anziché dell’usuale “regione” durante un dibattito parlamentare. Ci si attende che di Taiwan si tornerà a parlare anche durante l’imminente G7, che salvo colpi di scena si chiuderà con un appello corale alla stabilità nello Stretto di Formosa. [fonte SCMP]

Anche l’Ue chiede di riaprire le indagini sull’origine del virus

L’Unione europea ha chiesto ulteriori indagini per appurare l’origine del coronavirus. L’appello, veicolato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sottolinea la necessità di fare chiarezza sull’ “orribile pandemia”, “per trarre le giuste lezioni e sviluppare gli strumenti giusti per assicurarci che questo non accada mai più.” “Gli investigatori hanno bisogno dell’accesso completo a tutto ciò che è necessario per trovare davvero la fonte” del contagio, ha dichiarato von der Leyen. La richiesta – a cui hanno fatto eco Biden e Boris Johnson dopo poche ore – giunge alla vigilia di un G7 particolarmente atteso. Secondo le indiscrezioni della stampa internazionale, la Cina sarà il vero convitato di pietra dell’evento, che vedrà, tra gli altri, la partecipazione speciale di Australia, Corea del Sud e India come osservatori. Non solo. Il Covid pare sarà anche in cima all’agenda di un vertice separato tra Biden e i leader Ue previsto per mercoledì a Bruxelles. Il comunicato congiunto, visionato da Bloomberg, anticipa che le parti “si impegnano a lavorare insieme per lo sviluppo e l’uso di mezzi rapidi e indipendenti per indagare su nuovi focolai in futuro”. [fonte SCMP]