In Cina e Asia – L’India cresce più della Cina (?)

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna asiatica di oggi

– Nel 2015 l’India è cresciuta più della Cina, sulla carta
– La Cina avverte: il sistema missilistico sudcoreano (più Usa) contro Pyongyang fa più male che bene
– Scontri tra cittadini e polizia ad Hong Kong per piano di sfollamento delle bancarelle illegali
– L’India contro Free Basics by Facebook: vince la «net neutrality»
– Presidenza del Myanmar: Aung San Suu Kyi in trattative per modificare la clausola che la esclude dalla corsaNel 2015 l’India è cresciuta più della Cina, sulla carta

Carta canta: la crescita indiana nel 2015 si è attestata al 7,5 per cento, superando la locomotiva cinese ferma al 6,9 (un dato che ha generato scalpore e un concerto di campane a morto per l’economia cinese, forse premature). Il risultato ha galvanizzato la stampa internazionale e il governo Modi, che da quasi due anni è impegnato in un tour mondiale di promozione del progetto «Make in India»: il piano di incentivi e semplificazione che dovrebbe attirare investimenti dall’estero nel mercato indiano, pronto – secondo Modi – a sostiutuire la Cina «fabbrica del mondo».

Ma i dati della crescita del Pil lasciano perplessi molti analisti ed economisti. L’India, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 2015, aveva modificato il metodo di rilevazione della crescita del Pil, in particolare spostando l’anno di base per le variazioni dal 2005 al 2010: in 24 ore, senza che nulla cambiasse «sul campo», la pagella indiana della crescita del Pil aveva guadagnato 5,2 punti percentuali.

È opinione di diversi analisti che il «trucco» operato dalle istituzioni indiane renda più complicato il rapporto della crescita con altri indicatori – esportazioni, produzione interna e investimenti in entrata – che invece rimangono in ordini di grandezza discreti.

La Cina avverte: il sistema missilistico sudcoreano (più Usa) contro Pyongyang fa più male che bene

In seguito all’ennesima «provocazione» nordcoreana, che pochi giorni fa ha lanciato in orbita un oggetto ancora non meglio identificato oltre ogni lecito dubbio (satellite? missile?), Corea del Sud e Stati Uniti hanno rilanciato la necessità di mettere in funzione il sistema antimissilistico Thaad come arma deterrente contro il regime di Kim Jong Un. Una decisione che la Cina, attraverso l’agenzia di stampa Xinhua, non farebbe altro che peggiorare la situazione nell’area, incentivando la «corsa agli armamenti» tra i principali attori della regione (Giappone compreso, al quale l’idea del Thaad non dispiace).

Nel frattempo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunito d’urgenza lunedì, ha annunciato che le conseguenze per la Corea del Nord a seguito del presunto test missilistico «non saranno business as usual».

Scontri tra cittadini e polizia ad Hong Kong per piano di sfollamento delle bancarelle illegali

Nella notte di lunedì la polizia di Hong Kong ha tentato di rimuovere le bancarelle di cibo di strada nel distretto di Mong Kok: una presenza tradizionale per le strade dell’isola entrata ora nel mirino delle autorità all’interno del progetto di «tolleranza zero» per gli esercizi commerciali illegali.

Arrivate sul posto, le autorità sono state «accolte» da una folla di manifestanti che ha iniziato a bersagliare gli uomini in uniforme con pietre e cumuli di immondizia. La tensione è salita fino a sfociare in un vero e proprio «riot», con cestini dati alle fiamme e decine di cittadini in colluttazione con decine di poliziotti in assetto anti sommossa. Il bilancio è di una cinquantina di feriti e almeno 25 arresti. Si tratta dello scontro più violento tra polizia e cittadini dai tempi della Umbrella Revolution (#OccupyHK).

L’India contro Free Basics by Facebook: vince la «net neutrality»

Con una presa di posizione storica l’India’s Telecom Regulatory Authority (Trai) nella giornata di ieri ha emanato le nuove regolamentazioni nel mercato delle telecomunicazioni nazionali, vietando le «differenze di prezzo» per i servizi di provider, un’eventualità che avrebbe danneggiato i provider minori nella competizione coi giganti delle telecomunicazioni. La conseguenza diretta della decisione ha, di fatto, chiuso ogni possibilità di realizzazione al progetto Free Basics promosso da Facebook, che intendeva offrire accesso gratuito «a tutti» alla Rete attraverso un programma di jointe venture coi principali provider nazionali; salvo circoscrivere l’accesso a «25 siti internet».

La manovra monopolistica, secondo gli attivisti per la «net neutrality», avrebbe ucciso la pluralità e la libertà della rete in India, dando a Facebook il diritto di decidere quali e quanti contenuti rendere disponibili attraverso Free Basics, concretamente creando una Rete gratuita e limitata «per i poveri» e una Rete aperta e a pagamento «per i ricchi».

La campagna di promozione aggressiva di Free Basics di Facebook – fatta di pubblicità su media digitali e tradizionali e un controverso «sondaggio» tra gli utenti Facebook residenti in India – era stata osteggiata da una controcampagna di sensibilizzazione online, alla quale aveva partecipato il collettivo satirico All India Bakchod. La compagnia Facebook, dicendosi «amareggiata» per la decisione del Trai, ha fatto sapere di voler «continuare i propri sforzi per abbattere le barriere e offrire alla popolazione non connessa la possibilità di usufruire di internet e delle opportunità annesse». L’India è il secondo paese al mondo per utenti connessi alla Rete (più di 400 milioni).

Presidenza del Myanmar: Aung San Suu Kyi in trattative per modificare la clausola che la esclude dalla corsa

Il parlamento birmano inizerà il processo di elezione del nuovo presidente il prossimo 17 marzo. Entro quella data, secondo le indiscrezioni, dovrebbero terminare anche le trattative informali tra la Lega nazionale per la democrazia guidata da Aung San Suu Kyi e i rappresentanti della junta militare, che detengono ancora il 25 per cento dei seggi parlamentari.

Sul piatto, la clausola che impedirebbe a chiunque abbia parenti «non birmani» di correre per la carica di presidente, una misura evidentemente inserita nella carta costituzionale per impedire a Suu Kyi la poltrona di presidente (i suoi figli non sono cittadini birmani). La norma può essere modificata solo col favore di oltre il 75 per cento dei parlamentari, di fatto garantendo alla junta l’ultima parola in materia.
In alternativa, il favorito a ricoprire la carica dovrebbe essere il suo medico personale.

[Foto credit: scmp.com]