Il successo, per ora, della strategia aggressiva di Modi contro il Pakistan

In Uncategorized by Simone

A poco più di una settimana dall’annuncio dei «surgical strikes» condotti dalle forze speciali indiane oltre la Linea di controllo (Loc), dentro e fuori l’India si misurano effetti diretti sull’opinione pubblica nazionale e sull’ambiente politico pakistano. La strategia pare essere doppia e, nell’ottica del primo ministro Modi, assolutamente efficace: in India l’opinione pubblica viene spinta verso un ultranazionalismo machista, con un occhio alle prossime elezioni locali in Uttar Pradesh; in Pakistan il governo civile «richiama all’ordine» i militari e i servizi segreti, che contro la rete del terrorismo islamico pakistano devono fare di più.L’esercito non si discute, si ama, e chi fa domande è un irresponsabile anti-nazionale. A una settimana dagli attacchi mirati condotti dalle forze speciali indiane oltre la Loc, questo è il sentimento generale di un’opinione pubblica centrifugata in un mix di orgoglio militare, ultranazionalismo e machismo (su Scroll.in ne parla meravigliosamente Sanjay Srivastava, partendo da uno spot della Amul – marca di latticini indiana – per arrivare alla «normalizzazione della violenza» in un paese a torto considerato «pacifico»). Conseguenze prevedibili della decisione dell’esecutivo di rendere pubblici alcuni dettagli relativi agli attacchi mirati contro i «terroristi pakistani», porgendo ai media indiani l’occasione di imbastire l’ennesima campagna nazionalista anti-pakistana, capace di far passare in secondo piano tutte le criticità dell’attuale amministrazione – dalla situazione in Kashmir agli strascichi controversi delle morti di Mohammad Akhlaq e Rohith Vemula, tra le altre – e chiamare a raccolta l’elettorato indiano attorno al partito di maggioranza Bharatiya Janata Party (Bjp), responsabile del moto d’orgoglio nazionale condotto attraverso le azioni dell’esercito.

Una coincidenza che mette i politici del Bjp in condizione di spingere sull’acceleratore del populismo, al di là dell’apparente chiamata alla responsabilità estesa dal primo ministro Narendra Modi ai propri colleghi di partito. Secondo le ricostruzioni della stampa, in una riunione di gabinetto di mercoledì 5 ottobre Modi ha chiesto che solo i «membri autorizzati del governo» parlino pubblicamente degli attacchi mirati oltre la Loc e che si eviti il «chest thumping» (battersi il petto, nel senso di vantarsi), mentre dalle opposizioni si sono levate richieste di «andare a vedere il bluff del Pakistan», rendendo pubblici i video dei blitz e sconfessando le teorie di Islamabad per cui l’India si sarebbe inventata tutto a soli fini propagandistici.

Le richieste di trasparenza di Indian National Congress (Inc) e Aam Aadmi Party (Aap) sono state respinte con accuse, buone per tutte le stagioni, di antinazionalismo, mentre in tutta risposta alla posa da statista di Modi, giovedì 6 ottobre il ministro della difesa Manohar Parrikar – presumibilmente uno dei «ministri autorizzati» a parlare degli attacchi oltre la Loc – durante un comizio in Uttar Pradesh ha dato la resa plastica del concetto di «responsabilità» declinato dai falchi del Bjp.

L’Indian Express riporta frasi come «Il Pakistan continua a minacciarci con la bomba nucleare. Se anche noi li colpissimo con l’atomica, li spazzeremmo via dalle carte geografiche», «noi rispettiamo il sacrificio delle vite di coloro che difendono il nostro paese. Ma dovremmo anche iniziare a pensare a sacrificare le vite dei nostri nemici…chiedo ai nostri soldati non solo di uccidere i nostri nemici, ma di neutralizzarli» e «Nessuno ha mai messo in dubbio il coraggio delle nostre forze armate, ma per la prima volta ora qualcuno esprime dei dubbi. C’è una ragione per la quale si chiedono prove [dei blitz], in molti temono che l’immagine di Modi crescere [dopo gli attacchi mirati]».Infine, Parrikar ha messo in guardia il Pakistan, auspicando che «badi ai propri modi», o altrimenti si prepari al «Tricolore su Islamabad».

Agli osservatori di cose indiane è chiaro che comizi di questo tipo non preludono a una prossima escalation delle violenze o, ipotesi ventilata con ostinazione dai media nazionalisti indiani più per autocelebrazione nazionale che per verosimiglianza con la realtà, di una guerra imminente tra India e Pakistan. In Uttar Pradesh – 130 milioni di elettori – nei primi mesi dell’anno prossimo si terranno le elezioni locali e, è evidente, la campagna elettorale è già iniziata.

Oltreconfine, in Pakistan, la manovra di isolamento condotta magistralmente dall’esecutivo Modi ha spinto il governo di Nawaz Sharif nell’angolo, costringendolo – secondo quanto riporta in esclusiva il quotidiano Dawn – ad affrontare di petto la dualità della governance interna, che negli affari del terrorismo interno vede il governo «civile» costantemente marginalizzato dalle decisioni unilaterali e torbide prese dai vertici militari e dall’Isi, i servizi segreti pakistani, storicamente restii a colpire duramente le varie cellule terroristiche attive nel paese.

Dawn dà conto di una tavola rotonda di fuoco tra esecutivo, vertici militari e servizi tenutasi a Islamabad lunedì 3 ottobre, il cui resoconto è stato confidato da persone, protette dall’anonimato, presenti nella stanza della riunione, ma ovviamente sconfessato da tutte le parti in causa. Il premier Nawaz Sharif, affiancato dal chief minister del Punjab pakistano Shahaz Sharif (suo fratello), avrebbe ordinato ai militari e ai servizi di «non interferire nelle future azioni che saranno intraprese dalle autorità [dalla polizia, sotto il controllo del governo, ndr] contro le sigle del terrorismo già dichiarate bandite o fino ad ora considerate "off limits"». Messaggio che lo stesso direttore generale dell’Isi, generale Rizwan Akhtar, porterà di persona ai direttori locali di Isi delle quattro province del Pakistan (tour già iniziato con Lahore, capitale del Punjab pakistano).

Inoltre, Sharif ha comunicato ai presenti nella stanza che saranno messe in campo nuove iniziative per riprendere le indagini congiunte tra India e Pakistan relative all’attacco alla base militare di Pathankot, Kashmir indiano, dello scorso anno, in aggiunta alla ripresa dei processi per gli attentati di Mumbai del 2008, istruiti in un tribunale speciale a Rawalpindi (città che ospita il quartier generale delle forze armate pakistane). Tra gli indagati figurano diversi pezzi grossi di Lashkar-e-Taiba, la cellula terroristica pakistana guidata da Hafeez Said, che al momento risiede in una villa fortificata a Lahore protetta da uomini armati (non è chiaro se guardie private, membri dell’Isi, militari o un mix delle tre).

L’iniziativa di Sharif, descritta come un unicum nei rapporti tra l’esecutivo e gli organi militari del Pakistan, lascerebbe intendere la volontà da parte di Islamabad di abbassare i toni e tentare una normalizzazione dei rapporti con l’India, uscendo così da un recente isolamento internazionale che ha spinto addirittura gli alleati storici statunitensi a schierarsi, seppur parzialmente, con New Delhi.

Se così dovesse essere, saremmo di fronte all’ennesimo capolavoro geopolitico di Narendra Modi, a conferma che un politico scaltro come l’attuale primo ministro indiano, qui in India, non si vedeva da un pezzo.

[Scritto per Eastonline]