Nell’inarrestabile marcia verso un progresso che rimane allo stadio di progetto, tutto ciò che viene eliminato perché considerato inutile retaggio del passato, ritorna nelle pratiche quotidiane, integrato nella coscienza individuale e collettiva Freud ha chiamato questo processo ‘ritorno del rimosso nella progressione storica’.
Anche l’interpretazione data da Francis Fukuyama del periodo successivo alla dissoluzione dei regimi socialisti, analizzata nel saggio “Fine della Storia”, rischia suo malgrado di riaffermare un paradigma unidirezionale delle società contemporanee: se questo può funzionare a livello teorico, tutte le pratiche umane, in quanto tali, rispondono a meccanismi molto più complessi, integrati nella storia genetica (la memoria) e continuamente riattualizzati nel presente.
La lettura freudiana della tradizione può servire a combattere l’interpretazione univoca del destino delle civiltà, e rendere concettualmente possibile la compresenza di modernità e tradizione, che di fatto caratterizza la contemporaneità e i modi in cui viene definita.
In Cina, il muro come metafora, spazio virtuale e materiale (un pieno che delimita il vuoto), e le sue diverse applicazioni che permangono nelle pratiche sociali e architettoniche, rappresenta in modo esemplare il ritorno del rimosso e della tradizione stigmatizzata:
“This examination of the persistence of the wall as a building typology in China emphasizes ‘tradition’ in a fast-changing society as constantly constructed and deconstructed in a perpetual flux of historical practices (…) in this ongoing process … the same tradition may be appropriated, rehistoricized and transplanted. With a capacity to renew itself, tradition may be held back temporarily during periods of political and social change, but rarely does it die off completely. Instead, it tends to reappear in new guises in new contexts.” (Lu Duanfang, 2006, Remaking Chinese Urban Form).
Il muro inteso come recinzione, determina una netta separazione dello spazio da ciò che lo circonda: un’espressione visibile dell’identità di un luogo, e un confine che protegge da incursioni esterne.
Prima della fondazione della Repubblica Popolare, il muro era un elemento pervasivo nella cultura e nella mentalità cinese, costitutivo dello spazio urbano al punto da essere usato come sinonimo di città (cheng): tutto quello che il perimetro del muro comprendeva. La Cina stessa diventa, rispetto alla Grande Muraglia, un’unica città contenuta da questa barriera: struttura inclusiva ma soprattutto esclusiva.
Il socialismo maoista ha visto nelle recinzioni urbane un retaggio feudale, simbolo di un potere fondato sulla divisione della società in classi e sullo sfruttamento di quelle più deboli, tanto da permettere il progressivo smantellamento delle mura che circondavano Pechino, già compromesse dagli anni di guerra civile e progressivamente depredate del loro materiale di costruzione.
Sebbene ufficialmente destituito, il muro è ritornato nelle pratiche architettoniche come modo per delimitare i confini delle proprietà statali e delle terre, dopo la collettivizzazione arbitrariamente assegnate a chiunque ne reclamasse l’uso, compreso lo Stato.
Nell’epoca delle riforme, la recinzione è stata nuovamente applicata a progetti privati di real estate come resort o complessi condominali, ancora una volta per proteggere gli abitanti ed escludere tutto quello che è collocato al di fuori di questa città in miniatura: il “rimosso” torna nella città sottoforma di strutture architettoniche “tradizionali”.
In Liquid Modernity, Zygmunt Bauman caratterizza la società liquida come una nella quale la strategia primaria di potere è la fuga, lo slittamento, l’elisione, l’effettivo rigetto di qualsiasi confinamento territoriale e dei macchinosi corollari di costituzione e mantenimento dell’ordine. La fluidificazione dello spazio urbano cinese è appena cominciata, in un contesto diverso e con differenti conseguenze.
La città cinese è stata una frontiera che ha reso possibile la prossimità spaziale e la temporalità sincronica di miriadi di pratiche eterogenee: nel momento in cui queste si intersecano, combinano e ramificano, i confini vengono smantellati e i canali tra compartimenti distinti si moltiplicano seguendo peculiari congiunture di presenti differenti.
Si è visto finora che la storia dello spazio “costruito” in Cina coincide con la narrazione delle esperienze diversificate della modernità socialista. Quello che dà consistenza allo spazio prodotto è il suo ruolo significativo nella costruzione, riproduzione e trasformazione dell’ordine sociale.
Vista in questa luce, la città cinese è diventata molto simile a quelle di contesti capitalistici avanzati; per altri aspetti, tuttavia, la società continua a generare uno spazio urbano che differisce sensibilmente da quello dei contesti menzionati: nelle maggiori città cinesi lo sviluppo residenziale del dopo-riforma è stato per esempio dominato da progetti di vasta portata, grande sviluppo in altezza ed elevata densità.
Lo schema del microdistretto, il paradigma decennale di pianificazione socialista, è stato rafforzato attraverso nuovi codici di pianificazione e riadattato come modello dominante per grandiosi progetti di real estate. In quanto tale, il panorama residenziale urbano in Cina, piuttosto che divenire occidentale, si dispiega in accordo col “programma” ereditato dal passato: il modello di sviluppo residenziale ad alta densità presenta infatti notevoli somiglianze con quello di altre città dell’Asia Orientale, come Singapore e Hong Kong. E le mura tornano in questi luoghi minuziosamente progettati a definire lo spazio per esclusione.
[La foto di copertina è di Alberto Boccanelli]*Mariagrazia Costantino ha frequentato un Master in Media and Film presso la SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra e ha da poco conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Cinema presso il Dipartimento di Comunicazione e Spettacolo dell’Università di Roma Tre. È coautrice di Arte Contemporanea Cinese (Electa) e ha contribuito alla stesura del testo World Film Locations: Beijing.