I cartoni e il caos maoista

In Cina, Cultura by Alessandra Colarizi

“Che cento fiori sboccino, che cento scuole gareggino”. Lo slogan, pronunciato da Mao nel 1956 in allusione alle innumerevoli correnti filosofiche fiorite durante il periodo degli Stati Combattenti (480-220 a.C.), avviò un breve interludio liberale delle arti e delle scienze, represso appena un anno dopo all’insorgere di un’inattesa contestazione di massa contro l’operato del partito comunista. E’ sullo sfondo di quella fugace vivacità culturale che si è sviluppata la prima fase d’oro dell’industria dell’animazione “made in China”. Approdati oltre la Muraglia nel 1918 con l’arrivo della pellicola americana Out of the Inkwell, i cartoni si sono presto liberati delle primordiali contaminazioni a stelle e strisce, subendo una progressiva indigenizzazione dei contenuti e delle tecniche. Veicolo di valori patriottici e anticolonialisti durante l’occupazione giapponese, di messaggi propagandistici in epoca maoista, i film d’animazione “con caratteristiche cinesi” hanno raggiunto la loro massima espressione tra il 1955 e il 1965. Un decennio durante il quale l’industria fu precettata dalla macchina ideologica del partito. Dalla lotta di classe alla resistenza vietnamita contro gli Stati uniti, i cartoni hanno istruito le masse analfabete sui principali eventi politici dell’epoca. Complice la diffusione dei cosiddetti “cinema del popolo”, spesso niente più che un lenzuolo bianco e un proiettore.

E’ in questi anni che l’industria dell’animazione cinese portò a compimento un lungo processo di riappropriazione delle forme artistiche tradizionali con l’intento di ridurre l’inferiorità tecnica della Repubblica popolare rispetto ai competitor internazionali. L’intaglio della carta (jianzhi), il zhizhi (l’origami), il teatro delle marionette e la pittura a inchiostro di Qi Baishi (1864 – 1957) – uno degli artisti che meglio ha saputo reinterpretare l’arte figurativa di epoca Ming in una nuova forma di “intimismo naturalistico” – costituirono gli ingredienti principali della sperimentazione dell’epoca. Tutto ruotava intorno al famigerato Shanghai Animation Film Studio, nato nel 1957 dalle ceneri del Northeast Motion Picture Studio, la prima casa di produzione fondata da un partito comunista. Finito sotto l’ala del ministero della Cultura, il SAFS è in seguito rimasto l’unico studio a operare durante il periodo maoista, scomparendo brevemente dalla scena durante la Rivoluzione Culturale per poi riaffermarsi leader del settore con in mano l’80% del mercato interno.

La sua storia si intreccia alla movimentata carriera professionale dei fratelli Wan, veri pionieri dell’animazione cinese. Originari di Nanchino ma shanghaiesi d’adozione, i quattro Wan cavalcarono l’onda nazionalista riuscendo a sinizzare le suggestioni culturali in arrivo dall’altra sponda del Pacifico. Nel 1941, il quartetto portò nelle sale Tiefan Gongzhu (Princess Iron Fan), primo lungometraggio “made in China” nato dalla rielaborazione in chiave antinipponica del celebre romanzo di epoca Ming Viaggio verso Occidente con l’aggiunta di marcate sfumature disneyane. Costato 350mila yuan e il lavoro di 237 artisti, venti anni più tardi, il cartone avrebbe ispirato la realizzazione di quello che viene considerato il capolavoro dei Wan. Danao Tiangong (Havoc in Heaven) è forse la versione più nota delle innumerevoli trasposizioni cinematografiche a cui sono stati sottoposti Viaggio verso Occidente e Sun Wukong, lo scimmiotto indisciplinato e malizioso – paragonabile per notorietà a Topolino – che accompagna il monaco Xuanzang nel suo cammino verso l’India per recuperare le sacre scritture buddhiste. Tanto che tutt’oggi il cartone conserva un punteggio di 9,3 su Douban, piattaforma utilizzata per condividere pareri su specifici argomenti quali film e musica. L’amore per i passatismi non basta a spiegare il successo riscosso dalla produzione.

Caratterizzato dalla vivacità cromatica in un periodo in cui prevaleva ancora il bianco e nero, durante la prima fase di lancio, nel 1961, Danao Tiangong conquistò il pubblico grazie alle sue sonorità mutuate dall’Opera di Pechino, ricevendo apprezzamenti internazionali al Festival di Locarno. Ma erano anni in cui anche un piccolo passo falso poteva costare la carriera e non solo. E Havoc in Heaven si prestava a controverse letture politiche già soltanto per il nome, un tributo al motto di Mao “tutto sotto il cielo è nel più completo caos; la situazione è eccellente”. Al Grande Timoniere piaceva interpretare la ribellione di Sun Wukong contro l’Imperatore di Giada come un’allegoria delle forze rivoluzionarie contro la borghesia e le usanze feudali. “Possiedo lo spirito un po’ della tigre e un po’ della scimmia,” affermò un giorno Mao. Ma con l’approssimarsi della Rivoluzione Culturale insicurezza e sospetti alimentarono la creazione di traditori reali e immaginari. Al rilascio della seconda parte del cartone, nel 1964, il Grande Timoniere si vide improvvisamente vestire i panni dell’Imperatore di Giada assediato dalle scimmie, non più dell’eroico Sun Wukong. Danao Tiangong fu messo al bando un anno dopo la sua prima proiezione in forma integrale. Il SAFS sospese tutte le attività, il suo direttore Wan Laiming (il più famoso dei quattro fratelli), fu arrestato e l’aiuto regista rieducato nelle campagne. Solo poche delle decine di migliaia di schizzi realizzati dai grafici dell’epoca sopravvissero alla furia devastatrice delle Guardie Rosse.

[Pubblicato su il manifesto]