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Dialoghi – SOS: sfide ed evoluzione della risposta cinese alle emergenze

In Dialoghi: Confucio e China Files, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

A vent’anni dall’esplosione della pandemia di Sars in Cina com’è evoluta la strategia della Repubblica popolare per rispondere a catastrofi naturali ed emergenze sanitarie? Dal 2003 sono tanti i tentativi avviati da Pechino per implementare un sistema tempestivo di soccorso. La parola chiave resta la“mobilitazione”. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

Alle 14:28 del 12 maggio di quindici anni fa la terra tremava a Wenchuan. In pochi secondi quella che era una normale contea del Sichuan nordorientale ha subito uno stravolgimento che non si verificava da centinaia di anni. Il terremoto di magnitudo 7.8, il più grave della storia cinese moderna, ha causato la morte di 69.227 persone, più 394.643 feriti e 17.923 dispersi. Una delle regioni più povere della Cina si trovava così catapultata in un’emergenza mai vista prima e che aveva portato alla paralisi del sistema sanitario, alla distruzione di centinaia di migliaia di abitazioni e di oltre 7 mila scuole e all’interruzione di decine di migliaia di chilometri di strade. L’evento ha sconvolto il paese, ma ha anche contribuito alla riflessione sui miglioramenti necessari per la prevenzione e l’intervento delle autorità in caso di emergenza.

Solo un anno prima del terremoto Pechino aveva promulgato la “Legge sulla risposta alle emergenze della Repubblica popolare cinese” proprio con lo scopo di “prevenire e ridurre il verificarsi di emergenze, controllare, mitigare ed eliminare i gravi danni sociali causati dalle emergenze, regolare le attività di risposta alle emergenze, proteggere le vite e le proprietà della popolazione e mantenere la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, la sicurezza ambientale e l’ordine pubblico”. Il nuovo quadro normativo non arrivava per caso in quegli anni. A spingere le autorità cinesi verso un processo di ridefinizione e riorganizzazione dei piani di gestione delle emergenze era stata un’altra grave crisi nazionale: l’epidemia di Sars del 2003. Le difficoltà emerse nel gestire l’emergenza sanitaria aveva spinto il governo centrale a rivedere la catena di attori coinvolti negli interventi di primo soccorso e gestione a lungo termine delle emergenze, cercando di costruire una gerarchia di enti capaci di mobilitare risorse economiche e umane per affrontare un fenomeno estremo con rapidità.

Da “efficiente” a “resiliente”: la prospettiva di Pechino sulla emergency management

Secondo un report della Banca mondiale dedicato all’emergency management del terremoto del 2008, questo obiettivo sembrava raggiunto. “Uno degli aspetti più sorprendenti è la velocità e l’efficienza con cui il governo cinese è riuscito a mobilitare le agenzie governative, il settore privato e la popolazione in generale”, si legge nel testo di presentazione. E ancora: “un altro aspetto interessante della ricostruzione è stato il modo in cui sono stati coinvolti gli altri governi provinciali e la popolazione in generale”. Questa formulazione della risposta cinese alle emergenze ritornerà anche durante la pandemia di Covid-19, quando la parola “mobilitazione”  di diversi gruppi della società civile, militari e istituzioni diventerà centrale nella rappresentazione del modus operandi di Pechino.

Nel 2022 il governo ha condotto un’indagine per fare il punto sugli ultimi dieci anni di interventi, rilevando dei miglioramenti sul piano logistico che hanno portato, in alcuni casi, a un tamponamento degli effetti dei fenomeni climatici estremi. Tra il 2013 e il 2021 il numero di persone morte o disperse in media ogni anno a causa di disastri naturali è diminuito dell’87,2% rispetto al periodo 2000-2012, così come la percentuale delle perdite economiche dirette causate dai disastri naturali, scesa del 30%. Ciononostante, la Cina rimane un paese fragile alle calamità, e si stima che ogni evento di media portata sottragga 1,6% del Pil in infrastrutture perse e investimenti per il recupero delle aree interessate.

Per contribuire a tale sviluppo, ha dichiarato il viceministro alla Gestione delle emergenze Zhou Xuewen,  “il paese ha migliorato il lavoro delle squadre di pronto intervento e delle piattaforme di comando, nonché il supporto materiale e informatico per migliorare la capacità complessiva di risposta alle emergenze”. Nella stessa conferenza stampa le autorità hanno affermato che “la Cina ha accelerato la trasformazione e il potenziamento di gruppi antincendio e di soccorso, formando oltre 3.500 squadre professionali specializzate nel soccorso in acqua, in montagna, nei terremoti e in altri campi di risposta alle emergenze”.

Una complessa rete di attori e il ruolo della “mobilitazione”

Oggi, in Cina, ogni governo locale è tenuto a costituire un gruppo di lavoro capace di lavorare secondo le linee guida del Sistema di regolamentazione delle emergenze, che chiede di coprire le quattro fasi principali del ciclo del disastro: prevenzione e preparazione, sorveglianza e allarme, risposta e soccorso, riabilitazione e ricostruzione. Ciò include la capacità di coordinamento di una complessa rete di squadre di soccorso e meccanismi di gestione dell’emergenza a livello micro, come accade nel caso delle indicazioni per i singoli complessi abitativi. Un meccanismo che abbiamo visto all’opera durante la pandemia, quando la gestione delle quarantene e degli alimenti è stata demandata ai singoli gruppi di condomini.

I team coinvolti nelle emergenze in Cina possono appartenere a categorie diverse: esistono i corpi di protezione civile statali che ricevono il supporto del governo centrale e dei governi locali, ma si registra una grande presenza di squadre nate in seno alla società civile. Da pochi anni il tema della loro regolarizzazione e formazione ha occupato un ruolo centrale negli sforzi del governo della gestione delle emergenze, in quanto sono una risorsa fondamentale ma ancora poco regolamentata in alcune aree del paese. 

In diverse occasioni, il loro intervento ha permesso la mobilitazione di importanti masse di volontari: in una conferenza stampa del 2018 il segretario di Partito del ministero della Gestione delle emergenze Huang Ming ha citato 11 mila squadre, per un totale di 694 mila volontari, quasi il triplo delle persone coinvolte nelle squadre di soccorso statali. A febbraio 2021 i dati diffusi dalla Croce rossa cinese hanno riportavano l’intervento di 390 mila volontari nella sola gestione della pandemia da Covid 19, il numero più alto mai registrato di persone della società civile coinvolte nell’organizzazione internazionale.

C’è un altro aspetto interessante per quanto riguarda le capacità di azione delle squadre di soccorso cinesi. Lo ha raccontato Zhong Ming del Centro cinofilo di ricerca e soccorso d’emergenza CRO (qui il loro canale Douyin)  a The World of Chinese, per motivare la scelta di aver intrapreso un percorso di addestratore di cani da soccorso. “L’11 settembre 2001 negli Stati Uniti le unità di soccorso avevano impiegato 199 cani da ricerca e salvataggio per un’area di circa 30 mila metri quadrati. A Wenchuan, in un’area di oltre 100 mila chilometri quadrati, ne sono state impiegate poche dozzine. In altre parole, la Cina era indietro di almeno un decennio”. Un quadro che riflette l’avanzamento delle competenze interne al paese che, talvolta, devono far fronte a mancanza di chiarezza su ruoli e responsabilità. A oggi il Centro ha addestrato più di 400 cani da soccorso e sono nate tante nuove squadre che operano tanto nella Repubblica popolare che nelle operazioni all’estero.

Sfide future e slancio internazionale

Nonostante l’aumento dei volontari e una maggiore spinta delle istituzioni alla creazione di sistemi di intervento tempestivi, i fenomeni climatici estremi e le pandemie potrebbero sempre di più mettere alla prova il governo cinese. Le alluvioni a Zhengzhou del 2021 e dell’hinterland pechinese del 2023 sono solo alcuni degli episodi che hanno fatto emergere le difficoltà strutturali della protezione dei cittadini dall’emergenza climatica. Complessità note in tutto il mondo ma che, in Cina, spesso devono fare i conti con l’alta concentrazione abitativa delle città e l’adattamento delle infrastrutture in ottica anti-sismica e anti-alluvione. Tali problematiche si riflettono a loro volta nella necessità di gestire alti numeri di cittadini colpiti dall’emergenza ed eventuali ricollocamenti e compensazioni, come quando durante la pandemia diverse municipalità hanno accusato il problema della mancanza di strutture adeguate all’isolamento e alla cura dei pazienti affetti da Covid 19.

Fuori dai confini della Repubblica popolare anche le operazioni di soccorso internazionali stanno diventando una realtà. Secondo quanto riportato da China Charity Alliance, le ong cinesi sono intervenute in 20 gravi emergenze tra il 2011 e il 2019, in particolare durante il terremoto in Nepal del 2015. La squadra internazionale cinese di ricerca e salvataggio nazionale, che si avvale di competenze militari, di polizia e civili, è stata mobilitata in teatri come quello del terremoto a Bam, in Iran nel 2003, ad Aceh in Indonesia in seguito allo tsunami nell’oceano Indiano del 2004 e ad Haiti in seguito al terremoto del 2010. Nel 2019 la Cina è diventata l’unica nazione asiatica ad avere due squadre di soccorso certificate secondo gli standard Onu.

L’esperienza della pandemia, in particolare, ha però rivelato le tante sfide che il governo cinese deve ancora affrontare per facilitare l’implementazione delle operazioni di soccorso a livello locale. Un fenomeno sempre più frequente come quello delle alluvioni ha messo inoltre in luce la necessità di lavorare sulla prevenzione e su strumenti utili agli abitanti locali per intervenire con tempestività e avere velocemente accesso alle risorse economiche necessarie alla ricostruzione e alla compensazione dei danni subiti. Lo scambio di competenze con le entità che operano sul territorio, per esempio, rimane ancora in piena fase evolutiva e potrebbe beneficiare maggiormente dell’esperienza delle organizzazioni internazionali. Un dettaglio semplice, ma che potrebbe fare la differenza: la mancanza di materiale per la formazione in lingua cinese e – in senso opposto – la necessità di veicolare all’esterno tutti quei report e analisi che rimangono disponibili nel solo cinese mandarino.