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Dialoghi – Il nemico numero uno della Cina nell’Antropocene: la sicurezza alimentare

In Dialoghi: Confucio e China Files, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

Maggio è stato uno dei mesi più caldi in assoluto, ma allo stesso tempo uno dei più piovosi. Quali sono i rischi e le conseguenze di un clima sempre più instabile per la produzione agricola della Repubblica popolare? “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

Nel 2021 erano state le alluvioni nello Henan a riempire i notiziari cinesi. Poi è arrivata l’estate del 2022, quando il paese si è trovato diviso tra le precipitazioni abbondanti nello Shandong e la siccità estrema del nord-ovest. E anche la stagione estiva 2023 sembra destinata a proseguire nel segno delle ondate di caldo record e degli eventi climatici estremi

L’allarme, che di per sé avverte i cittadini cinesi sui rischi di colpi di calore, malessere e possibili blackout sparsi in tutto il paese, risulta ancora più drammatico spostando l’occhio verso le campagne. Il presidente cinese Xi Jinping ha da tempo messo al centro dei suoi discorsi sulla stabilità nazionale anche il tema della sicurezza alimentare, e ogni estate  diventa sempre più complesso comprendere l’entità dei danni che subirà il settore agricolo.

Stagione del raccolto a rischio

A maggio la “peggiore pioggia prima del raccolto degli ultimi dieci anni” ha già presentato il conto ai coltivatori di grano dello Henan, dove le forti e continue piogge hanno portato alla distruzione di intere piantagioni. Du Yingke, un contadino intervistato dalla testata cinese in lingua inglese Sixth Tone, afferma di aver perso almeno il 70% delle sue coltivazioni. “Le piogge precedenti avevano danneggiato un po’ il grano, ma ora lo hanno reso immangiabile”, racconta l’uomo. A causare la perdita di quintali e quintali di cereali prodotti non è infatti solo la violenza dei fenomeni meteorologici: una stagione del raccolto troppo umida porta a uno sviluppo innaturale della pianta, mentre l’eccessivo ristagno d’acqua permette la proliferazione di funghi e batteri dannosi. 

Che ciò accada nello Henan, per il terzo anno consecutivo, è una pessima notizia per le casse (e le pance) della Repubblica popolare: qui si concentra un quarto dell’output nazionale di grano, un cereale il cui prezzo globale ha iniziato ad aumentare dall’inizio della guerra in Ucraina, uno dei granai d’Europa. Ciononostante, i dati diffusi per l’anno 2022 dal National Bureau of Statistics of China parlavano di un lieve – ma stabile – aumento della produzione. È altrettanto costante, però, l’aumento delle importazioni di cereali in Cina, che sono triplicate nell’arco di soli sette anni. 

La ciotola di riso dell’Asia

Il riso è un altro cereale che oggi sta vivendo una stagione di forte stress climatico. La Cina produce circa il 30% del riso consumato a livello globale e la domanda interna è in crescita. Ma le colture richiedono un clima particolare, tipico delle campagne del sud. Negli anni i grandi progressi tecnologici circa i metodi di coltivazione, cura, e raccolta hanno portato a un aumento del 50% della produzione a partire dagli anni Ottanta, pur riducendo la superficie coltivata dell’11%. Cambiamenti climatici, sovrasfruttamento e inquinamento hanno però come conseguenza una produzione più incostante e incerta.

Secondo un recente studio pubblicato su Nature, le precipitazioni estreme unite all’aumento delle temperature porteranno a una riduzione del 12% del riso a livello nazionale. “Le conseguenze di tali anomalie variano dalle fluttuazioni dei prezzi alimentari alla destabilizzazione dell’approvvigionamento alimentare, fino alle carestie”, afferma il team di ricercatori. “Comprendere l’impatto degli eventi climatici estremi sulla resa delle colture è fondamentale per adattare i sistemi alimentari ai futuri cambiamenti climatici e contribuire così alla sicurezza alimentare per le crescenti popolazioni globali”.

Allevamenti roventi

L’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare cinese non è solo una questione di salute umana e piantagioni. Anche il crescente settore dell’allevamento risentirà sempre di più dell’aumento delle temperature e della scarsità di cereali. Innanzitutto, solo il 12% dell’intero territorio della Repubblica popolare è utilizzabile per le piantagioni. A livello globale circa il 70% dei terreni è destinato all’allevamento (pascoli e produzione di mangimi). La proporzione, associata a un aumento della domanda di carne in Cina che ha già raggiunto cifre record (28% della carne consumata al mondo), rende ancora più delicata la gestione a livello politico ed economico dei rischi ambientali in agricoltura.

Il caldo estremo è una delle principali minacce all’esistenza degli allevamenti. Come evidenzia una ricerca del 2020, l’aumento delle temperature durante la stagione estiva è direttamente correlato a una riduzione della produzione di latte e prodotti caseari. Le temperature record di maggio hanno portato alla morte dei pesci presenti nelle acque di alcuni bacini per l’allevamento ittico del Guanxi, mentre nel Jiangsu centinaia di maiali sarebbero morti a causa di un blackout ai condizionatori.

Il nord della Cina, in particolare la regione autonoma della Mongolia Interna, rimane una delle mete privilegiate per l’allevamento del bestiame. Ma il consumo di suolo degli ultimi quarant’anni ha accelerato un processo di desertificazione che ancora oggi – e nonostante una “grande muraglia verde” fatta di milioni di alberi lungo i confini del Gobi – minaccia 400 milioni di cinesi. A ricordare questa minaccia dal nord sono le continue tempeste di sabbia che arrivano fino alla capitale. Il tema dell’allevamento, soprattutto nelle regioni periferiche, è centrale per la leadership cinese e rappresenta una contraddizione tra ecologia e sviluppo che Pechino cerca di risolvere con l’incentivo economico e la tecnologia. In un paese dove l’età media dei contadini è sempre più alta, il cambiamento climatico non è l’unica sfida.