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Dialoghi – Biodiversità: come la Cina cerca di tutelare le specie

In Dialoghi: Confucio e China Files, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

La Repubblica popolare ospita uno degli ecosistemi più vari e ricchi della Terra. Ma l’eccessivo sfruttamento delle risorse e l’antropizzazione dei territori pongono nuove sfide per superare il dilemma sviluppo-sostenibilità. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano

Il 19 dicembre si è conclusa la quindicesima edizione della Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite, meglio conosciuta come COP15. Una conferenza di cui sarebbe più corretto parlare come di una “parte seconda” del summit, iniziato di fatto nel 2021 con gli incontri a Kunming e la presidenza di Huang Runqiu, ministro dell’Ambiente. I delegati hanno approvato una serie di misure per la protezione della biodiversità, tra cui un meccanismo “30×30” che prevede il ripristino del 30% delle aree marine e terrestri e la conservazione del 30% del patrimonio naturale globale. Quello che alcuni hanno definito un “successo della diplomazia cinese” aggiunge un altro capitolo alla storia della cooperazione internazionale per la salvaguardia della biodiversità. Ma cosa sta accadendo all’interno della stessa Cina?

Pechino ha alle spalle un compito non indifferente: il solo territorio circoscritto nei confini della Repubblica popolare ricopre il 20, 36% della superficie terrestre ed è abitato da almeno 120 mila specie animali e vegetali diverse. Per queste ragioni la Cina è classificata come paese megadiverso, ovvero una delle aree che racchiude il più alto tasso di biodiversità al mondo: le specie animali in Cina ammontano al 14% di quelle totali, e quelle vegetali al  10% delle specie vegetali. Dall’altro lato, l’antropizzazione dei territori – soprattutto quelli più a ovest in un’ottica di redistribuzione delle opportunità economiche nel paese – pone una sfida storica per la tutela del patrimonio ambientale cinese.

Inversione di marcia

Oggi il 64,72% dei cittadini cinesi abita in un centro urbano. Sono almeno 600 le nuove città nate dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949, mentre la rete ferroviaria ha raggiunto una estensione di circa  150 mila chilometri, di cui 35 mila destinati all’alta velocità. A oggi sono stati costruiti oltre 169 mila chilometri di autostrade. La popolazione totale della Cina ha superato 1,4 miliardi. Il peso di una rapida crescita demografica ed economica ha messo alla prova gli obiettivi di tutela ambientale di Pechino, che nell’ultimo decennio ha accelerato il suo impegno nel trovare nuove soluzioni al dilemma tra sviluppo e sostenibilità.

Una delle iniziative storiche portate avanti dalla leadership cinese è quella della riforestazione. Come sottolinea un approfondimento della COP sulla biodiversità dedicato alla Cina, la copertura forestale è aumentata significativamente dal 1949, passando dall’8,6% al 20,36% attuale. Il progetto “Three-north selterbelt forest program” (Tsfp 三北防护林 Sanbei Fanhulin), per esempio, è nato nel 1978 per contrastare l’avanzamento del deserto nel nord della Cina e si stima che raggiungerà il 4500 km di lunghezza entro la data di chiusura del progetto, il 2050. Solo nel 2019 Pechino ha aggiunto 488 mila ettari di nuove piante, un’area grande quanto il Parco nazionale del Grand canyon negli Usa.

L’inquinamento rimane una delle principali minacce all’ecosistema, insieme al degrado e allo sfruttamento dei suoli. Dopo aver raggiunto picchi di inquinamento atmosferico oltre i limiti dettati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tra il 2013 e il 2015, la Cina ha cercato di ridurre le emissioni climalteranti con diversi provvedimenti. Tra questi, la graduale riduzione delle centrali a carbone e l’introduzione di un “mercato delle emissioni” con la speranza di responsabilizzare maggiormente il comparto produttivo. Per disincentivare lo scarico illegale di sostanze nocive nell’ambiente, invece, sono state introdotte misure più severe, come il divieto all’importazione di rifiuti dall’estero e una revisione importante della Legge sulla protezione ambientale nel 2015 – legge che era rimasta invariata dall’anno della sua introduzione, il 1989.

Proteggere le specie

I nuovi impegni internazionali e una rinnovata attenzione al problema della perdita di biodiversità stanno spingendo il governo cinese a implementare nuove misure. Come denuncia il quinto Global biodiversity outlook delle Nazioni unite, la perdita di biodiversità globale sta avvenendo a una velocità inaspettata, mentre nessuno degli obiettivi sottoscritti dalla COP10 di Aichi è stato raggiunto (tra questi: l’introduzione di metodi pesca sostenibili a livello globale, la riduzione dell’inquinamento e una maggiore educazione alla biodiversità).

Oggi, davanti al dato di 1 milione di specie a rischio d’estinzione al mondo, la Cina ha annunciato la conversione di almeno 230 mila chilometri quadrati di territorio in cinque parchi nazionali. Nel frattempo, gli sforzi per salvare il panda gigante dall’estinzione si sono rivelati efficaci: proprio il recupero degli habitat naturali è stato uno degli strumenti che hanno frenato la scomparsa di questi grandi mammiferi. Secondo quanto riportato dalle autorità cinesi nel febbraio 2022, anche una dozzina di piante a rischio registrano ora un lento – ma stabile – aumento.

La protezione delle specie passa, infine, anche dalla sicurezza alimentare. Delle 1200 colture presenti nel mondo, 290 sono originarie della Cina e rischiano oggi l’estinzione a causa delle tecniche agricole intensive. Ma, come si evince dal Piano di nutrizione nazionale del 2017, il tema della biodiversità non può prescindere da una riflessione sull’alimentazione e sul sistema agricolo. Al centro del documento, la necessità di promuovere una dieta sana e varia, arricchita da colture biologiche e diversificate: un obiettivo raggiungibile attraverso la tutela delle diverse specie contro il sistema delle monocolture intensive.

Di Sabrina Moles