università

Dialoghi – Se la Cina ha troppe università e troppi laureati

In Dialoghi: Confucio e China Files, Economia, Politica e Società by Vittoria Mazzieri

Gli sforzi di Pechino di investire sia in infrastrutture che risorse nel sistema di istruzione superiore hanno prodotto una serie di atenei di eccellenza e il più grande bacino al mondo di persone coinvolte nei cicli universitari. Ma la rapida espansione ha portato a conseguenze controverse per il mercato del lavoro. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

Sono numerose le iniziative lanciate dalla Repubblica popolare cinese per promuovere l’istruzione superiore grazie alla rapida crescita economica degli ultimi decenni. A partire dagli anni Novanta Pechino ha investito sia in termini di infrastrutture che di risorse, cooperando in misura crescente con le grandi società private: l’obiettivo è stato quello di formare lavoratori qualificati capaci di mobilitarsi in nome dello sviluppo economico, ma anche di dare forma a istituti universitari che potessero estendere la loro influenza oltre i confini nazionali e attirare talenti stranieri.

Ad oggi quello cinese è il più grande sistema di istruzione superiore al mondo. In una conferenza stampa che tenutasi a maggio 2022, il ministero dell’Istruzione ha riportato che le persone ad aver frequentato l’università hanno superato i 240 milioni. Non solo: gli atenei del paese gareggiano con quelli considerati a lungo tempo i migliori al mondo. La classifica Nature Index, pubblicata di recente, ha rivelato che le università cinesi sono tra le più prolifiche in termini di produzione di ricerca scientifica. Nella top ten figurano sette istituti con sede nella Repubblica popolare. La Sun Yat-sen University di Guangzhou si attesta al decimo posto, contribuendo il 22% in più alla ricerca mondiale rispetto all’Università di Oxford (che è al sedicesimo; Cambridge, invece, al diciannovesimo).

I tentativi di migliorare il sistema educativo superiore affondano le radici già nei primi anni della nascita della Repubblica popolare. Nel 1949 i laureati superano di poco le ventimila persone. Nei primi anni della sua salita al potere il Partito comunista adotta un modello educativo di stampo sovietico che pone forte enfasi sulla formazione tecnologica e ingegneristica.

Come riporta un articolo pubblicato su Sixth Tone di Li Angran, ricercatore di sociologia alla New York University di Shanghai, è durante il Grande balzo in avanti che Mao Zedong intensifica gli sforzi per ampliare l’accesso all’istruzione superiore e tentare di “porre fine all’elitarismo e colmare il divario educativo tra operai e contadini”. Se in quegli anni si soffre ancora una istruzione di bassa qualità, il decennio della Rivoluzione culturale provoca il collasso del sistema universitario. L’esame nazionale che segna tutt’ora il passaggio dalle scuole superiori alle università, il gaokao, viene cancellato, per poi essere riabilitato con l’intervento di Deng Xiaoping nel 1977. In quell’anno circa 270 mila persone vengono ammesse all’università.

La piena promozione dell’istruzione universitaria segue il periodo di Riforme e apertura. Tra la serie di misure per ampliare l’accesso degli iscritti figura il Progetto 985 (985 Gongcheng, 985工程), annunciato nel maggio 1998 e il cui nome deriva proprio dal formato della data utilizzato nella Repubblica popolare (98/5). In occasione del centenario della istituzione della Beijing University, l’allora segretario generale del Partito Jiang Zemin annuncia la volontà di un piano universitario, che verrà ricordato anche come “Progetto di università di prima classe”, mirato all’allocazione di una grande quantità di fondi per la creazione di centri di ricerca e l’organizzazione di conferenze internazionali e progetti di vario genere.

Negli anni successivi le nove università fondatrici del progetto si riuniscono nella Lega C9, un’alleanza ufficiale degli istituti più prestigiosi del paese. Ad oggi nell’elenco del Progetto 985 figura la Tsinghua University, seguita dalla Beijing University, dalla Xiamen, Nanjing e Fudan University di Shanghai. Le due università della capitale, in ordine invertito, ricoprono le prime due posizioni anche in un altro elenco di istituti: lanciato nel 1995, il Progetto 211 (211 Gongcheng, 211工程), coinvolge al pari dell’altro tutti i livelli governativi e punta alla promozione delle università migliori del paese. Il nome si riferisce all’abbreviazione dello slogan “面向 21 世纪, 办好 100 所 高校” (mianxiang 21 shiji banhao 100 suo gaoxiao, “Gestire 100 università per il 21º secolo”). La cifra “21”, quindi, si rifà al secolo corrente, e l’altro “1” indica il centinaio di istituti coinvolti.

Nel 2017 i due progetti vengono sostituiti dal “Piano universitario di doppia prima classe” (Shuang yi liu, 双一流, in inglese: Double First Class University Plan; abbreviazione di “Piano generale di promozione della costruzione di università di prima classe mondiale e discipline di prima classe”), con l’obiettivo di far gareggiare l’istruzione superiore cinese nel contesto internazionale e renderla attrattiva per i talenti stranieri.

Gli sforzi del governo hanno significato un boom di iscritti. Sono un milione nel 1997, raggiungono i 9,6 milioni nel 2020. Il tasso di iscrizione è raddoppiato in meno di dieci anni, passando dal 30% nel 2012 al 57,8% nel 2021. A fine anni Novanta si contano poco più di mille istituti, mentre i dati di maggio 2022 riportano un totale di 3013 strutture. Nel termine gaoxiao, 高校 (abbreviazione di gaodeng xuexiao, 高等学校) rientrano le università di ogni grado, sia pubbliche che private, e gli istituti professionali (che affinano il percorso pratico iniziato nelle scuole vocazionali).

Un sistema di istruzione superiore ben solido contribuisce a ridurre le diseguaglianze educative, migliora la competitività economica del paese e supporta la mobilità sociale. Ma il contesto cinese mostra come lo stato attuale dell’educazione universitaria abbia generato anche delle conseguenze indesiderate. Secondo alcuni studi, la rapida espansione dell’educazione superiore ha prodotto un eccesso di offerta di laureati. Ad oggi il mercato del lavoro soffre di iper-professionalizzazione: un gran numero di giovani lavoratori qualificati (quest’anno i neolaureati toccheranno il picco di 11,6 milioni) ma non abbastanza impieghi che possano assorbirli.

Il tasso di disoccupazione giovanile cresce da oltre dieci anni e a maggio ha toccato livelli record del 20,8%. Alcuni analisti sostengono che il dato con l’estate continuerà ad aumentare, inasprendo una questione che preoccupa da tempo le istituzioni e la popolazione. In particolar modo le nuove generazioni, che sperimentano condizioni di precarietà sempre maggiori. Da uno studio sul tema condotto da Lu Yao, della Columbia University, e da Li Xiaogang, della Xi’an Jiaotong University, emerge che almeno un quarto dei laureati del paese accetta posizioni non commisurate alla loro formazione: lavori poco qualificati, mal pagati e part-time.

Ma non è tutto qui. Molti denunciano come il sistema di istruzione superiore conservi le discriminazioni che caratterizzano la società e quindi il mercato del lavoro: a essere penalizzate sono soprattutto le donne e coloro che concludono percorsi umanistici in università poco conosciute. A dirlo è Guo Zheng, amministratore delegato di Zhaopin, una delle maggiori piattaforme di reclutamento online del paese. Il suo intervento alla conferenza annuale sull’economia digitale della Luohan Academy, il think tank di Alibaba, non lascia spazio a dubbi: gli istituti universitari non inclusi negli elenchi dei progetti governativi sopra citati non offrono le stesse opportunità di carriera di chi si laurea in atenei prestigiosi.

Di Vittoria Mazzieri