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Dialoghi: Pechino e il mondo: quali lingue straniere si studiano in Cina?

In Dialoghi: Confucio e China Files by Sabrina Moles

Tra studenti all’estero e studenti “da app”, la storia delle lingue straniere in Cina racconta un percorso fatto di interessi individuali e di relazioni internazionali che danno forma al mondo del lavoro e della cultura di oggi. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

Malgrado la pausa Covid, i numeri sono in crescita. Ad oggi sono 31 milioni i giovani cinesi coinvolti in progetti di mobilità all’estero e 200 milioni quelli che studiano lingue straniere all’interno dei confini della Repubblica popolare. Ma non è sempre stato così e, come affermano gli esperti, bisogna fare ancora tanti passi avanti per creare ponti tra Pechino e il mondo.

Le lingue straniere, però, non sono solo l’emblema della globalizzazione cinese. Prima della fase  di Riforma e apertura lanciata da Deng Xiaoping erano stati gli intellettuali a cavallo tra Ottocento e Novecento a promuoverne l’insegnamento. Lo spirito dell’epoca si poteva tradurre con la celebre frase del funzionario Zhang Zhidong: “Il sapere cinese come sostanza, il sapere occidentale come mezzo (zhongxue wei ti xixue wei yong 中学为体西学为用).” Conoscere le lingue, saper leggere e tradurre i testi occidentali era considerato uno strumento attraverso cui fronteggiare le “potenze straniere”. Non un’opportunità per il singolo, ma un vantaggio per il paese.

La lingua inglese sull’onda delle riforme

In Cina la lingua inglese viene insegnata sin dai primi anni della scuola dell’obbligo. Secondo il report 2022 di Duolingo, la nota app per l’apprendimento delle lingue straniere, l’inglese è la lingua più studiata nel paese e i servizi di test delle competenze raddoppiano di anno in anno. Insieme ai più utilizzati TOEFL e IELTS, le certificazioni di lingua sono diventate un obiettivo ambito dai giovani cinesi che vogliono vivere un’esperienza all’estero o anche acquisire competenze per accedere a  migliori opportunità lavorative.

Il boom della lingua inglese in Cina risale alla seconda metà degli anni Settanta, di pari passo a una politica estera e commerciale sempre più aperta all’occidente. Lo stesso ex premier Li Keqiang (che però rappresenta ancora un’eccezione nel panorama dei leader di seconda generazione) ha raccontato di aver iniziato ad avvicinarsi allo studio dell’inglese durante gli anni universitari. A quei tempi c’era chi, come lui, portava con sé delle flashcards bilingue per ripassare i vocaboli tra una lezione e l’altra. Nel frattempo, la rivista Learning English faceva il suo ingresso nella Repubblica popolare, vendendo nel 1978 oltre mezzo milione di abbonamenti. Nel 1982 più di 10 milioni di famiglie cinesi (quasi tutte quelle che all’epoca possedevano la televisione) seguivano il programma tv “Follow me”, acquisito dall’ente statale Cctv dalla britannica Bbc

Un altro personaggio noto per la sua padronanza della lingua è il creatore di Alibaba Jack Ma, che racconta di aver imparato l’inglese reinventandosi come guida turistica. A 12 anni il giovane Ma cercava di interagire con i pochi stranieri che allora si recavano a Hangzhou, e in cambio di qualche spicciolo li accompagnava in visita della città. 

Oggi le opportunità per studiare la lingua del commercio e della diplomazia globali sono decisamente maggiori e in tutto il paese è possibile specializzarsi anche sui linguaggi settoriali. Il boom dei servizi linguistici ha poi evidenziato una forte spinta verso l’internazionalizzazione della Cina anche attraverso il miglioramento delle competenze interne al paese. Secondo un recente report governativo, nel 2021 si contavano oltre 423 mila imprese che fornivano servizi linguistici per un valore di circa 8,7 miliardi di dollari. A ciò fa da contraltare, però, la stretta sul tutoraggio privato per ridurre la pressione economica e psicologica degli studenti. 

Il russo tra politica e Bri

In Cina la lingua straniera più studiata prima degli anni Settanta era, in realtà, il russo. La scelta aveva chiari motivi politici dovuti all’alleanza sino-russa dai tempi della fondazione del Partito comunista cinese, ma non solo. Mentre il resto del mondo iniziava a isolare il blocco comunista, Pechino poteva contare di un appoggio per formare in Unione Sovietica i suoi tecnici e funzionari. Agli studenti cinesi era permesso raggiungere Mosca per proseguire gli studi, in particolare quelli dedicati alle materie scientifiche, e la lingua era il mezzo privilegiato per facilitare gli scambi tra i team di ricercatori. 

Dal 1953 al 1956, le università nella Repubblica popolare contavano più di 12 mila giovani iscritti ai dipartimenti di lingua russa. Oggi sono almeno 100 mila gli studenti che hanno scelto il russo, compresi coloro che hanno frequentato un percorso di studi all’estero. Inoltre, il Cremlino ha adottato dal 2017 un programma che mira a promuovere la lingua russa nel mondo, puntando a formare almeno 700 mila studenti stranieri entro il 2025. Grazie ai suoi numeri e alla vicinanza fisica e commerciale, il mercato cinese rimane uno dei poli più attrattivi per Mosca, che può giocare la carta della lingua russa anche nel quadro delle repubbliche centroasiatiche coinvolte nella Belt and Road Initiative. Insieme al bielorusso e all’arabo, infatti, gli studenti cinesi stanno scegliendo di avvicinarsi alle lingue della Via della Seta nella speranza di trovare maggiori opportunità legate ai progetti Bri e alle tante iniziative commerciali stipulate tra i paesi mediorientali e dell’ex blocco sovietico con Pechino.

Coreano e giapponese per il lavoro e il tempo libero

La lingua giapponese rimane una delle più studiate in Cina, dove ad oggi viene insegnata in 227 università. Un numero importante, soprattutto se messo a confronto con i soli 93 dipartimenti di lingua russa, la terza più diffusa negli istituti cinesi. Lo studio del giapponese è legato soprattutto agli scambi economici tra i due paesi, ed è avvantaggiato da un’ampia disponibilità di docenti madrelingua e personale giapponese nelle aziende localizzate su suolo cinese. L’8% degli expat giapponesi (si stima circa 107 mila persone) vive stabilmente in Cina. 

Tra le motivazioni di chi sceglie di apprendere il giapponese figura anche l’interesse per la cultura pop, un terreno dove entra in diretta competizione con il coreano. Come evidenzia sempre il report di Duolingo, infatti, il coreano e il giapponese sono tra le lingue più popolari in Cina. La scelta di studiarle anche in contesti extra scolastici è espressione di un interesse meno legato alle esigenze lavorative, ma che caratterizza gli appassionati di prodotti culturali di cui questi due paesi sono grandi esportatori: serie tv, anime e musica.

E i paesi europei? Ancora mete di studio ambite

Nonostante l’ascesa delle lingue extra europee, il Vecchio continente rappresenta ancora per molti studenti cinesi una meta importante. Il francese, il tedesco e lo spagnolo sono le sceltepredilette dagli studenti che decidono di avvicinarsi al mondo delle relazioni commerciali con l’Unione europea, senza dimenticare quelli attratti dal settore della diplomazia e degli scambi culturali. 

L’Italia non viene messa da parte. Secondo i dati dei progetti per la mobilità degli studenti cinesi (Turandot e Marco Polo), tra i 30 e i 40 mila studenti della Repubblica popolare sono accolti ogni anno dai nostri atene. Tra i poli più attrattivi figurano gli istituti di design e di belle arti. Le facoltà Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) e l’agroalimentare sono tra le specializzazioni di chi dalla Cina non può affrontare le spese necessarie per proseguire tali studi nei paesi anglosassoni. È quanto emerge da un recente sondaggio: il 28% dei giovani cinesi coinvolti nei progetti di mobilità ha scelto l’Italia per l’eccellenza degli insegnamenti nel campo artistico e musicale; il 30% ritiene il rapporto qualità-prezzo vantaggioso rispetto ad altre destinazioni.