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Dialoghi – I data center cinesi alla prova della civiltà ecologica

In Dialoghi: Confucio e China Files by Sabrina Moles

La crescita della Cina passa anche dalla capacità computazionale dei suoi server. Ma aumentare i data center richiede enormi risorse per distribuirli meglio sul territorio e renderli sostenibili. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

Web, internet, telecomunicazioni: una rete apparentemente invisibile, ma il cui impatto ambientale è ben più evidente di quanto si possa immaginare. Solo in Cina un data center, l’infrastruttura che processa e reindirizza i dati nella rete, inquina quanto decine di milioni di veicoli a benzina. Il colpevole? Il carbone utilizzato per produrre l’energia necessaria, a fronte di una domanda energetica che, secondo le previsioni, aumenterà del 289% entro il 2035.

Lo scorso 22 aprile il governo cinese ha emesso una strategia sperimentale per ridurre l’impatto ambientale dei data center. Le nuove direttive fissano le quote di energia rinnovabile dedicate al funzionamento di queste strutture: almeno il 30% entro il 2025, fino a toccare il 100% nel 2032. Un avanzamento necessario, se non si vogliono perdere di vista gli obiettivi di sviluppo verde.

Data center con caratteristiche cinesi

I data center sono presto diventati una delle pietre angolari nel processo di sviluppo tecnologico cinese. Sono l’elemento hard di un processo complesso, che coinvolge enormi quantità di dati che vengono elaborati e reindirizzati alle altre strutture connesse nella rete. Negli anni il governo cinese ha prestato molta attenzione al tema della regolamentazione dei big data, implementando leggi sempre più elaborate per tutelare la privacy ed evitare abusi da parte delle aziende che possiedono tali dati. Ma cosa sta facendo per rendere sostenibile l’infrastruttura alla base della potenza di calcolo che sfrutta tali dati?

In questo contesto i data center devono poter offrire le stesse garanzie di sicurezza e adattare il proprio operato agli obiettivi fissati dall’ultimo Piano quinquennale (2021-2025). E poiché il documento di aprile enfatizza lo sviluppo infrastrutturale e la sostenibilità, ecco che diventa urgente affrontare uno degli aspetti più spinosi: il consumo di energia. Nonostante i passi avanti nel campo dell’efficientamento energetico, infatti, i data center rimangono una delle infrastrutture più energivore al mondo. Secondo un recente report di Greenpeace, i data center cinesi consumano circa 150 miliardi di kilowattora, circa il 2% del totale dell’elettricità utilizzata a livello nazionale. E nel 2035 il loro consumo energetico è destinato a triplicare.

Le statistiche evidenziano ancora un netto distacco tra il numero dei data center statunitensi e quelli cinesi: 2701 unità negli Usa contro le 443 della Cina, che si classifica quarta dopo Germania e Regno Unito. Ma le dimensioni contano: la Repubblica popolare ospita i due più grandi data center al mondo per estensione. Entrambi localizzati a Hohhot, capitale della Mongolia interna, occupano un’area complessiva di 1720 metri quadri, quasi tre volte la grandezza della Città proibita. 

I data center di domani: sempre più a ovest e votati all’economia circolare

La possibilità di migrare (ovvero trasferire i dati interni di un’azienda o istituzione) a un data center centralizzato ha ridotto la dispersione di energia, mentre l’hardware utilizzato migliora di anno in anno. Ma non ancora abbastanza per gli standard di Pechino. Per puntare alla costruzione di una rete unificata di data center servirà prima adattare le strutture e renderle più sostenibili nel tempo. Allo stato attuale solo gli operatori AtHub e ChinData Group hanno dichiarato l’obiettivo di raggiungere l’autonomia energetica al 100% da fonti rinnovabili

Il dilemma energetico non è nuovo alla leadership cinese, che sta cercando una via per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060. Oltre alla possibilità di aumentare l’input energetico attraverso l’uso di pannelli solari e pale eoliche, qualche compagnia ha iniziato a lavorare anche in altre direzioni. È il caso di Alibaba, che ha costruito un suo data center lungo le sponde del lago Qiandao, nella provincia dello Zhejiang. Un insieme di macchinari permette di sfruttare la temperatura dell’acqua per raffreddare i server,  eliminando così la necessità di ricorrere a un impianto di aereazione apposito. 

Il governo centrale ha proposto di utilizzare le aree più fredde, ventose, e disabitate per ottenere il microclima ideale, secondo quanto previsto dal progetto “Eastern data, western calculation (dong shu xi suan 东数西算)”. Il piano prevede di portare le capacità di calcolo dei data center cinesi sempre più verso l’entroterra, dove la domanda energetica è più bassa e i prezzi dei terreni sono nettamente inferiori a quelli della costa. Non per niente le province occidentali sono state per anni il luogo privilegiato dai miners di Bitcoin prima che Pechino ne vietasse le attività. Per fare un esempio, i costi dei terreni nella provincia del Ningxia sono dodici volte inferiori a quelli delle aree industriali intorno a Pechino e Shenzhen, mentre il prezzo dell’elettricità è quasi due volte superiore. Alla chiamata hanno presto risposto le big tech cinesi come Alibaba, Tencent, Huawei, Baidu, ByteDance e Kuaishou. 

Infine, le nuove direttive del governo cinese richiedono inoltre un riscontro in termini di materiali utilizzati. Tutto ciò che è composto o contiene dei circuiti elettronici diventerà un giorno un rifiuto, e non un rifiuto qualunque. Il cosiddetto e-waste è

 negli ultimi dieci anni e la Cina è in cima alla classifica dei paesi più inquinanti, sebbene riesca già a riutilizzarne il 16%. Meglio dell’1% dell’India, ma ancora lontano dal 57% del Regno Unito. Ora una normativa vincola i nuovi data center a dimostrare di avere server e rack riciclabili almeno all’80%. Le componenti in plastica superiori ai 25 kg dovranno essere completamente prive di elementi estranei (componenti in metallo, per esempio) in modo da facilitarne il riutilizzo. Un altro passo verso un’economia sempre più circolare.