Cina – Cronache da una ‘guerra a bassa intensità’

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

L’incidente di Tian’anmen: fin da subito è sembrato chiaro che si potesse trattare di un attentato. Oggi tutto sembra portare all’ipotesi di un gesto organizzato da due uomini di etnia uighura. Ma chi sono gli uighuri e cosa succede in Xinjiang? China Files ripercorre la vicenda di questa regione e della sua gente. La polizia cinese starebbe cercando due cittadini proveniente dal Xinjiang, Youssef Ashanti e Youssef Oumarniaz, ritenuti responsabili – o quanto meno collegati – all‘incidente avvenuto ieri a Pechino, sulla Tiananmen.

Una jeep 4×4 si è lanciata sulla folla, nei pressi dell’ingresso della Città Proibita in un tratto di rettilineo lungo chilometri, che fin da subito ha reso sospetta la dinamica. Cinque persone sono morte, tre a bordo dell’auto, trentotto i feriti. L’unica vittima di cui si conosce la provenienza è un turista filippino.

Fin da subito sul web cinese sono state diffuse foto e video dell’incidente, nonostante i tentativi di censura delle autorità. E fin da subito è sembrato chiaro che si potesse trattare di un attentato; tibetani, uighuri, membri del Falun Gong o pista interna: tanti i potenziali nemici di Pechino, che avrebbero potuto attuare un gesto clamoroso, in una delle zone più controllate del paese.

Oggi – nonostante i media di stato parlino ancora di «incidente» – la ricerca dei due abitanti dello Xinjiang, farebbe pensare ad una svolta nelle indagini o al tentativo di considerare responsabili dell’attentato membri della minoranza etnica uighura.

Chi sono gli uighuri (o uiguri) e perché da tempo la regione del Xinjiang costituisce una spina nel fianco di Pechino?

La regione nel nord ovest cinese, lo Xinjiang – che significa proprio «Nuova Frontiera» – è una regione autonoma strategicamente rilevante per Pechino: confina con otto stati – India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazhakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan – ed è ricca di risorse (gas, petrolio) fondamentali per Pechino. E’ inoltre, proprio grazie ai suoi confini, un passaggio obbligato per gli scambi commerciali verso l’Asia Centrale e l’Europa.

La regione è abitata storicamente da una maggioranza musulmana e turcofona, l’etnia uighura, da sempre vicina a posizioni indipendentiste. Per chi visita la regione le sorprese non mancano: deserto, città arabeggianti, ottimo cibo, cinesi barbuti e alcune città meravigliose e affascinanti, come Kashgar, considerata culla storica dell’Islam. Quando a Urumqi – capoluogo della regione – sono le 7 del mattino è ancora buio: ci sarebbe almeno un’ora di differenza con Pechino, ma per sottolineare l’appartenenza ad un unico Stato, la Cina ha imposto lo stesso fuso orario della capitale.

Ogni uighuro però, ha almeno un’esperienza di repressione in famiglia: arresti, pestaggi o quotidiane esperienze spiacevoli in giro per il paese.

I cinesi han – quelli che consideriamo generalmente come i «cinesi» – considerano gli uighuri dei ladri, spacciatori, o persone in generale poco affidabili. Molti uighuri, mostrando la propria carta di identità nelle grandi città cinesi, faticano a trovare casa e lavoro. Una diffidenza reciproca – tra etnia uighura e han – che è aumentata negli ultimi anni a seguito di violenti scontri e di una sorta di sinizzazione dell’area imposta dal governo di Pechino.

Nel 2009 in Xinjiang ci fu una vera e propria rivolta etnica che causò centinaia di morti: uighuri che assalivano gli han, han che assalivano uighuri (con machete e coltelli) e polizia pronta a reprimere ogni movimento sospetto. La gente si rifugiava in casa, terrorizzata di vedersi assalire e massacrare.

Durante quelle giornate divenne molto difficile capire cosa stesse accadendo, perché la regione venne chiusa, blindata: vennero anche staccate le linee telefoniche e internet. La repressione che seguì da parte di Pechino, fu durissima con arresti e decine di condanne a morte contro gli uighuri.

Gli ultimi scontri sono avvenuti quest’anno, a rendere evidente una situazione di «guerra a bassa intensità» che non viene mai citata solo dagli organi ufficiali della stampa controllati dal Partito Comunista e che anche a livello internazionale ha decisamente meno notorietà rispetto alle stesse istanze autonomiste della regione autonoma del Tibet.

Gli xinjianesi sono musulmani ed erano l’etnia maggioritaria in Xinjiang, fino a quando – una decina d’anni fa – Pechino non ha lanciato la campagna «go west», con un doppio obiettivo: da un lato sviluppare l’industrializzazione e l’urbanizzazione di vaste zone dell’ovest cinese non ancora toccate dallo sviluppo miracoloso delle zone del sud est del paese; in secondo luogo la campagna «go west» ha finito per riversare nella regione nord occidentale, milioni di cinesi han che hanno cambiato radicalmente la zona, portando l’etnia uighura a non essere più maggioranza nella regione.

Sono sorte città «cinesi», o divisioni nette tra zone arabe e zone cinesi, ipermercati, grandi ammassi di case e abitazioni. Il giro d’affari però è rimasto nelle mani degli han, sostengono gli uighuri, senza che la popolazione locale abbia potuto beneficiare di alcun vantaggio.

La sinizzazione dell’area, inoltre, ha finito per esasperare ancora di più le richieste di autonomia dell’etnia uighura (lingua, cultura, religione), unitamente al tentativo di salvaguardare le città storiche, trasformate in tante Disneyland moderne dalla colonizzazione cinese.

Pechino dal canto suo considera lo Xinjiang alla stessa stregua del Tibet: un problema interno e una zona cinese. In più ritiene che sul territorio xinjianese imperversino terroristi separatisti musulmani. La Cina, non a caso, ha tentato più volte negli ultimi tempi – anche in sede Onu, in relazione alle risoluzioni siriane – di vedere riconoscere internazionalmente il "terrorismo separatista uighuro" che viene considerato connesso ad Al Qaeda.

A testimoniare questa linea d’azione cinese nei confronti dello Xinjiang, l’ultima nota di cronaca prima dell’incidente di Pechino: uno degli ultimi uighuri arrestati nell’ambito della campagna contro i rumors on line è stato accusato di "diffusione on line della jihad".

[Scritto per Wired; foto credits: scmp.com]