Chopsticks – I 4 hot pot da non perdere a Milano

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Che cos’è l’hot pot, o pentola di fuoco, uno dei piatti più impegnativi e soddisfacenti della cucina cinese. Chopsticks, la rubrica sul cibo cinese a  cura di Livio di Salvatore

L’hot pot scalda gli animi e unisce i popoli. Non è un caso che il disgelo tra Stati Uniti e Cina negli anni ‘70 sia cominciato proprio davanti a questo pasto. Da un lato della “pentola di fuoco” c’era il presidente cinese Deng Xiaoping, dall’altro Henry Kissinger, braccio destro diplomatico dell’amministrazione  del presidente Richard Nixon. Per quanto rivoluzionaria, quella dell’hot pot non tra i due leader non era una scelta particolarmente particolarmente originale. Già Mao Zedong e Chiang Kai-shek nel 1945, inebriati dai vapori piccanti dell’hot pot di Chongqing, avevano sancito una storica tregua durante la guerra civile per creare un Fronte Comune contro l’invasore giapponese.

L’hot pot (huoguo, 火锅), detto anche fonduta cinese, è uno stile di pasto, più che una pietanza, che consiste nel posizionare un brodo aromatizzato bollente al centro della tavola e condividere una serie di ingredienti crudi (carne, pesce, funghi, verdure) da cucinare direttamente nel brodo comune e consumare con degli intingoli. È diffuso in gran parte della Cina. I cinesi del nord quando reclamano la paternità di questa ricetta raccontano che sia nato come piatto “espresso” per i soldati nelle praterie mongole che, in mancanza di schiscetta, condividevano un brodo improvvisato bollito in un elmo e ci intingevano fettine di montone. È questo ancora oggi (elmo a parte) lo stile del nord dell’hot pot.

La versione più nota all’interno dei ristoranti fondati dalla diaspora cinese nel mondo invece, per ragioni legate all’origine dei flussi migratori fa riferimento principalmente allo stile del sud-ovest, che fa capo alle città di Chengdu e Chongqing. Straripante di peperoncino e pepe del Sichuan, questa variante fa uso del piccante (di segno Yang nella dottrina daoista) per combattere la forte umidità (che essendo acqua è invece Yin). Anche a Milano, dove l’umidità di certo non manca, le proposte per provare questo piatto non si fanno mancare.

Ecco le 4 (+1) proposte di China Files su dove concedervi un gustoso huoguo nella metropoli meneghina.

Ba Hot Pot 巴倒辣 重庆老火锅

Con le due sedi di Certosa e Loreto, questo ristorante si classifica senza dubbio tra i preferiti da segnare su Maps.

Il locale è bello e accogliente, decorato con motivi tradizionali senza perdere la rusticità tipica dell’hot pot.

La zaffata di profumi che accoglie all’ingresso è autentica e verace. I condimenti per gli intingoli sono ben assortiti e sui brodi c’è un buon grado di personalizzazione, per non scontentare chi non va troppo d’accordo con il piccante ma non vuole limitarsi al brodo non piccante a base di funghi e giuggiole. Gli ingredienti sono freschissimi, meglio approfittarne per sbilanciarsi: si consigliano il cervello di maiale (fatevi coraggio e fidatevi) e il maodu (毛肚), una parte dello stomaco del manzo. Il prezzo è più alto del classico ristorante cinese, ma in linea con l’offerta. 

 

 

 

 

Shu Da Xia 蜀大侠

Il primo hot pot mangiato in Italia non si scorda facilmente. Shu Da Xia è una catena: si può trovare anche a Firenze e Bologna. Ma questo non deve dare pregiudizi: a differenza di come vengono percepite in Italia, le catene di ristoranti in Cina sono spesso garanzia di ottima qualità.

Lo Shu 蜀 del nome è il nome dell’antico regno che sorgeva dove oggi c’è il Sichuan. Le persone del luogo amano particolarmente questa parte della loro storia, tanto da definirsi scherzosamente “cittadini di Shu” (shuguoren 蜀国人), invece che cinesi. La sede milanese si trova a due passi da Centrale, non lontano da Impressione Chongqing. Il brodo è ottimo e autentico e fa sudare come solo l’hot pot sa fare. Il piatto consigliato è sicuramente la tartare di gamberi, da trasformare in polpettine con il cucchiaio direttamente dal vassoio di bambù. Non ci sono particolari sorprese sul conto, che è nella media.

Yuanzi 院子

Lo Yuanzi non è altro che il “cortiletto” che ci si trova entrando al locale e scendendo delle scalette. È lì che si trova gran parte dei coperti e quindi è probabile accomodarsi lì.

Ci troviamo non lontani da Maciachini, che si sta configurando come una delle nuove zone “calde” della ristorazione cinese in città.

Questo è un hot pot storico di Milano, molto amato anche dai milanesi di origine cinese. Il locale è ampio e conviviale e può accogliere gruppi più numerosi, ma si presta anche a cene fra pochi amici circondati da clienti cinesi festosi e rumorosi.

Meglio non perdersi la carne qui: maiale, agnello, manzo semplice, manzo impanato nel peperoncino, sangue d’anatra, tutto riserva grandi soddisfazioni.

Prezzi perfettamente nella media.

 

The pot 这一锅

Questo ristorante è decisamente meno conosciuto. Accanto alla Microsoft, a due passi da via Sarpi, aveva aperto poco prima della pandemia, per poi ritrovarsi costretto a chiudere. Nel 2022 ha riaperto con un locale rinnovato per accrescere l’offerta meneghina di hot pot.

A parte qualche sbadatezza dei camerieri, contro cui è meglio premunirsi con gli appositi grembiulini di plastica, è un ristorante che vale assolutamente la pena provare. Le pietanze sono tutte buone senza particolari favoritismi, ma se proprio si è indecisi, con radice di loto, funghi enoki (jinzhengu 金针菇 anche detti “see you tomorrow”) e sfoglie di manzo non si sbaglia mai.

Qui si potrebbe riuscire a spendere qualche euro in meno degli altri locali, approfittando della natura ancora un po’ “underground” di The Pot.

Menzione d’onore: Mao Hot Pot

Non si può non menzionare l’ultimo arrivato nella dinastia Mao, che vanta alcuni dei migliori ristoranti cinesi di Milano: Mao Hunan, Mao Ji, Chi Fa, Mood Market.

Questo hot pot, oltre ad essere esteticamente stupendo, è l’unico ad applicare all’hot pot una politica di All You Can Eat e Self Service.

Inoltre, molti ingredienti sono infilzati in spiedini di legno proprio come in una variante dell’hot pot tipica di Chengdu: il chuanchuanxiang 串串香.

L’ultima raccomandazione riguarda l’abbigliamento. È bene sapere che l’odore dell’hot pot tende a restare attaccato ai vestiti per un tempo che varia da una settimana a un’era geologica, salvo lavaggi aggressivi con acidi o lanciafiamme. Può essere utile organizzare il proprio outfit in modo da non emanare aromi sichuanesi in ufficio o in treno.

Detto ciò, non resta che provarli tutti!

 di Livio di Salvatore

*Livio Di Salvatore, abruzzese, classe ’93, laureato in Lingue, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea presso l’Università Ca’Foscari di Venezia, ha poi frequentato un master in Food&Wine Management alla 24 Ore Business School. Attualmente si occupa di export verso la Cina nel settore vinicolo, e nel tempo libero alterna musica e birrini