Asia-Files: Bhattarai e le difficoltà di un nuovo Nepal marxista

In Uncategorized by Simone

Baburam Bhattarai, leader marxista e nuovo primo ministro del Nepal, deve correre contro il tempo per formare la nuova squadra di governo, tra dissidi interni e la spinosa questione del reintegro dei guerriglieri maoisti nella società civile del piccolo stato himalayano.
Stat sua cuique dies, a ciascuno è dato il suo giorno. Basta un verso dell’Eneide per sintetizzare l’intricata situazione politica che vive oggi il Nepal.
Dopo un anno di totale vuoto politico e tre di sostanziale immobilismo il piccolo ex regno himalayano ha finalmente eletto un nuovo primo ministro, lo storico leader marxista Baburam Bhattarai, ed è ora in attesa di vedere realizzati quella riforma della Costituzione e quel processo di pacificazione interna che dalla fine delle monarchia nel 2008 ha sempre sperato e mai ottenuto. Le aspettative sono elevate e il vento del cambiamento potrebbe investire con la forza di un uragano il tetto del mondo. Ma il tempo gioca contro Bhattarai, vincolato a scadenze precise e pericolosamente vicine. Il “suo giorno” sarà il 18 settembre, data in cui è prevista la riunione del comitato centrale del Partito maoista.

Nonostante il notevole margine di vantaggio ottenuto sul suo diretto rivale, segno indiscutibile della fiducia che l’elettorato ripone nelle sue capacità politiche, il leader dello Unified communist party of Nepal-Maoist (Ucpn-Maoist) ha diverse gatte da pelare in fila davanti alla porta del suo nuovo ufficio nel palazzo del governo.
Riscrivere la carta costituzionale, come previsto dall’Assemblea costituente formatasi all’indomani dell’allontanamento dell’ex re Gyanendra e della fine della secolare monarchia, non sarà un’impresa affatto facile in un Paese in cui, malgrado la limitata estensione geografica, le spinte autonomistiche di regioni periferiche (come il Terai) non hanno mai perso il loro slancio e in cui le divisioni etniche sono ancora molto forti.
A ciò si aggiungono le difficoltà di rapporti con l’altro storico leader maoista e attuale presidente del partito Pushpa Kamal Dahal, detto Prachanda (Il fiero). Dopo aver condiviso per anni idee e campo di battaglia durante la guerriglia che ha insanguinato il Nepal a partire dal 1996, i due ex combattenti hanno rotto nel 2005, quando il neo primo ministro fu espulso dal partito per le sue idee politiche, giudicate eccessivamente distanti dalla linea del Ucpn. E se è vero che lo strappo si ricucì poco dopo grazie alla piena reintegrazione di Bhattarai, il loro idillio ideologico si è comunque spezzato per sempre e attualmente tra i due i momenti di tensione non sono infrequenti.
Altri problemi sono poi rappresentati dallo stato di perenne agitazione dei sindacati, con scioperi continui che paralizzano per giorni città e villaggi, dalla mancanza di fiducia degli investitori nazionali e internazionali, dai sempre più frequenti black-out elettrici che, anche per 18 ore consecutive, mandano ko interi centri abitati e colpiscono duramente il sistema produttivo.
Il più impellente problema che Bhattarai deve affrontare, però, è un altro: quello della reintegrazione dei 19mila ex guerriglieri maoisti nella società civile, primo passo di quel processo di pacificazione che tutto il popolo nepalese invoca a gran voce.

Il “giorno più lungo” per il leader maoista è vicino: il 18 settembre. Per quella data è prevista la riunione del comitato centrale dell’Ucpn-Maoist. Se vuole avere qualche possibilità di completare il disarmo degli ex combattenti entro 45 giorni dalla sua elezione come promesso in campagna elettorale, il primo ministro dovrà risolvere la questione prima di questa scadenza. La fazione estremista del partito guidata da Mohan Baidya è infatti contraria a una consegna delle armi immediata, e nel caso in cui la decisione dovesse essere trattata al tavolo del comitato centrale le probabilità di vederla finire in un pantano fatto di voti contrari e divergenze inamovibili sono molto elevate.
Bhattarai ha già messo le mani avanti, sostenendo che disattendere la promessa fatta rappresenterebbe un duro colpo all’immagine del partito, sia agli occhi della popolazione che della comunità internazionale. Negli ultimi giorni inoltre si sono moltiplicati gli appelli rivolti agli alleati che sostengono i maoisti per avviare a breve un dialogo e tentare di comporre l’intricato puzzle del disarmo entro metà settembre. Insieme a Prachanda il leader ha iniziato consultazioni con i vertici del Nepali congress party e del Communist party of Nepal (Unified marxist-leninist) (Cpn-Uml) per favorire il processo di raggruppamento dei combattenti e discutere i punti più controversi del piano per il loro inserimento nelle fila dell’esercito regolare. Un piano elaborato nel 2006, quando i maoisti decisero di rinunciare alla lotta armata e continuare a combattere per la repubblica sul terreno politico e istituzionale, e da allora rimasto inattuato. «La lotta interna al partito è un problema di secondo piano. Il processo di pace è già iniziato e non sarà fermato da queste dispute minori», ha dichiarato Prachanda ai media. Affermazioni che cozzano tuttavia con la linea di totale intransigenza tenuta fino a questo momento dalla fazione di Baidya, che sostiene che tutte le decisioni relative al disarmo dovranno essere prese dal comitato centrale.

I primi segnali di nervosismo, intanto, hanno già iniziato a manifestarsi. Nei giorni scorsi quattro alti ufficiali maoisti hanno dimostrato con le loro truppe nella capitale Kathmandhu, chiedendo di conoscere le condizioni esatte del loro reintegro. Per uomini cresciuti nella giungla a bacche e guerriglia il ritorno alla vita civile non è un passaggio facile. Ad oggi gli ex combattenti hanno consegnato solo una piccola parte del loro arsenale, sparso in oltre 20 nascondigli dislocati nel Paese, con oltre 3mila tra armi pesanti e leggere ancora nelle loro mani.
All’interno dell’Ucpn-Maoist Bhattarai può contare su un sostegno non indifferente ma il peso delle diverse fazioni dovrà comunque essere ponderato con estrema attenzione dal leader. Una necessità di cui il nuovo capo dell’esecutivo sembra perfettamente consapevole, come dimostra la cautela con cui sta procedendo alla nomina dei membri del suo governo.
Ad oggi l’ex guerrigliero ha nominato solo 12 ministri. Che la scelta avrebbe preso tempo era qualcosa di ampiamente prevedibile, vista l’estrema frammentazione del fronte di sostegno ai maoisti. Ma se molti avevano scommesso che i principali problemi sarebbero arrivati dalla Madhesi alliance, un gruppo di partiti che rappresenta gli interessi della minoranza che vive nella regione del Terai e che ha avuto un ruolo chiave nelle elezioni, la realtà si sta dimostrando un’altra: sono i giochi di potere e le contrapposizioni interni agli stessi vertici del partito a creare i maggiori intoppi. In questo rompicapo a incastri Bhattari si sta muovendo con i piedi di piombo con la sua usuale diplomazia, ma il rischio che l’equilibrio dei diversi piatti della bilancia venga meno da un momento all’altro resta comunque elevato.
Starà all’abilità del leader e alla sua capacità di mediazione evitare che la posizione di vantaggio che i maoisti sono riusciti ancora una volta a guadagnare non finisca schiacciata dal peso delle loro contraddizioni interne.

*Paolo Tosatti -Laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra e per il settimanale Left-Avvenimenti.

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