Yakuza, i numeri della «crisi»

In by Gabriele Battaglia

Sono meno di 50mila gli associati ai clan di yakuza nel 2015. È l’agenzia nazionale di polizia giapponese a diffondere i numeri della crisi della malavita organizzata giapponese. Numeri che indicano un cambiamento del crimine organizzato. Non certo la sua estinzione. Secondo i dati delle autorità di Tokyo, l’affiliazione ai clan, che godono di uno status semi-legale, è in calo per il sesto anno consecutivo. A inizio 2016 sono poco meno di 47mila, quasi 7mila in meno rispetto allo scorso anno. Per i clan si tratta del numero più basso di affiliati dal 1958, da quando cioè per la prima volta sono state pubblicate statistiche in tema.

Merito, dice l’agenzia nazionale di polizia, di una serie di operazioni che hanno colpito alcuni clan affiliati allo Yamaguchi-gumi, l’organizzazione criminale più vasta e potente del Paese-arcipelago, nella città di Nagoya e nella regione del Kyushu.

Merito anche di nuove leggi per il «contenimento» della yakuza — che formalmente non è illegale — e del maggiore coinvolgimento della popolazione nel contrasto al crimine organizzato. Nel 2011 sono entrate in vigore ordinanze di «esclusione» che impongono a individui e aziende di «impegnarsi» a dichiarare di non contribuire al profitto di altri individui o aziende con contatti con i clan mafiosi.

Queste leggi hanno funzionato da deterrente, coinvolgendo anche aziende che lavoravano «innocentemente» per i clan, fornendo catering o biglietti da visita, e aumentato notevolmente la capacità di sorveglianza della polizia.

Non sembrano però aver creato le condizioni per un maggiore contrasto alla mala in ambiti come la speculazione sui terreni, in borsa, le forniture di lavoro temporaneo, su cui da anni i clan mafiosi giapponesi operano in attivo.

Le ultime notizie sulla «crisi» della yakuza arrivano inoltre a pochi mesi dalla clamorosa scissione interna allo Yamaguchi-gumi, la più grande e potente confederazione di clan mafiosi del Giappone, cui è seguita la fondazione del Kobe Yamaguchi-gumi, una formazione “ribelle” guidata da Kunio Inoue con sede nella città portuale di Kobe, Giappone occidentale.

Il 28 agosto 2015, a Inoue era stata recapitata la «scomunica» da parte del capo supremo della Yamaguchi-gumi, Shinobu Tsukasa. Il boss supremo aveva deciso di interrompere i rapporti con il clan di Kobe e altri dodici associazioni che avevano criticato l’amministrazione finanziaria dell’organizzazione e lo spostamento degli equilibri di potere interni — e geografici — verso Nagoya, città natale di Tsukasa e sede del suo clan, il Kodo-kai.

La scissione ha provocato un ulteriore aumento delle soglie di allerta nelle autorità di polizia e portato a nuovi arresti in tutto l’arcipelago. Il momento è dunque difficile per i gangster del Sol Levante. Ma è difficile credere in un prossimo futuro «senza» yakuza. 

Il regista Takeshi Kitano con i suoi film a tema yakuza è diventato celebre in tutto il mondo. Nel suo recente Ryuzo to Shichinin no Kobuntachi (all’incirca: Ryuzo e i suoi sette «picciotti») metteva in scena una sorta di transizione culturale in corso nella malavita organizzata nipponica.

A una scalcagnata compagine di yakuza settantenni legati ai valori «tradizionali» — come l’onore e il legame di sangue tra affiliati allo stesso clan — con un rapporto quasi amichevole con la polizia, si contrapponeva un’organizzazione di stampo aziendale fatta da criminali in completo scuro preoccupati dal solo profitto — ricavato dalle truffe ai danni degli anziani e altre speculazioni finanziarie.

Il film divertiva per l’anacronismo dei vecchi yakuza. Ma aveva anche un risvolto nostalgico: il mondo di oggi sembra non appartenergli più. La «nuova» yakuza non sembra badare troppo alle questioni di onore. Essa sa adattarsi al proprio tempo e sfruttare le disfunzionalità della società.

La strategia repressiva messa in campo dalla polizia giapponese potrebbe infatti non dare i frutti sperati. Come sottolineava Andrew Rankin in un dettagliato articolo sul crimine organizzato in Giappone, l’altra faccia della diminuzione dei membri effettivi dei clan è il loro progressivo scivolare «sotto terra», fuori dai radar delle autorità. Ed è qui che i maggiori clan si riorganizzeranno. Anche a costo di sacrificare parti della «cultura» che li ha resi romantiche maschere cinematografiche.

[Scritto per Eastonline]