X China Independent Film Festival 2013 #2

In by Simone

Dopo l’interdizione dell’annata 2012, finalmente questo novembre il China Independent Film Festival è tornato ad ospitare i migliori prodotti del cinema indipendente cinese: dai documentari agli sperimentali, dai cortometraggi ai film pronti per il pubblico dei cinema. China Files ospita la seconda puntata di un reportage in tre parti sull’evento che catalizza le attenzione degli amanti del cinema e dei censori.
All’esordio il 28 novembre 2013, il China Independent Film Festival, presso la sede di Nanchino, programmava dieci lungometraggi e tre cortometraggi, o meglio, i dieci migliori lungometraggi e i tre cortometraggi finalisti. Come precedentemente sottolineato, lo staff ha dovuto decentralizzare l’offerta dirottando i lavori sperimentali e i documentari nelle altre sedi di Xiamen e Dalian.

Grande è stata la sorpresa nell’apprezzare i tre lavori brevi come tra i meglio bilanciati, tecnicamente più pronti e produttivamente più equilibrati: Butter Lamp di Hu Wei, The hammer and the sickle are sleeping di Geng Jun e Downstream di Zune Kwok.

Butter Lamp

Il primo sta girando da un anno in lungo e in largo per l’Europa e non solo: dopo la presentazione a Cannes, ha vinto il nutrito premio dell’Internationale Kurzfilmtage Winterthur, il Raindance, Chicago ed è passato pure per Milano ad ottobre. Offre un bello spunto sul Tibet che, se fosse mai stato pensato in terra cinese, non sarebbe diventato quello che è oggi: Hu Wei, il regista, ha studiato e vive attualmente a Parigi, dove ha trovato i fondi necessari per trasmettere la sua riflessione nonché velata critica, sul soffocamento imposto dal governo di Pechino al popolo tibetano. I suoi personaggi si inginocchiano di fronte all’immagine di Lasha, abbracciano la foto del Panchen Lama – nascosto chissà dove dalle autorità cinesi -, si stringono forte dentro gli abiti della tradizione che rappresentano l’essenza tibetana che si batte per la propria sopravvivenza.

The hammer and the sickle are sleeping
The hammer and the sickle are sleeping, invece, è uno dei prodotti più geniali e dall’umorismo nero più affilato che si sia visto presso il CIFF 2013, con una speciale cognizione tecnica che ha reso i freddi ambienti del nord cinese, una distesa ovattata e luminosa di neve ghiacciata: i tre personaggi disperati e malconci si battono con mezzi ben poco cortesi, per raccattare il cibo e non perire al freddo glaciale. La loro quotidianità abbandonata è un ottimo spaccato della desolazione a cui l’accentramento nelle città sta portando le periferie, anche quelle più estreme, e i rispettivi abitanti.

La differenza notata tra questi corti vincitori e alcuni dei lungometraggi è stata tale da far riflettere sulle condizioni che soggiaciono alla produzione cinematografica di questo Paese. La limitata libertà espressiva ha indotto la costruzione di uno zoccolo duro e combattivo di professionisti e artisti underground, che spesso collaborano in modalità coproduttiva (collaborazione a percentuale, si potrebbe definire) perché la disponibilità economica è davvero risicata. Tuttavia, sono talmente numerosi i contenuti da trattare, le tematiche ancora inesplorate, i problemi mai rivelati, che la necessità espressiva è diventata ora un’urgenza, e una sorta di nuovo comunismo artistico induce linfa vitale a tutta la cinematografia indipendente.

Diverso è invece il caso delle produzioni che arrivano da Hong Kong dove, per disponibilità economica e libertà espressiva, la musica è ben diversa. Tuttavia, quello che gli stessi autori  hongkongesi invidiano e che è evidente dalle opere visionate, è che non ci sia in questa parte di Cina la medesima necessità di parlare dei problemi, come invece è per la Cina continentale; perciò questo cinema si è dimostrato, a festival concluso, ben più spensierato, meno votato alla discussione, ma più alla speculazione artistica oppure ai moti dell’animo (ovvero, le commedie romantiche).

Da HK, il CIFF ha raccolto Fig di Vincent Chui e Distant di Yang Zhengfan (già passato a Locarno, che è la sede ideale per un prodotto così delicato).
Come hanno ovviato gli autori cinesi al bisogno di raccontare temi scottanti in un modo che potesse essere tollerato? Evitando una certa categoria di temi (l’espropriazione delle terre, il Tibet, i petitioners che si battono per i diritti civili…), sui quali proprio non c’è possibilità di scendere a compromessi, e restringendo il fuoco sulle microstorie di alcuni Sig. Nessuno, che tuttavia si fanno portavoce, di volta in volta, di situazioni problematiche e gravità contingenti la Cina di oggi.

Ecco che il tema più gettonato era quello del bullismo e delle organizzazioni illegali, corrotte, che operano a livello locale offrendo ricchi spunti da gangster movie. Sebbene ci siano dei cattivi che se la prendono con i più deboli, gli autori rintracciano le radici di questa ingiustizia non nella prepotenza tout court, bensì nel valore del denaro: un Dio che pare aver corrotto l’animo così in profondità, da educare a spietati sicari. Ci sono poi gli eroi buoni (o meglio, giustificati), per i quali è la contingenza ad indurre sulla cattiva strada: è l’esempio dei due film meglio riusciti del programma del CIFF. Si tratta di Burned wings di Zheng Kuo e di Today my mother will get married di Jin Ye.

Burned wings

ù

Il primo è un esilarante gangster movie imbrattato di principi incarnati dall’eroe, l’ipnotico attore Yang Shicong, che è a capo di un manipolo di ragazzacci in cerca di un’attività redditizia; un po’ stoltamente questi finiscono coinvolto nei brutti affari dei poliziotti corrotti e degli affamati esecutori immobiliari che cacciano gli ultimi abitanti delle case chiodo (quelle che resistono allo sfratto imposto dal governo). La vicenda finisce in un drammatico eccidio, ma non senza lasciare al pubblico momenti di altissima cinematografia gangsta-slapstick, nel picco di un quanto mai realistico inseguimento in una SPA, dentro e fuori dall’acqua termale, per ritrovarsi a correre spudoratamente nel traffico col sedere all’aria.

Today my mother will get married
Anche l’opera di Jin Ye ci parla di un gruppo di teppistelli, ma questi hanno 15 anni e le loro malefatte si indirizzano tutte a danno del patrigno di uno dei tre: in realtà il loro è un grido di richiesta d’attenzione, perché anche qui denaro e status sociale hanno preso il posto degli amori della vita, e i figli restano trascurati ai bordi delle strade, derubando e spendendo i pomeriggi appresso ai videogiochi online.

Più visionarie le opere Distant, sopra citata, e Emperor visits the hell, di Li Luo, il quale ha trionfato al CIFF 2013. Il primo è un lungo lavoro di indagine statica realizzato tramite 13 piani sequenza che raccontano scorci cinesi e che abbracciano molte delle condizioni problematiche e precarie di questa società. Il secondo, è una interessante trasposizione letteraria ambientata però ai giorni nostri, del viaggio dell’imperatore Lhi Shimin nell’oltretomba, per riscattare alcune malefatte commesse. Disegnato in bianco e nero ed essenziale quasi come una ambientazione del Von Trier di Dogville, tra una risata a denti stretti e l’altra si parla di un passato insospettabile per commentare vizi e debolezze dei giorni nostri.

* Rita Andreetti nasce a Ferrara nel 1982. Da più di dieci anni si occupa attivamente di cinema indipendente: oltre una decina di lavori di cui firma la regia e la sceneggiatura, e altrettante collaborazioni in ambito di assistenza alla regia (anche per Liliana Cavani) e segreteria di edizione. È tra i fondatori dell’associazione culturale Cronos Film (www.cronsofilm.org) nonché caporedattrice del progetto di webzine cinematografica Indipendentidalcinema.it (www.indipendentidalcinema.it). Tra le opere più importanti, il suo primo cortometraggio, Il Bistrot dei Cineasti Indipendenti, vincitore di due premi: al Palermo Film Festival come Miglior Colonna Sonora e al Premio Perini Menzione FEDIC. Inoltre, si citano le opere di video-arte che hanno avuto visibilità in gallerie di respiro internazionale, tra cui Artè (Ferrara), GAMC (Bondeno, FE), De Faveri Arte (Feltre) e la prestigiosa Ernst Hilger Gallery (Vienna): Pentesilea, Le 4 cattive, Tutti baci Berenice. Dal 2012 vive in Cina, a Nanjing: collabora con il portale Mask9.com come critica cinematografica e ufficio stampa; scrive per la rivista Taxidrivers.it di cinema asiatico e cura un blog per Vanity Fair in cui racconta della sua esperienza: cineserie.vanityfair.it. Sogna un giorno di poter parlare cinese correntemente e distribuire film italiani a questo immenso pubblico.