Dopo l’interdizione dell’annata 2012, finalmente questo novembre il China Independent Film Festival è tornato ad ospitare i migliori prodotti del cinema indipendente cinese: dai documentari agli sperimentali, dai cortometraggi ai film pronti per il pubblico dei cinema. China Files ospita la terza puntata di un reportage in tre parti sull’evento che catalizza le attenzione degli amanti del cinema e dei censori.
Al di là dell’offerta specifica di questa edizione del China Independent Film Festival, l’evento è qualcosa che va menzionato e la cui caparbietà va diffusa per l’intenzione che lo muove. Shen Xiaoping mi ha raccontato con limpidezza come, malgrado sballottati e preda di una forza senza volto e senza direzione, questi autori e gli organizzatori tutti stiano continuando a battersi: nessuno tra loro ha mai ricevuto precise indicazioni riguardo a quel che si possa dire o meno, a quali temi possano essere definiti tabù, e quali invece si muovano sul confine della tolleranza.
Nè tanto meno esiste un ufficio di competenza: questa dottrina espressiva agisce a piacimento di non si sa bene chi. Perciò talvolta sembra appartenere al modo di essere e di produrre cinema di questi autori, che, come di frequente accade per chi crea cultura nella Cina di oggi, si autocensurano alla fonte; ma, non sempre ci prendono.
Ecco quindi che ad oggi, probabilmente, i tempi sono maturi per parlare criticamente di corruzione (e i film presentati al CIFF erano ricchi di spunti al riguardo), come invece era difficilmente possibile fare un paio di anni fa.
Queste regole infatti, sono preda di un battere d’ali politico, cambiano a seconda del funzionario che in quel momento ha il potere di decidere, così come è successo giusto quest’anno in occasione della proiezione del film di Tarantino: dopo aver assecondato le prime richieste della censura cinese ed essere intervenuto di suo pungo sul final cut di Django Unchained, quando nelle sale i tecnici stavano già col dito sul tasto play, la parola di qualcuno dall’alto ha interrotto le proiezioni su tutto il territorio. Una dimostrazione di forza che è stata capace di superare gli interessi commerciali.
Tuttavia, la presenza di questi eventi è essenziale, seppure si muova nelle ristrettezze, per educare il pubblico a fruire prodotti critici e sviluppare quindi una cinematografia non solo in senso artistico, ma anche dal punto di vista di chi l’accoglie e la digerisce; e naturalmente, per sollevare e portare all’attenzione tematiche sepolte o insabbiate.
Seduti al tavolo con queste persone, che raccontano di quello che fanno con tanta serenità, pare che i pericoli siano lontani, sebbene si legga una vena di frustrazione nel loro tono di voce: sanno di combattere contro un mostro invisibile che si materializza a suo piacimento. Eppure, non mollano; sebbene la loro attività sia molto più esposta di quanto si creda, molto più in equilibrio funambolico, a tal punto che da un momento all’altro si potrebbe pestare il piede sbagliato, pronunciare una parola di troppo, infastidire il funzionario irascibile e rimetterci ben più di una edizione del festival.
Non c’è alcuna garanzia che il prossimo anno potremo rivedere quelle facce, che potremo visionare nuovi film; non c’è altresì alcuna garanzia che questi possano contare nuovamente sull’appoggio di chi li ha ospitati e sostenuti questa volta, o di altre istituzioni ed entità che permettano finalmente al Festival di crescere e di spostarsi nei cinema, come gli spetterebbe di diritto. In ogni momento, una nuova raffica di telefonate-mina potrebbe creare terra bruciata attorno al nucleo incandescente del China Independent Film Festival, e riabbassare le creste alzate di questi giovani autori e dei loro sostenitori.
Forse, è per quello, così come per promuovere la crescita della cinematografia cinese tutta, che Shen Xiaoping e colleghi si stanno muovendo per collaborazioni oltre confine: per esportare la selezione del CIFF su palcoscenici internazionali non solo ricettivi all’underground, ma pure sensibili alla condizione del popolo cinese e della sua schiera di artisti combattenti, cosicché questa attività di resistenza venga conosciuta anche fuori dai confini nazionali.
Una forma di tutela che si spera possa proteggere i prodotti e gli autori, e ancora di più, i documentari e i suoi fautori, nella cui immediatezza espressiva la gente comune si esprime e l’evidenza viene rappresentata. Non esiste peggior rischio per il potere centrale della voce della base che viene amplificata.
* Rita Andreetti nasce a Ferrara nel 1982. Da più di dieci anni si occupa attivamente di cinema indipendente: oltre una decina di lavori di cui firma la regia e la sceneggiatura, e altrettante collaborazioni in ambito di assistenza alla regia (anche per Liliana Cavani) e segreteria di edizione. È tra i fondatori dell’associazione culturale Cronos Film (www.cronsofilm.org) nonché caporedattrice del progetto di webzine cinematografica Indipendentidalcinema.it (www.indipendentidalcinema.it). Tra le opere più importanti, il suo primo cortometraggio, Il Bistrot dei Cineasti Indipendenti, vincitore di due premi: al Palermo Film Festival come Miglior Colonna Sonora e al Premio Perini Menzione FEDIC. Inoltre, si citano le opere di video-arte che hanno avuto visibilità in gallerie di respiro internazionale, tra cui Artè (Ferrara), GAMC (Bondeno, FE), De Faveri Arte (Feltre) e la prestigiosa Ernst Hilger Gallery (Vienna): Pentesilea, Le 4 cattive, Tutti baci Berenice. Dal 2012 vive in Cina, a Nanjing: collabora con il portale Mask9.com come critica cinematografica e ufficio stampa; scrive per la rivista Taxidrivers.it di cinema asiatico e cura un blog per Vanity Fair in cui racconta della sua esperienza: cineserie.vanityfair.it. Sogna un giorno di poter parlare cinese correntemente e distribuire film italiani a questo immenso pubblico.