“Where the Leaves Fall”, alla ricerca di un’identità sinoitaliana

In Cultura by Lorenzo Lamperti

Alessandro ha 23 anni ed è un ragazzo italiano. Alessandro ha 23 anni e i suoi genitori sono cinesi. Il suo nome completo è Xin Alessandro Zheng*. Alessandro ha 23 anni ed è il regista di un bellissimo cortometraggio, Where the Leaves Fall, che è stato selezionato e presentato alla Settimana Internazionale della Critica durante l’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Si tratta della storia di Giacomo, giovane italo cinese di seconda generazione, che viaggia fino alla contea di Wencheng per riportare a casa le ceneri del padre scomparso prematuramente. Nella città natale dei propri genitori è ospite del nonno, che diventerà la guida sui sentieri dimenticati della sua cultura d’origine, ormai lontana anni luce dalla sua vita quotidiana, di ventenne europeo.

Alessandro, com’è nato il progetto del tuo cortometraggio “Where the Leaves Fall” e come è arrivato a Venezia?

Si tratta del mio cortometraggio di tesi alla Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano. Avevo già lavorato ad altre produzioni prima, ma questo era il primo progetto di un certo tipo per me, e non credevo potesse essere già a un livello in grado di essere accolto a Venezia. Ho deciso di provarci solo perché i miei professori mi hanno incitato, quasi “costretto”, a farlo. Quando mi è stato comunicato che era entrato nella selezione ufficiale quasi non ci credevo.

E com’è stato vedere il tuo lavoro proiettato alla Settimana Internazionale della Critica?

Una grande emozione. Per me era la prima volta al festival di Venezia. Dovevo stare due giorni, alla fine sono rimasto una settimana a vedere cinque film al giorno.

A che cosa ti sei ispirato per la storia del cortometraggio?

Gli eventi sono ispirati alla vicenda di un cugino di mia madre, tornato in Cina per il funerale del padre. Di solito in Cina i funerali sono pieni di gente, ci si incontra e si sta insieme non per un giorno ma anche per cinque giorni di seguito. Qui invece la dimensione è molto più privata.

Come sono andate le riprese in Cina?

È stata una bellissima esperienza. Le riprese sono durate cinque giorni, anche se in tutto sono rimasto lì 20 giorni, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020. Abbiamo girato in un villaggio e tanta gente ha partecipato con curiosità, non sono certo abituati a vedere le riprese di un film. Anche l’attore che interpreta il nonno l’ho conosciuto lì. Non aveva esperienze recitative ma credo che abbia fatto un ottimo lavoro.

Un lavoro straordinario. Quanto c’è di te nel personaggio di Giulio, ragazzo italiano, che arriva da solo in Cina e si trova di fronte un mondo completamente diverso da quello che conosce e al quale allo stesso tempo appartiene e ne è estraneo?

C’è tanto. Per me la Cina era per tanti anni solo quella dei racconti dei miei genitori, che ripetono spesso la stessa frase: “Ai miei tempi…” Come per Giulio, anche per me andare in Cina le prime volte rappresentava uno choc culturale. Quando avevo 17 anni sono stato un mese a Shanghai per studiare cinese (che ancora non parlo in modo perfetto) e prima della pandemia da coronavirus avevo in programma di trasferirmi in Cina a studiare per un anno.

Nel tuo cortometraggio ci sono delle scene (molto belle, tra l’altro) in cui è evidente la ricerca di una sintesi tra l’italianità e la cinesità. È un tema che senti anche nella tua vita personale?

Sì, esatto. Sento la necessità di una sintesi tra la mia identità italiana e le mie origini cinesi. Questo cortometraggio è stato in questo senso anche una ricerca personale nella quale mi sono costretto a pormi delle domande. Anche a livello formale, ho cercato una sintesi tra lo stile di un film asiatico a delle componenti più italiane.

Quanto è difficile trovare questa sintesi, soprattutto a livello personale?

Non è semplice. Fino a qualche anno fa ero sempre rimasto lontano alle mie origini. I miei genitori mi parlavano della Cina ma il mondo che conoscevo era un altro. Crescendo in Italia mi sono spesso sentito diverso, o mi ci hanno fatto sentire. Non tanto con episodi di razzismo o con qualcosa di grave, si tratta più di una esclusione psicologica. E allora per adeguarti, per sentirti incluso, probabilmente cerchi di allontanarti da quel passato che tu non hai vissuto ma che porti nei tuoi tratti somatici. Poi negli ultimi anni mi sono reso conto che quel passato fa parte di me e che è necessario che lo esplori. Di recente mi sono avvicinato anche ad altri ragazzi di seconda generazione, mentre in precedenza ero sempre rimasto un po’ lontano dalla comunità, anche per la mia mancata conoscenza della lingua.

Quanto di questo mondo di ragazzi di seconda generazione viene rappresentato e raccontato secondo te?

Molto poco. Da una parte c’è lo stereotipo del cinese che può solo aprire un ristorante o gestire un tabaccaio, senza ovviamente che ci sia nulla di male in questo, anzi, oppure venire in Italia per studiare alla Bocconi. Dall’altra invece si considerano soprattutto i cinesi in senso stretto. Ma i ragazzi cinesi o sinoitaliani possono fare anche altro, come girare un cortometraggio. E la comunità sinoitaliana non è solo quella di Paolo Sarpi.

*Xin Alessandro Zheng (1997) regista, sceneggiatore e montatore, ha studiato presso la Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano e ha collaborato a produzioni di cortometraggi e documentari indipendenti su suolo italiano e cinese. Where the Leaves Fall è il suo cortometraggio di tesi del Triennio di Media Design e Arti Multimediali alla NABA di Milano. Famiglia di Wenzhou, famiglia qui da 30 anni, un fratello. nonni materni ancora in cina, paterni un anno qui e uno lì