Wenchan Ban – La guerra dei parchi di divertimento

In by Gabriele Battaglia

I Wenchan Ban sono gli uffici di promozione delle industrie culturali che si trovano in molti governi locali cinesi. Il Wenchan Ban di China Files è diretto da Edoardo Gagliardi, e il suo compito è quello di raccontare e promuovere ogni due settimane le nuove storie di cinema, musica e dell’industria culturale cinese, del loro mercato e dei loro protagonisti. Come previsto, a pochi giorni dall’apertura fa sempre più parlare di sé. Parliamo dello Shanghai Disneyland Resort, il parco di divertimenti che aprirà finalmente il 16 giugno, dopo alcuni ritardi, 4 anni di lavori, e un investimento stimato in quasi 6 miliardi di dollari.
Secondo una recente ricerca di Forbes il mercato dei parchi di divertimento in Cina ha generato nel 2015 un giro d’affari di 3,3 miliardi di dollari, cifra sicuramente destinata a crescere quest’anno, grazie a Disney ma non solo. Complice uno spostamento dei consumi sempre più verso attività ricreative da parte della crescente classe media urbana. Le potenzialità sono enormi e gli investimenti saranno ingenti, tanto che in programma ci sono anche l’apertura di un parco Dreamworks e di un Legoland, entrambi nella zona di Shanghai ed entrambi con il sostegno del gruppo d’investimento locale China Media Capital. Ma secondo alcune stime quasi 60 parchi apriranno in tutta la Cina entro il 2020, molti dei quali vedranno la partecipazione di Hollywood e proprietà straniere.

Lo Shanghai Disneyland Resort ha già avuto un assaggio delle sue potenzialità: a partire dal lungo ponte della festa dei lavoratori, lo scorso maggio, un’orda di curiosi ha infatti iniziato a recarsi in visita negli spazi già accessibili adiacenti al parco. Questa anteprima, deve essere stato un segnale importante per i gestori, per rafforzare sicurezza e soprattutto il personale di pulizia e manutenzione. La folla sembra infatti essere calata sull’area determinata a non fermarsi davanti a cartelli e buon senso, lasciando così dietro di sé un paesaggio che forse ha ricordato più il “Dismaland” di Bansky che il mondo dei sogni Disney.

Se questo primo test può essere considerato un buon auspicio per il parco, lo stesso non si può dire per il messaggio lanciato da Wang Jianlin, l’uomo più ricco della Cina, che in un’intervista a CCTV ha dichiarato senza giri di parole: «Una tigre con può competere con un branco di lupi», riferendosi al «branco» di oltre 15 parchi che il suo gruppo Wanda ha in programma di costruire in tutta la Cina. Secondo Wang infatti, Disney non ha speranze nella competizione con il colosso locale, e il suo parco è destinato a fallire a causa di una posizione dal clima poco adatto, prezzi dei biglietti alti e un modello di business poco innovativo che si affida a proprietà intellettuali vecchie.

Wang Jianlin è capo supremo di Dalian Wanda, colosso immobiliare cinese che negli ultimi anni si è sempre più focalizzato sull’industria culturale e in particolare sul cinema.
Le sue parole arrivano all’indomani dell’apertura del primo dei parchi Wanda City, a Nanchang, capitale della provincia dello Jiangxi, costato circa 3 miliardi di dollari e i cui biglietti d’ingresso costano esattamente la metà del rivale americano di Shanghai. Il parco espone una serie di attrazioni e personaggi del tutto cinesi, e ancora poco familiari per il pubblico locale.

Sebbene Disney si sia rifiutata di commentare le parole di Wang, ha trovato il modo di reagire denunciando Wanda per violazione di copyright appena hanno iniziato a circolare foto di figuranti del Wanda City con indosso costumi di Biancaneve, Topolino, Capitan America, ecc. Sicuramente una reazione così pronta e forte è stata stimolata dalle parole pronunciate da Wang qualche giorno prima.
Wanda ha risposto che i costumi incriminati sono stati un’idea di gestori privati dei singoli negozi dell’area del parco e non c’è stata alcuna violazione da parte del gruppo. Del resto un costume di Biancaneve si può comprare sul sito e-commerce Taobao per meno di 10 euro.

Insomma, è iniziata una guerra dei parchi per contendersi visitatori da tutta la Cina. Se da tempo corrono voci di parchi dedicati ai film del regista Feng Xiaogang (sull’isola di Hainan) o all’icona di arti marziali Jackie Chan, è confermato il progetto di un gigantesco parco dedicato alla minoranza islamica Hui e alla cultura musulmana, nella provincia nord-settentrionale del Ningxia, che prevederà un investimento di 3,6 miliardi di dollari.

Così, tra entusiasmo e aspettative per un mercato dato in crescita, i giorni di goffi e fallimentari tentativi sembrano lontani, ma non troppo. Come dimenticare, infatti, il celebre Beijing Shijingshan Amusement Park aperto nel 1986 nella periferia di Pechino e ribattezzato subito il “Parco del copyright violato”, grazie a una serie di attrazione chiaramente «ispirate» a celebri film Disney e icone animate giapponesi. O come dimenticare il parco «in miniatura» di Kunming, Yunnan, dove un gruppo di nani vive in pianta stabile in una città fantastica, a loro misura, lavorando come attrazione per il pubblico. Ma soprattutto nella memoria incombe il Wonderland Amusement Park sempre nella periferia di Pechino. Destinato a essere il più grande parco di divertimenti asiatico, la sua costruzione si arrestò improvvisamente nel 1998, e rimase a lungo uno scheletro tetro che gettava la sua ombra grigia su tutto il settore dei parchi cinesi, fino alla sua definitiva demolizione nel 2013, proprio quando il settore ha visto una forte impennata.

Forse anche memore di questa esperienza, il Global Times fa eco alle controversie di questi giorni avvertendo investitori e governi locali di fare attenzione a sperperare soldi in progetti poco lungimiranti, invitando persino il governo centrale a sorvegliare sull’assegnazione di fondi e terreni. Certo è che se a Shanghai fervono i preparativi e gli ultimi ritocchi, nel resto del paese la febbre dei parchi di divertimento è già iniziata.

*Edoardo Gagliardi, laureato in studi orientali, ha ottenuto un dottorato in cinema cinese contemporaneo presso l’Università di Roma La Sapienza, dopo un periodo di studi alla Peking University. Vive a Pechino da diversi anni dove lavora su progetti e coproduzioni cinematografiche tra Italia e Cina, collaborando in passato con il desk ANICA di Pechino. Nel tempo libero si interessa di musica, una volta anche con il blog Beijing Calling, su queste pagine.