Una montagna di soldi comprerà anche il disgelo tra Tokyo e Pyongyang?

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Finora i rapporti sono stati gelidi, ma l’atteggiamento di Pyongyang nei confronti di Tokyo sta cambiando. A Kim fanno gola i dieci miliardi di dollari promessi dal Giappone nel 2002 e mai arrivati. Per ottenerli potrebbe riaprire il dossier rapimenti. Mettendo in imbarazzo Abe


Per sedersi, anche lui a un tavolo con Kim Jong-un, Shinzo Abe potrebbe faticare meno del previsto. Finora tra i rapporti tra i due Paesi sono stati all’insegna della linea dura su entrambi i fronti, ma con le giuste chiavi il portone della diplomazia si può aprire.

“I danni umani, materiali e culturali, psicologici e morali subiti dal popolo coreano non potranno essere compensati neanche se il Giappone fosse totalmente cancellato dalla storia”. Così, nel 2017, la Kcna, l’emittente statale nordcoreana.

Poco più di dieci giorni dopo il vertice di Singapore tra il leader nordcoreano Kim Jong-un e il presidente Usa Donald Trump che ha inaugurato un nuovo periodo di distensione tra la Corea del Nord e il mondo, anche l’atteggiamento di Pyongyang nei confronti di Tokyo sta cambiando.

A fare gola a Kim sono i capitali stranieri, di cui il Paese ha disperato bisogno. A partire dalla cooperazione internazionale.

La base di partenza, scrive il quotidiano giapponese Nikkei (in giapponese), sono quei 10 miliardi di dollari in aiuti che il Giappone avrebbe promesso nel 2002, in seguito alla firma della Dichiarazione di Pyongyang tra l’allora primo ministro nipponico Koizumi e il compianto leader Kim Jong-il quello stesso anno.

Soldi che, se arrivati, avrebbero permesso al regime nordcoreano di modernizzare le proprie infrastrutture stradali e ferroviarie, favorendo nuovo sviluppo nel Paese.

Naturalmente, una somma simile — che secondo le stime del quotidiano giapponese, corrisponde a una quota compresa tra il 40 e il 60% del prodotto interno lordo della Corea del Nord — fa gola anche al nuovo leader. Secondo il quotidiano Japan Times, negli ultimi otto anni i principali investitori — in gran parte gruppi industriali sudcoreani — hanno gradualmente ridotto il proprio impegno. Sanzioni e scarsi profitti economici hanno favorito questo allontanamento.

Nuovi investimenti — anche da parte della russa Gazprom, intenzionata a finanziare la costruzione di un gasdotto che dovrebbe passare su territorio nordcoreano — sono fermi in attesa di garanzie da parte del regime di Pyongyang sui ritorni economici. Secondo Cho Nam-chan, sentito sempre dal JT, nemmeno il gigante Usa degli hamburger McDonald’s sarebbe pronto ad aprire i suoi primi punti vendita in Corea del Nord a causa della mancanza di infrastrutture in grado di garantire forniture locali e il loro trasporto e conservazione senza ripercussioni sulla qualità degli alimenti.

In mancanza d’altro, Kim potrebbe aver bisogno degli aiuti economici giapponesi. E potrebbe sfruttare la leva della questione dei rapimenti di cittadini giapponesi tra gli anni ’70 e ’80.

La vicenda sta molto a cuore al primo ministro giapponese Shinzo Abe. Nell’arco di un decennio, almeno diciassette persone — questo il dato ufficiale di Tokyo — sono state sequestrate da agenti nordcoreani entrati illegalmente in Giappone e portate in Corea del Nord per addestrare le spie del regime.

A settembre 2002, dopo lunghe trattative con Tokyo che aveva richiesto un’indagine ufficiale sul caso, Pyongyang ha ammesso il rapimento di tredici persone, otto delle quali morte e ha formulato delle scuse. Poche settimane dopo l’incontro Koizumi — Kim, a metà ottobre, a cinque vittime dei rapimenti viene concesso un rimpatrio temporaneo poi diventato definitivo e che ha portato alla fine dei negoziati tra Tokyo e Pyongyang.

Questione risolta? Non esattamente. La versione della morte degli altri otto giapponesi che ancora mancano all’appello non ha mai persuaso fino in fondo i conservatori giapponesi, primo tra tutti l’attuale premier. Non a caso, e data anche l’esclusione del suo Paese da tavoli allargati, durante il suo incontro con Trump pre summit di Singapore, Abe è tornato a chiedere l’intercessione del presidente americano sulla questione dei rapimenti.

Shinzo Abe si è dichiarato fiducioso. «Se procederemo sulla strada giusta» ha detto «riscatteremo un passato infelice e punteremo alla normalizzazione sulla base della Dichiarazione di Pyongyang».

Se Kim dovesse fare un passo in avanti sulla questione dei rapimenti — come già fece suo padre quasi sedici anni fa — , il governo giapponese sarebbe messo a dura prova. L’esborso di aiuti economici a un Paese ancora considerato ostile non sarebbe visto di buon occhio dall’elettorato conservatore e da larghe fette della popolazione giapponese. E a quel punto la pace con Pyongyang sarebbe sacrificabile ancora una volta in nome della stabilità politica.

di Marco Zappa

[Pubblicato su Eastwest]