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#Ucraina. La guerra di Vlad spiazza l’amico Xi

In Cina, Relazioni Internazionali by Redazione

La difficile avanzata dei militari russi in #Ucraina è un ammonimento in più per Pechino, dato che un attacco a Taiwan dovrebbe avvenire dal mare e Taiwan è molto ben difesa e sembra che un “blitz” di breve durata sia da escludere, con tutti i problemi che questo comporta per l’aggressore.

Se ci si pensa un attimo, è chiaro che nessun paese meglio della Cina e nessun leader meglio del presidente Xi Jinping potrebbe tentare una mediazione per mettere fine all’attacco della Russia contro l’#Ucraina. Come ha ricordato il sinologo Kerry Brown in un articolo sulla rivista Prospect, la Cina si trova con sessantamila cittadini cinesi in Ucraina al momento dell’invasione e con significative esportazioni di cereali in ballo, e l’attacco militare russo in corso è un pericolo per questi legami.

D’altra parte, come ricorda lo stesso Brown, le buone relazioni tra i due paesi sono centrate su “una decente relazione personale tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping”. Aggiunge ancora il professor che l’economia russa è un sesto di quella cinese.

La Russia ha forti legami economici e culturali con il resto dell’Europa ed economici con gli Usa, che però sono in trincea e hanno colpito Mosca con sanzioni di una portata senza precedenti.

Perché, allora, la diplomazia cinese non si fa avanti?

La risposta, mi sembra, è che è vittima di se stessa. Gli ostacoli a un’iniziativa cinese sono In primo luogo la cosiddetta “wolf diplomacy”, cioè l’inconsueta – per dei diplomatici – aggressività che negli ultimi anni è stata il suo tratto distintivo, soprattutto tra i diplomatici più giovani e più attivi, che rende difficile la loro “riconversione” a promotori di pace; poi la riproposizione continua del mantra della “non-interferenza”; e ancora la sbandierata amicizia con la Russia – anche se, come suggeriscono numerosi analisti, destinata a non durare in eterno.

La questione principale è che, almeno dal 2008, a causa di un’interpretazione vetero-marxista della crisi finanziaria degli Usa, Pechino si propone al resto del mondo come il prossimo paese-guida della comunità internazionale che – al contrario degli amati/odiati americani – non “interferirà negli affari interni” degli altri (traduzione: non “romperà le scatole” ai suoi interlocutori con i diritti umani o altra baggianate del genere) e assicurerà una direzione equilibrata e pragmatica degli affari internazionali: si tratta della forma della win-win relation, tanto amata dai diplomatici cinesi quando si tolgono il travestimento da lupi.

Inoltre c’è il problema di Taiwan: come molti hanno sottolineato si tratta di situazioni diverse perché l’#Ucraina è un paese indipendente riconosciuto dall’Onu, mentre Taiwan è considerata dalla stessa Onu parte dell’“unica” Cina che siede nel Consiglio di sicurezza in quanto vincitrice della Seconda guerra mondiale come gli altri membri permanenti, cioè Usa, Regno Unito, Francia e Russia.

La storia della Rus di Kiev

Ma guardiamo un po’ più a fondo: per giustificare l’invasione, Putin ha ricordato la storia della “Rus di Kiev”, che risale al nono secolo. Per la sua rivendicazione su Taiwan, la Cina si appoggia all’annessione dell’isola da parte della dinastia dei Qing, nel 1683, quando i marinai cinesi occuparono una piccola parte del territorio taiwanese. Dopo la sconfitta nella guerra col Giappone del 1895 l’isola fu ceduta a Tokyo, che la governò fino al 1945.

Nel 1947 – e non nel 1949, come la narrazione comune erroneamente afferma – l’allora governo cinese diretto dal “generalissimo” Chiang Kai Shek la conquistò militarmente, massacrando un numero spaventoso di taiwanesi (le stime vanno da un minimo di diecimila a un massimo di centomila), in quello che è conosciuto come il massacro del 28 febbraio (del 1947, appunto). Poi ne gettò migliaia in galera e impose un regime del terrore che si protrasse fino agli anni Novanta. I nazionalisti del Guomindang di Chiang, dunque, erano altrettanto invisi alla popolazione locale quanto i comunisti di Mao e oggi di Xi.

Kiev e Taipei: tra terra e mare

La difficile avanzata dei militari russi è un ammonimento in più per Pechino, dato che un attacco a Taiwan dovrebbe avvenire dal mare e Taiwan è molto ben difesa e sembra che un “blitz” di breve durata sia da escludere, con tutti i problemi che questo comporta per l’aggressore. Non dimenticando che l’ambiguità del Taiwan Relations Act – che negli Usa è una legge – permetterebbe agli americani non solo le forniture di armi ma addirittura, se così decidessero presidente e Congresso, un intervento militare diretto.

In entrambi i casi – #Ucraina e Taiwan – la “riunificazione” avverrebbe contro la dichiarata volontà dei cittadini dell’uno e dell’altro paese.

Su questo punto cruciale Pechino ha poco da dire.

Insomma, l’Imperatore Xi tace e il suo silenzio dimostra quanto poco la Cina di oggi abbia la capacità e la voglia di diventare il nuovo paese leader sostituendo gli Usa sullo scacchiere mondiale.

Di Beniamino Natale

[Pubblicato su Ytali]