Trumpismi transmongolici

In Uncategorized by Gabriele Battaglia

Quel sottile sex appeal della soluzione autoritaria tra i delusi della globalizzazione. Su un treno che attraversa il Gobi in direzione Pechino, la rappresentazione della società del tardo capitalismo. Salendo sul treno, la speranza un po’ romanzesca è di condividere lo scompartimento con una affascinante dama russa o, al limite, di starmene da solo. Invece mi ritrovo insieme a Gege, una ballerina folk mongola che all’occorrenza può cimentarsi anche in salsa, merengue o danza del ventre, e a due pensionati cinesi che arrivano poco prima della partenza del treno, occupando immediatamente ogni spazio residuo con borse, pacchi e pacchetti.

Nello scompartimento accanto c’è un bambino che urla, tre più in là una cricca di ragazzoni mongoli sui trent’anni, saliti a bordo già ubriachi, che poi cercheranno di attaccare bottone con me e briga con il conduttore cinese della carrozza.
Siamo sulla Transmongolica, tratta Ulan Bator-Pechino. Gege è diretta a Shanghai, quindi all’arrivo prenderà un altro treno. Ha amici che dovrebbero offrirle «un lavoro» per due, tre settimane: «Forse dovrò insegnare danza del ventre a dei bambini». Tra gli amici, dice, c’è un’altra ballerina sua connazionale che lavora a Macao, la «Las Vegas dell’Asia», nota destinazione finale nella tratta delle prostitute mongole.

Non voglio trarre conclusioni affrettate. Nel frattempo, lei scopre che gli amici l’aspettano in realtà a Guangzhou: altre nove ore dopo le ventisei da Ulan Bator a Pechino, ma almeno quelle le farà con l’alta velocità. Quanto ai due pensionati cinesi, il signor Qi e il signor X (non parla mai e non si presenta), sono andati a Ulan Bator «per divertimento» e tornano carichi di roba. Il signor Qi dice di avere lavorato per anni in Mongolia, nel settore minerario, e aggiunge che secondo lui a Pechino c’è troppa gente, «bisogna mettere il numero chiuso per i migranti».

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