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Trauma nazionale, Tokyo perde la bussola politica

In Asia Orientale by Lorenzo Lamperti

Tokyo perde la bussola politica: Shinzo Abe è stato il centro di gravità di un’intera nazione. I rischi di un effetto duraturo dell’attentato

Per il Giappone è la fine di un’epoca. A livello politico, certo, ma anche a livello sociale. Shinzo Abe non era solo un ex premier, era il centro di gravità di un paese che sta provando faticosamente a liberarsi dei fardelli del passato. Premier più longevo del dopoguerra, capo della fazione più numerosa del Partito liberaldemocratico quasi permanentemente al potere, «padrino» dell’attuale premier Fumio Kishida e papà della concezione dell’Indo-Pacifico in un tempo nel quale la contesa tra Stati uniti e Cina era ancora lontana. Con Abe, il Giappone perde la sua bussola in tempi a dir poco incerti, tra inedite partecipazioni di Tokyo ai summit della Nato e le incursioni navali e aeree ormai «di routine» dei mezzi militari di Cina e Russia.

L’effetto più immediato dell’omicidio è sociale. «Per il Giappone questo assassinio rappresenta un trauma nazionale», dice al manifesto l’analista della Sasakawa Peace Foundation Fabrizio Bozzato. Il Giappone è celebre nel mondo per i suoi alti standard di sicurezza, garantiti dalla semi impossibilità nel possedere armi da fuoco. Una legge del 1958 ancora in vigore prevede regole severissime e ottenere una licenza è un processo lungo e complicato che prende in esame il profilo psicologico, finanziario, sociale e personale del richiedente. Secondo gli ultimi dati dell’Ocse, il tasso di omicidi in Giappone si assesta a 0,2 su 100.000 abitanti, contro lo 0,5 dell’Italia, e i 6 degli Stati Uniti. Nel 2020 ci sono stati solo 21 arresti per reati legati all’uso di armi da fuoco, di cui 12 riconducibili a bande criminali. Un’inezia per una paese con quasi 126 milioni di abitanti. «Finora i politici giapponesi si sentivano sicuri di fare campagna elettorale in stretto contatto con la genete e con misure di sicurezza minime. Forse tutto questo cambierà», dice Bozzato. A livello elettorale, invece, «è prevedibile che la morte di Abe favorisca il Jiminto alle elezioni per il rinnovo della Camera alta di domenica».

Ma l’impatto dell’attentato sulla politica giapponese potrebbe essere duraturo. «Il processo di riforma costituzionale potrebbe accelerare», dice Marco Zappa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Abe era un fautore dell’aumento delle spese militari e del superamento dell’articolo 9 che impedisce al Giappone di avere un vero e proprio esercito. «Abe ha accentrato all’ufficio del primo ministro una serie di decisioni legate alla sicurezza» spiega Zappa. Ora l’amministrazione Kishida, meno assertiva, potrebbe avere una maggiore spinta sul tema.

Per quanto riguarda i rapporti col vicinato, «Abe si era molto avvicinato alla Cina durante il suo mandato, nonostante le polemiche per le visite al santuario di Yasukuni», spiega Zappa. «Ma da quando si era dimesso da premier aveva assunto una linea più aggressiva, accelerando una trasformazione cominciata nel 2020 dopo la cancellazione della visita di Xi Jinping». Negli scorsi mesi, l’ex premier aveva rotto un tabù dando esplicitamente la disponibilità a ospitare testate nucleari americane e fornendo appoggio incondizionato a Taiwan, chiedendo alla Casa Bianca di abbandonare la sua ambiguità strategica.

Le sue dichiarazioni erano state prese di mira dai media cinesi e avevano contribuito, insieme alla decisa linea di Kishida sull’invasione dell’Ucraina, a mettere Tokyo nel mirino di Pechino e Mosca. Non è un caso che sul web cinese diversi utenti nazionalisti abbiano esultato per l’attentato, con Abe identificato come leader di un movimento revisionista. Il governo di Pechino e anche il falco Hu Xijin, ex direttore del Global Times, non si sono però accodati e hanno espresso solidarietà al Giappone per una tragedia le cui ripercussioni potrebbero essere molto profonde.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su Il Manifesto]