Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
10 settembre 2010, 18:04
Non vendiamo sogni, ma…
Il modo che i giornalisti giapponesi (almeno quelli di mia conoscenza…) hanno di trattare le news racconta qualcosa sulla natura della pubblica opinione in Giappone. Racconta qual è il ruolo dei media, cosa la gente si aspetta da loro. Descrive uno spirito, credo.
Prendiamo il caso di questi giorni. Il motociclista Tomizawa è morto nel circuito di Misano domenica. È stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Rimini e ci sono state parecchie polemiche. Sull’ora della morte, sulla tempestività dei soccorsi, sull’opportunità di sospendere la gara. Ieri questo articolo di Repubblica. Glielo faccio leggere, glielo traduco passo dopo passo. È vero che molte cose non sono chiare (lui è sconvolto di fronte alla quantità di “sembra” o “secondo alcuni”), però una certezza è fornita: che l’ora della morte del pilota non è quella ufficialmente comunicata. Lui si impicca sui dettagli e, infine, decide di non scrivere. “Lo farò”, dice, “solo quando l’inchiesta sarà chiusa”. Mi fa pensare anche rispetto ai discorsi fatti dalla stampa italiana sulla legge sulle intercettazioni e sui divieti di pubblicazione degli atti delle indagini.
I giornalisti giapponesi non si appassionano alle polemiche se non sono suffragate da fatti sicuri al 100 per 100 (e quand’è che i fatti lo sono?), immagino neanche i loro lettori. Non vogliono dibattiti, interpretazioni, disquisizioni e illazioni, ma soltanto “solide realtà”, come l’imbonitore di Immobildream (e ho detto tutto!).
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)