The Leftover of the Day – Basics, basics, basics

In by Simone

Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
23 marzo 2010, 10:22
Milioni di milioni

Si parla di manifestazioni. Lui dice che non ha mai visto tanta esagerazione nei numeri e tanta distanza dalla realtà come in Italia.
In America, sostiene lui, se gli organizzatori di un evento parlano di 200 mila manifestanti, la cifra ufficiale è di 100 mila.
In Giappone, se si dice: "C’erano 200 mila persone", si viene smentiti nell’ordine di 50 mila persone.
In Italia, ti dicono: "Siamo un milione", e la Questura rettifica: "150 mila".

23 marzo 2010, 10:39
Basics, basics, basics

Dalle manifestazioni è passato a parlare della politica italiana, di Berlusconi e dell’assenza della sinistra, e da lì, non so mai bene come, sembra sia la sua unica preoccupazione, è arrivato di nuovo a parlare di me. Del mio futuro da giornalista e del mio passato da "nullità".

E via con l’abusata storia di me che "3 years ago she knew nothing about journalism", e che dopo l’apprendistato con lui sono diventata giornalista. Mi dà pure una gomitata dicendomi: "Make me proud of you in the future", incoraggiandomi a scrivere un non meglio precisato libro su un non meglio precisato argomento, che dovrà finire nelle librerie e giungere in Giappone così che lui possa dire: "That’s my creature".

Mentre racconta queste simpatiche storie sul mio conto e il mio stomaco si contorce e gli occhi vorrebbero solo vedere altro e non il suo indice macchiato di caffè che si agita mentre parla, la persona a cui le racconta mi guarda un po’ divertita, un po’ preoccupata.
Lui riesuma un evento dopo l’altro, il terremoto de L’Aquila o le interviste a Vinci per un articolo idiota su un giapponese che volava su un monoelicottero. Rivanga anche un fatto che deve essere stato per lui emblematico del mio processo di "giornalizzazione".

Il punto è che ci vuole tempo per imparare davvero i fondamenti del giornalismo, the basics, dice lui, e su questo posso anche essere d’accordo. L’esempio che deve illustrare questa difficoltà risale a quando intervistai un edicolante di Napoli per il primo Cdm di Berlusconi dopo la faccenda della monnezza. Lui mi mandò a raccogliere le impressioni dell’uomo e, dice, si accorse dalla mia faccia che la consideravo una richiesta assurda (non sono mai stata brava a nascondere i miei pensieri, purtroppo). La mia espressione era del genere: "What the hell he wants me to do?". Lo feci tuttavia.

Eppure dimenticai di chiedere il cognome dell’edicolante. Lui si irritò, dicendomi che era una cosa GRAVISSIMA per un aspirante giornalista. Tutto verissimo, per carità, il cognome è importante. Mi consolai un po’ parlando con un altro giornalista italiano, il quale mi disse che il principio era giusto, ma che nello specifico poteva configurarsi come "parva res". (tutto sommato continuo a chiedermi: era così fondamentale il cognome dell’edicolante ai fini di un articolo per il Giappone? Tra l’altro, detto per inciso, il tizio si rifiutò comunque di darmi i suoi dati alla seconda richiesta). Oggi lui confessa che sostanzialmente non gliene fregava niente nemmeno a lui (sospetto non abbia nemmeno usato quel commento), perché quello era un TEST su di me, a suo uso e consumo.

Da un lato è encomiabile, non ho mai visto in Italia nessuno dedicarsi con tanta abnegazione alla formazione di un giovane.
Dall’altro è opprimente, anche perché lo sforzo didattico è sembrato a tratti surclassare, per importanza e impegno, quelli che sono i suoi obiettivi concreti. A volte mi è parso sadico, gratuitamente. Lo ringrazio per avermi inculcato i basics, tuttavia sono stanca di sentirlo ancora parlare di me come fossi la sua marionetta e di sentirmi controllata in qualunque gesto e comportamento. Non ne posso più. Oggi sono solo felice che se ne parta…

Tornando al suo racconto: a causa di quel mio fatale errore, dice, lui cominciò a pensare: "Chissà se resisterà, forse se ne andrà". Ogni giorno studiava le mie reazioni, mi rimproverava, una volta abbiamo litigato e urlato l’uno all’indirizzo dell’altro(e da lì ho smesso di obiettare, ho capito che lui voleva solo un fantoccio pronto a eseguire le sue richieste e senza troppo spirito critico).
Per due anni e più non ha fatto altro che pressarmi per testare la mia resistenza.
"Io pensavo non avrebbe retto, e invece", conclude, "she’s still sitting on my side and she’s now a journalist".

Per fortuna non ha guardato la mia faccia stavolta, mentre pronunciava questa frase.

*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)