Necessario strumento di autosupporto per digerire i fraintendimenti e le inquietudini quotidiane. Quando ogni sforzo di dialogo interculturale cede davanti alla bieca logica capo-dipendente.
14 maggio 2010, 17:24
Aria di dimissioni
Sono arrivati i traslocatori (ditta giapponese, ça va sans dire) e hanno portato via tutte le sue cose accumulate qui nell’ufficio. Incluse le scatole di costosissimi vini. Ieri ha concluso l’orgia enologica con una spesa incredibile, di cui si è pure vergognato (tanto che mi ha intimato: non dirlo a nessuno!). Quelli dell’enoteca gli proponevano le bottiglie più care, lui guardava il prezzo e mi lanciava occhiate di terrore e di richiesta di aiuto, ma poi diceva, in italiano: prendo tutto. Quelli avevano le pupille che roteavano tintinnando euro e, quando ha annunciato la fine dei suoi acquisti, erano visibilmente disperati. Credo che abbiano iniziato a piangere appena è uscito dal negozio (e mentre con una mano asciugavano le lacrime, con l’altra stappavano una bottiglia di champagne..).
Oggi, comunque, aveva riacquistato la sua verve consumistica e si domandava cos’altro avrebbe dovuto comprare in Italia perché introvabile in Giappone. Vestiti di marca. Gli piaceva una giacca da 2000 euro, di Zegna, ma – per fortuna ha ancora un po’ di sanità mentale – non vuole spendere così tanto. Gli ho detto: semmai vai all’Outlet! Mi ha guardato disgustato: “No, it’s a matter of snobism: I need to say I bought it in Rome, in Piazza di Spagna, at the Zegna’s shop”.
Vale quanto già detto per la Ferrari…
Comunque c’è una certa mestizia nell’aria, il lavoro è rallentato, io temo la quiete prima della tempesta. Non posso pensare a ricominciare tutto da capo con un altro giapponese che non parla mezza parola di italiano, che non sa niente dell’Italia e che impazzirà dietro la politica italiana…
*Lavoro per un giornale giapponese, ma in Italia. Non parlo giapponese, ma passo le giornate a discutere con un giapponese: il mio capo. Ne ho cambiati diversi, eppure molte questioni sono rimaste le stesse. Ce n’è una, poi, a cui proprio non so dar risposta: che ci faccio qui? (senza scomodare Chatwin per carità)