Thailandia – Il mercante di morte e strascichi di Guerra Fredda

In by Simone

Trafficante di armi, ex agente dei servizi sovietici, poliglotta e inafferrabile criminale internazionale, Viktor Bout è stato catturato in Thailandia nel 2008. Dopo due anni, un libro ed un film dedicati al "mercante di morte", Bout è stato estradato negli Stati Uniti. Non prima di aver scompigliato la diplomazia tra USA, Russia e Thailandia.
Viktor Bout è stato condannato. Il mercante d’armi era stato fermato in Thailandia nel 2008 ed estradato negli Stati Uniti più di due anni dopo. Non prima che Bangkok tentasse di strumentalizzare l’arresto e di un tira e molla tra Stati Uniti e Russia che, complice la controversa politica estera thailandese, era degenerato in toni da Guerra Fredda.

Su chi sia realmente Bout c’è ancora incertezza. Ufficialmente russo, anche se l’intelligence sudafricana sostiene sia ucraino; classe, almeno così si crede, 1967; esatto luogo di nascita sconosciuto; ex agente dell’aeronautica sovietica, forse del GRU (l’organo militare sovietico che comprende intelligence e forze speciali), o ancora del KGB.

Parla fluentemente almeno sei lingue e risulta residente in una decina di paesi. Il trafficante è accusato di avere venduto armi a una lunga lista di organizzazioni terroristiche che spazia da gruppi armati della Seconda Guerra del Congo ai talebani, fino ad al-Qaeda.

Con una biografia del genere, il parallelo agli antagonisti dei romanzi di Fleming è quasi d’obbligo, e Hollywood ha infatti già prodotto un film ispirato a lui: Lord of War con Nicholas Cage, definito da Bout “terribile”, mentre il libro, Il mercante della morte del giornalista Douglas Farrah è stato invece bollato dal diretto interessato come “una stronzata”.

Teatrale – come forse tutta la sua vita – è stato anche l’arresto, avvenuto nel marzo del 2008 in un albergo a cinque stelle di Bangkok per mano di agenti statunitensi che si erano spacciati per compratori della Fuerzas Armadas Revolucionaria de Colombia. Al di là della spettacolarità della cattura, tuttavia, quello che è veramente sensazionale della connessione Bout-Thailandia è la lunga storia della sua estradizione negli Stati Uniti.

Tutto iniziò a essere insolito fin dall’arresto quando, inaspettatamente, la storica collaborazione USA-Thailandia – la stessa che aveva garantito il blitz – sembra tradita dalla decisione thailandese di negare l’estradizione. Una mossa di cui i diplomatici USA, come dimostra un cable pubblicato da Wikileaks, si dissero “profondamente delusi” e che, suggerirono, fu motivata da soldi e influenza” offerti da Mosca alla Thailandia.

Si specula infatti che Bout mandasse avanti il suo giro di affari appoggiandosi a una rete di contatti costruita quando lavorava al servizio del governo sovietico, e che gli Stati Uniti lo volessero estradato proprio per carpire i segreti militari russi di cui potrebbe essere a conoscenza.

Ma lo sfregio thailandese agli USA non di ferma qui. Bangkok fece infatti eco a Mosca dichiarando che Bout era innocente e che si trovava nella capitale per facilitare un regolarissimo acquisto di sottomarini tra i sue paesi. Una frottola, questa, che i diplomatici americani citano come “esempio egregio” dell’inaffidabilità del governo thailandese.

Il rapporto di cordialità tra Thailandia e USA affonda le radici nel patto che Washington ha stretto con le élite thailandesi ai tempi della Guerra Fredda: un’alleanza importante per quelle élite che, oggi ancora al potere, si trovano però minacciate dalla novella rivolta popolare di gruppi come le camicie rosse. A stretto giro arrivò quindi la retromarcia thai: l’estradizione diventò di nuovo un’opzione. In risposta Mosca non escluse che l’estradizione potesse “azzerare” i rapporti con gli statunitensi.

Ormai era chiaro che l’estradizione sarebbe avvenuta. Prima, però, la Thailandia pensò di usare Bout per rivitalizzare la sua disastrata situazione domestica. Il periodo è quello di una Thailandia da poco sotto la guida dai Democratici e ancora terrorizzata dal fantasma di Thaksin Shinawatra, il premier in esilio volontario dopo il colpo di stato del settembre 2006 che aveva gettato fumo negli occhi ai potenti thailandesi, portando le necessità delle classi povere al centro del dibattito sociale.

Il governo dei Democratici quindi, eletto tramite voto parlamentare e tradizionale protettore dei ceti urbani elevati, sembrava avere un solo obiettivo: eliminare Thaksin e ogni sua influenza dal panorama politico prima che fossero indette nuove elezioni.

Sopha, un parlamentare dei Democratici, si recò pertanto nel carcere dove Bout era rinchiuso per uscirne con una clamorosa dichiarazione: Thaksin era in affari con il trafficante e complice nella vendita di armi al movimento delle Tigri Tamil nello Sri Lanka. Un’accusa pesante la cui vita fu però breve. La moglie di Bout, leggendo una dichiarazione scritta dal marito in cella, non solo negò tutto, ma aggiunse addirittura che il governo thailandese aveva pregato Bout di aiutarlo a localizzare e catturare Thaksin.

È soltanto nel novembre 2010, dopo questi imbarazzanti flop della diplomazia thailandese, che il “mercante della morte”, visibilmente dimagrito nonostante il giubbotto antiproiettile nascosto sotto la giacca, viene imbarcato su un aereo diretto a New York per l’ultima parte di questa storia, conclusasi il 2 novembre scorso con la condanna alla detenzione per cospirazione, traffico di missili ed collaborazione con organizzazioni terroristiche.

I legali di Bout stanno ricorrendo in appello.

[Foto credit: blogs.cnnmexico.com]

* Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.