Singh e Wen tra le righe del politically correct

In by Simone

Decodificando il politichese dei due premier di India e Cina si intravedono i sorrisi a denti stretti ai quali sono obbligati Manmohan Singh e Wen Jiabao, in una partita a tutto campo tra Mar Cinese Meridionale, bilancia commerciale e i "visti volanti" del Kashmir.
Il Mar Cinese Meridionale è roba nostra, vedi di farti un giro, non ti immischiare! Già c’è mezzo sud-est asiatico che mi stressa, se ti ci metti anche tu, assieme agli americani, c’è rischio che mi partono i cinque minuti.
Roba vostra? Questo lo dici tu. Io sono d’accordo col Vietnam, c’ho qua il contratto vedi? E poi stai attento, che quella storia dei visti in Kashmir ancora non l’abbiamo mandata giù, per non parlare del commercio: ‘E’ il secolo dell’Asia’, tutto bello, ma quando si parla d’affari, guarda un po’, tra noi e voi chi ci guadagna di più siete sempre voi. Un po’ per uno non fa male a nessuno, no?

In un mondo parallelo idilliaco, liberato dai meandri retorici del politichese, il tenore dell’incontro tra il premier indiano Manmohan Singh e il premier cinese Wen Jiabao probabilmente si sarebbe sviluppato coi toni di cui sopra.

Nella realtà dei fatti invece, il succo del discorso deve essere estratto dalle dichiarazioni chilometriche delle due parti diplomatiche, stese in arzigogoli dialettici estremamente cauti e politically correct.

Venerdì 18 novembre, a margine della riunione allargata dell’ASEAN tenutasi a Bali – Indonesia – Singh e Wen hanno tenuto un colloquio privato di 55 minuti durante il quale, secondo le fonti ufficiali, sono state affrontate tutte le questioni spinose che interessano le due superpotenze asiatiche.

La Cina, fedele alla strategia “la miglior difesa è l’attacco”, ha incalzato l’India intimando di tenersi alla larga dalle questioni del Mar Cinese Meridionale, considerate da Pechino come attacchi alla propria sovranità territoriale.
Più precisamente, Wen Jiabao si riferiva alle esplorazioni al largo delle isole Spratly condotte dalla società indiana ONGC Videsh, interessata a sfruttare le risorse petrolifere di cui sono ricchi i fondali dell’arcipelago al largo del Borneo malese.

La ONGC Videsh – spiega India Today – aveva a suo tempo siglato un contratto per le operazioni di esplorazione col governo vietnamita (che reclama la paternità delle Spratly assieme a Malesia, Brunei, Taiwan, Filippine e Cina), accordo che chiaramente il governo cinese non può ritenere valido.

Manmohan Singh ha rimandato quindi le minacce al mittente, specificando che l’interesse indiano nella zona è “puramente commerciale” e comunque la questione della sovranità nazionale deve essere determinata “sulla base delle leggi internazionali”.

L’opzione suggerita da Singh è l’incubo del governo cinese, molto più a suo agio a discutere bilateralmente coi singoli Paesi in questione piuttosto che dover lottare a viso aperto in sede internazionale, eventualità che comporterebbe sicuramente il coinvolgimento degli Stati Uniti, ansiosi di incrementare il loro peso politico specifico nel sud-est asiatico (Obama era presente a Bali, invitato come osservatore).

La risposta ufficiale di Pechino è arrivata il lunedì seguente, tramite un portavoce del Ministero degli Esteri cinese: “Nessuna forza esterna o società straniera dovrà essere coinvolta nelle questioni del Mar Cinese Meridionale”. La Cina non molla.

Singh ha messo sul tavolo anche il problema dei visti cinesi rilasciati nello stato indiano del Jammu – Kashmir.
Secondo la Cina, la fagocitante sovranità territoriale della Repubblica popolare comprenderebbe anche alcuni territori dello Stato nord-occidentale indiano.

Dal 2009 la Cina ha iniziato a rilasciare visti su “pezzi di carta volanti” ai residenti del Jammu – Kashmir, tagliando fuori di fatto le istituzioni indiane. La pratica – considerata da Delhi illegale – è emersa solo quando uno di questi visti è stato rilasciato a B S Jaswal, comandante dell’Esercito del Nord indiano. Subito furono fatti saltare tutti i rapporti militari tra i due Paesi, ristabiliti però proprio quest’anno.

Secondo le fonti ufficiali dell’Economic Times, nonostante la questione dei visti sia stata portata all’attenzione della diplomazia cinese, “non vogliamo rivendicare che sia stata risolta”.

In ultimo Manmohan Singh ha fatto notare come gli scambi tra India e Cina, seppur considerati da entrambi i premier come “fondamentali” nei rapporti tra i due Paesi, siano purtroppo per Delhi piuttosto sbilanciati.

Il premier indiano ha sottolineato "la necessità di scambi bilanciati per creare un ambiente più favorevole rispetto al considerevole potenziale non ancora sfruttato”.

Ovvero: lo scorso anno nei rapporti commerciali sull’asse Pechino-Delhi, la Cina ha ricavato un surplus di 20 miliardi di dollari, mentre per il 2011 le previsioni del commercio bilaterale si aggirano intorno ai 70 miliardi di dollari.
Il problema – sostiene l’India – risiede nella chiusura del mercato cinese dei servizi, punto forte dell’imprenditoria indiana a trazione informatica e tecnologica.

I due comunque hanno concluso con le formule di rito, impegnandosi a sviluppare tra le due superpotenze “la migliore delle relazioni”, ricordando a chi se lo fosse scordato che “il Ventunesimo secolo è dell’Asia”.

Che, nel famoso mondo parallelo idilliaco, sarebbe:
Caro Manmohan, capisco le tue perplessità. Ne riparliamo la prossima volta ok? Che mo’ qui c’ho un po’ da fare”.
Fai sempre così però eh! Ok”.

[Foto credit: news.outlookindia.com] [Pubblicato su AgiChina24.it]