Birmania – Multinazionali all’assalto dell’energia birmana

In by Simone

Mentre la Birmania avanza nel suo percorso di riforme ed apertura al mercato estero, la politica frena l’entusiasmo delle multinazionali energetiche, ansiose di penetrare nel mercato birmano. La strada del governo Thein Sein è quella giusta, ma le condizioni lavorative dei birmani sono ancora ben lontane dalla legalità
Il viaggio di Hillary Clinton in Birmania ai primi di dicembre non sarà il preludio alla revoca delle sanzioni contro il regime. Nonostante la portata storica della prima visita di un segretario di Stato Usa in cinquant’anni e i progressi sul tema dei diritti umani del nuovo governo civile che ha preso il posto della giunta militare, una maggiore apertura economica è ancora “prematura”, è trapelato dalla Casa Bianca.

Come sottolineato da Ben Rhodes, consigliere del presidente Barack Obama per la politica estera: “Il viaggio della signora Clinton servirà a farsi un’idea della situazione”. Trascorsi dodici mesi dalle prime elezioni indette dalla giunta militare in vent’anni e otto dall’insediamento di un governo guidato da civili con a capo il presidente Thein Sein, il Paese dei pavoni sembra aver intrapreso la strada delle riforme: maggiore libertà di stampa; un’amnistia che ha interessato 300 degli oltre 2.200 prigionieri politici, di cui molti sindacalisti; la possibilità per il partito della leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi di tornare nella legalità, la ricomparsa dei bancomat nell’ex capitale Rangoon.

La precisazione di Rhodes fa eco all’ammonimento dato al colosso petrolifero Shell dal ministro britannico per lo Sviluppo internazionale, Andrew Mitchell, primo politico europeo di alto livello a visitare la Birmania del dopo voto. Nessuna società deve pensare di scavalcare la politica e la revoca delle sanzioni per fare affari con il regime, ha sottolineato.

Nelle scorse settimane il quotidiano di Bangkok Nation aveva riferito di colloqui tra la società anglo-olandese e la compagnia statale thailandese PTT Exploration per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nel cosiddetto blocco M-11, a sud del delta dell’Irrawaddy nel golfo di Martaban.

Se si raggiungesse l’intesa, la Shell, quinta compagnia petrolifera al mondo, diventerebbe la prima occidentale a tornare nell’ex colonia britannica, abbandonata nel 1993 poiché le esplorazioni nei giacimenti a terra di Apyauk non diedero i risultati previsti, lasciando così campo libero ai colossi che nonostante i divieti hanno continuato a fare affari con i generali.

Su tutte, la statunitense Chevron e la francese Total, nonostante le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, come la Earth Rights International, abbiano denunciato lo sfruttamento del lavoro forzato perpetuato dal regime.

La Birmania è molto importante per noi” – ha detto a metà ottobre l’amministratore delegato della Total, Christophe de Margerie – “tuttavia non faremo ulteriori investimenti finché la situazione non migliorerà”. E per i colossi dell’energia interessati agli 800 miliardi di metri cubi di gas del Paese gli sforzi per favorire nuovi investimenti senza incorrere nelle sanzioni, peraltro facili da aggirare, stanno andando nella strada giusta.

A ottobre il governo ha emanato la nuova legge sul lavoro che legalizza i sindacati, vietati dalla presa di potere dei militari nel 1962, e autorizza gli scioperi. “È un passaggio fondamentale per lo sviluppo del Paese, sia in termini sociali che economici” – ha detto Steve Marshall, dell’Organizzazione internazionale per il lavoro (ILO), a Democratic Voice of Burma. “D’altra parte tesserarsi in un sindacato non è entrare in un club, è un modo per far valere i propri diritti, partecipare alla contrattazione collettiva e a una gestione corretta del mercato del lavoro”.

Tuttavia, denunciano le organizzazioni contadine, le nuove norme non sono ancora entrate in vigore. E persistono le pratiche del lavoro minorile e forzato, cui sono costretti i detenuti o i membri delle milizie etniche ribelli fatti prigionieri dall’esercito.

Il Consiglio d’amministrazione dell’ILO ne ha chiesto la fine immediata, con il coinvolgimento dell’organizzazione nella revisione dei manuali carcerari. Restano infine i numeri sul reclutamento dei bambini soldato: tra l’inizio del 2010 e giugno del 2011, l’agenzia Onu a Rangoon ha raccolto oltre 355 denunce di ragazzi arruolati, di cui 77 già liberati.

[Foto credit:  ruby-sapphire.com] [Pubblicato su Rassegna.it]