Marcia indietro della Thailandia sull’uccisione dei tredici marinai cinesi lungo il Mekong lo scorso 5 ottobre. Dopo le prime dichiarazioni del vice primo ministro Chalerm,che indicavano una banda di spacciatori di metanfetamine come autori del molteplice omicidio, le manette sono scattate, invece, per nove militari tailandesi.
I cadaveri dei marinai, tra ai quali due cuoche, erano stati ritrovati lo scorso 5 ottobre legati e sfigurati da colpi di arma da fuoco nelle acque del Mekong, in quell’area di confine tra la Birmania, la Thailandia e il Laos famosa per la produzione e il commercio di oppiacei, conosciuta come il Triangolo d’Oro.
Da una prima indagine, era emerso che le due navi da cargo commerciali cinesi, la Huaping e la Yuxing N. 8, fossero state assalite da pirati tailandesi forse dopo il loro rifiuto a pagare un pizzo per il transito. Le autorità avevano quindi scovato i presunti pirati in due imbarcazioni per il trasporto di metanfetamine birmane, nel porto di Chiang Rai, e avevano avviato un’operazione per catturarli. Dopo uno scontro a fuoco, gli spacciatori erano riusciti a fuggire, senza portare con sé il carico: oltre novecentomila pasticche di speed, per un valore stimato i oltre due milioni di euro.
Venerdì scorso la svolta, con l’arresto di nove militari tailandesi inclusi un maggiore e un luogotenente. I nove, che si dichiarano innocenti, si sono costituiti alla polizia di Chiang Rai dopo aver saputo di un mandato di arresto nei loro confronti. I capi d’accusa sono di omicidio e di occultamento delle prove. Il generale Priewpan Dampong, a capo della polizia tailandese, ha tenuto a precisare che l’omicidio “non ha niente a che fare con l’esercito”, mentre alcune fonti suggeriscono un coinvolgimento dei militari nei commerci di droga del Triangolo d’Oro.
Nonostante la notizia dell’omicidio, inclusi gli ultimi sviluppi, sia passata praticamente inosservata in una Thailandia in ginocchio per le più gravi inondazioni degli ultimi cinquant’anni, l’incidente ha avuto ripercussioni sulle relazioni con Pechino. Il premier cinese Wen Jiabao, ha esortato Birmania, Thailandia e Laos a garantire la sicurezza degli equipaggi che passano attraverso il Triangolo d’Oro, senza escludere l’ipotesi di inviare mezzi militari per scortare le imbarcazioni cinesi.
In pratica un’accusa di incapacità per i tre paesi o, peggio ancora, di essere disinteressati a fermare i traffici. Di contro il generale Dampong ha ribadito che i militari saranno processati e, se giudicati colpevoli, puniti: una precisazione importante in un paese marcatamente militarizzato come la Thailandia.
Con la produzione di oppiacei birmana, seconda soltanto a quella afgana, il Triangolo d’Oro continua a essere oggi uno centri maggiori per la produzione e lo smistamento di droghe a livello mondiale, nonché un necessario snodo di transito tra le aree di produzione e Bangkok, da dove l’ecstasy raggiunge il mercato internazionale. Spesso grazie alla complicità delle autorità dei paesi coinvolti, il Triangolo d’Oro rimane una terra di tutti e di nessuno che riesce a sfuggire a ogni controllo e giurisdizione.
* Edoardo Siani vive in Thailandia dal 2002. Lavora come insegnante di inglese e di italiano e come interprete per la polizia locale. Sta raccontando gli anni trascorsi in uno slum di Bangkok in un libro.