Taiwan Files – Ma Ying-jeou a Pechino: verso l’incontro con Xi Jinping

In Asia Orientale, Taiwan Files by Lorenzo Lamperti

Il viaggio dell’ex presidente taiwanese nella Repubblica popolare. Le due sessioni viste da Taipei. Tsmc apre in Giappone. I giovani taiwanesi. Cinesi continentali a Taiwan. E tante altre notizie. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

Chissà se anche stavolta si è portato dietro una bottiglia di kaoliang, il liquore di sorgo prodotto a Kinmen. Ma Ying-jeou lo aveva portato a Xi Jinping nel 2015, quando a Singapore erano stati i protagonisti del primo storico incontro tra leader di Taiwan e Cina continentale. Nei prossimi giorni il signor Ma e il signor Xi (come si sono chiamati allora visto il mancato riconoscimento dei rispettivi governi) potrebbero stringersi di nuovo la mano. E stavolta a Pechino. Già, perché nei prossimi giorni Ma sarà il primo leader o ex leader di Taipei a visitare la capitale della Repubblica popolare dopo la fine della guerra civile e la fuga di Chiang Kai-shek e di quel Guomindang di cui lui è ancora il deus ex machina, seppure senza ruoli ufficiali.

L’ex presidente taiwanese, il più dialogante di sempre con il Partito comunista, è giunto ieri nel Guangdong per il suo secondo tour “continentale” dopo quello dello scorso anno. Anche allora era inizio aprile, quando ricorre il Qingming festival (una sorta di festa dei morti). Un anno fa, il viaggio di Ma era stato in contemporanea al doppio scalo della presidente uscente Tsai Ing-wen negli Stati uniti, da cui era scaturito un nuovo round di esercitazioni militari cinesi. Stavolta, invece, siamo a poco più di un mese dall’insediamento del presidente eletto Lai Ching-te, che Pechino considera un “secessionista” più radicale della già odiata Tsai.

“È un viaggio di pace e di amicizia”, ha dichiarato Ma in aeroporto prima di imbarcarsi per Shenzhen, città simbolo della crescita economica cinese degli ultimi 30 anni. Con lui una delegazione di studenti e giovani della sua fondazione. Come lo scorso anno, in programma visite culturali a luoghi storici come la grande muraglia e incontri nelle università. Non mancano i risvolti politici. Ma è stato subito ricevuto da Song Tao, direttore dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan di Pechino. “Abbiamo una storia, una cultura e un sangue comuni”, ha detto Ma, ribadendo la centralità del “consenso del 1992”, secondo cui esiste una sola Cina ma “con diverse interpretazioni”. Per l’ex presidente, è il pilastro della coesistenza pacifica tra Repubblica popolare e Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan). Per il governo attuale di Taipei, una sorta di capitolazione alla sovranità di Pechino.

Oggi le visite al colosso del digitale Tencent e al gigante dei veicoli elettrici BYD. In seguito, Ma visiterà il ponte che collega Hong Kong a Zhuhai e Macao, per poi spostarsi nello Shaanxi e, dal 7 all’11 aprile, nella capitale. Qui, secondo quanto dicono fonti informate sul programma del viaggio, potrebbe avvenire l’incontro con Xi. Un’alternativa sarebbe Wang Huning, presidente della Conferenza politica consultiva del popolo che poche settimane fa ha chiesto di intensificare gli sforzi per sostenere le forze pro unificazione. Ma l’ipotesi Xi pare concreta. Il leader cinese si è mostrato di recente disponibile a ricevere “vecchi amici” non più in carica, come il filippino Rodrigo Duterte, soprattutto se su posizioni più dialoganti dei successori. Un incontro “in casa” sarebbe funzionale a Xi per mostrare un teorico passo avanti sul dossier taiwanese e per appiattire retoricamente la posizione di Taipei su quella di Ma, il cui viaggio sta in realtà ricevendo pesanti critiche sul fronte interno. Nella maggioranza Dpp qualcuno parla di “tradimento”.

Pochi giorni prima delle elezioni dello scorso 13 gennaio (qui lo speciale), Ma ha dichiarato in una controversa intervista alla Deutsche Welle che è “impossibile” vincere una guerra contro Pechino e che Taipei dovrebbe fidarsi di Xi, in un passaggio che è sembrato a molti uno spostamento della sua linea più vicino a una posizione favorevole a una futura “unificazione” (o “riunificazione” come la chiamano a Pechino) che in una mia intervista dell’ottobre 2022 pubblicata su Limes immaginava potesse avvenire tramite un referendum.

Intanto, in un viaggio altrettanto delicato, il capo della marina taiwanese sarebbe in arrivo negli Usa. Tang Hua dovrebbe visitare le Hawaii, sede del comando indo-pacifico, per poi partecipare a una conferenza nei pressi di Washington, dove secondo Reuters incontrerà il capo delle operazioni navali Usa, l’ammiraglio Lisa Franchetti. La visita avviene dopo le recenti tensioni intorno a Kinmen, mini arcipelago amministrato da Taipei ma a pochi chilometri dalle coste cinesi. Dopo l’incidente mortale del 14 febbraio, Pechino ha regolarizzato le manovre nei pressi di Kinmen. Il 14 marzo c’è stata però un’operazione congiunta di salvataggio che ha parzialmente allentato le tensioni.

Ma il viaggio di Tang avviene significativamente anche poco prima il summit trilaterale tra Joe Biden, Fumio Kishida e Ferdinand Marcos Jr, con cui Washington conta di “arruolare” Giappone (che secondo The Diplomat non difenderà Taipei) e Filippine in una strategia ad ampio raggio che potrebbe includere anche la difesa di Taiwan.

A Taipei c’è invece la direttrice dell’American Institute in Taiwan, Laura Rosenberger, che incontra Tsai e Lai per finalizzare l’organizzazione della delegazione Usa in vista dell’insediamento.

Le due sessioni viste da Taipei

A inizio marzo si sono svolte le annuali “due sessioni” a Pechino. Dal rapporto di lavoro del premier Li Qiang sono arrivati alcuni segnali anche dal (breve) passaggio su Taiwan. Dopo la vittoria alle presidenziali di gennaio di Lai Ching-te, che Pechino considera un “secessionista”, nel report di Li (che inusualmente non ha tenuto la conferenza stampa finale) si parla di “sviluppo pacifico” delle relazioni ma è sparita la definizione “riunificazione pacifica”, così come il riferimento al “legame di sangue” tra continentali e taiwanesi. Trova invece posto l’opposizione ad “attività separatiste” e a “interferenze straniere”. Rispetto invece alla conferenza di lavoro su Taiwan di una decina di giorni prima guidata da Wang Huning, dove era stato utilizzato il verbo “combattere”, qui si torna a “opporsi risolutamente” alle “attività separatiste”. Nel 2023 la formula era “passi risoluti per opporsi”. Wang ha però anche aggiunto rispetto al solito l’obiettivo di mantenere “pace e stabilità” sullo Stretto.

“Non consentiremo mai la separazione di Taiwan, chi lavora per l’indipendenza dell’isola si brucerà per aver giocato col fuoco”, ha detto nella conferenza stampa sulla politica estera il ministro Wang Yi. Formule retoriche non nuove, al fianco delle quali riappare però (come già nel discorso di Xi del giorno precedente) l’obiettivo della “riunificazione pacifica” non menzionato nel rapporto di lavoro del premier Li Qiang. Sul mar Cinese meridionale, dove nei giorni scorsi c’è stata l’ennesima collisione tra navi cinesi e filippine, Wang invita i paesi al di fuori della regione (ergo gli Usa) a “non creare problemi o diventare piantagrane”.

Qui un’analisi sul lessico del Partito comunista in merito a Taiwan.

TSMC apre in Giappone

Da qualche tempo, il mondo ha imparato che non si può fare a meno dei microchip fabbricati e assemblati a Taiwan, le cui aziende detengono circa il 65% dello share globale e oltre il 90% di quello che riguarda le tecnologie più avanzate. Ergo, i semiconduttori sotto i 10 nanometri. Dal 2020 in avanti, cioè da quando gli Stati Uniti hanno avviato le restrizioni volte a ridurre l’accesso della Cina alle catene di approvvigionamento più avanzate in materia di chip, i colossi taiwanesi vengono tirati per la giacca da diverse parti. Un po’ tutti sognano l’apertura di un impianto della Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che da sola pesa oltre il 50% della quota globale del comparto di fabbricazione e assemblaggio.

Persino l’Italia ci aveva sperato per un momento, salvo poi capire che era già tutto fatto con la Germania. TSMC aprirà infatti nei prossimi anni il suo primo impianto di produzione europeo a Dresda. Lo scorso febbraio ha invece inaugurato il suo primo impianto in Giappone sull’isola di Kyushu e non lontano da Nagasaki. Il nuovo impianto di TSMC nella cittadina di Kikuyo, per il quale il governo si è impegnato a coprire oltre il 40% dei costi – anche Sony e Denso sono a bordo – è solo il primo. Con il “forte” sostegno del governo giapponese, TSMC ha appena annunciato un secondo impianto per la produzione di chip più avanzati e starebbe pensando a un terzo e persino a un quarto. Coinvolti nel ricevimento di fondi statali vi sono Kioxia, Micron e Rapidus, un’ambiziosa joint venture tra IBM e aziende giapponesi per la produzione di chip logici a due nanometri di ultima generazione.

Un sodalizio che promette di essere stretto e favorevole per Tokyo, ansiosa di tornare a ricoprire un ruolo da protagonista in un settore che un tempo dominava. Ma l’internazionalizzazione dei chip taiwanesi non è finita qui. TSMC sta costruendo due stabilimenti anche in Arizona, di cui il primo dovrebbe entrare in funzione nel 2025. Un anno in ritardo sulla tabella di marcia, dopo che le sigle sindacali hanno rallentato i lavori opponendosi all’assunzione di lavoratori taiwanesi. Morris Chang, il 92enne leggendario fondatore di TSMC, ha fatto capire più volte che il progetto americano non lo considera profittevole e che è stato spinto anche da motivazioni politiche. E ora si accumulano nuovi ritardi dei fornitori.

A Taiwan, intanto, inizia a serpeggiare qualche timore.

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Giovani taiwanesi

È una serata tiepida, nonostante sia fine gennaio. Il mercatino notturno di Ningxia, a Taipei, è pieno di giovani e giovanissimi. Parte la sfida: uno dopo l’altro si piazzano a favore di smartphone per ballare la kemusan, una danza freestyle diventata un trend virale a Taiwan. Particolare: la kemusan è nata dall’altra parte dello Stretto su Douyin, la versione cinese di TikTok. “La balliamo anche a scuola”, dice entusiasta una ragazzina ancora col fiatone. Intorno, qualcuno scuote la testa. “Così si favorisce la propaganda cinese”, dice una cliente in coda a una delle bancarelle.

A Taiwan, tutto quanto arriva dalla Cina continentale è controverso. Soprattutto dopo che le pressioni di Pechino, a caccia della “riunificazione”, sono aumentate su tutti i fronti: militare, politico, commerciale. Eppure, tra i più giovani non si percepisce un clima da “resa dei conti”. In pochi, tra loro, hanno creduto agli slogan dei candidati principali alle presidenziali dello scorso 13 gennaio. Per Lai Ching-te del Partito progressista democratico (il filo indipendentista DPP), si trattava di una “scelta tra democrazia e autoritarismo”. Per Hou Yu-ih del Kuomintang (KMT, dialogante con Pechino) era invece una “scelta tra guerra e pace”. Ha vinto Lai, ma il DPP ha perso oltre due milioni e mezzo di voti rispetto al 2020 e non ha più la maggioranza in parlamento.

Continua su “Specchio” de La Stampa del 25 febbraio.

Cinesi continentali a Taiwan

È difficile, in giro per il mondo, trovare una relazione più complessa e sfaccettata di quella che intercorre tra Cina e Taiwan. O meglio, per utilizzare i loro nomi ufficiali, Repubblica Popolare Cinese (quella guidata dal Partito comunista) e Repubblica di Cina (il nome ufficiale di Taiwan, retaggio della guerra civile cinese e del lungo dominio di Chiang Kai-shek). Per lungo tempo ai taiwanesi è stato insegnato anche dalle proprie istituzioni che erano a tutti gli effetti cinesi, la “taiwanesità” è stata invece promossa solo a partire dagli anni Novanta e con maggiore forza solo nel terzo millennio.

Comunque la si veda dal punto di vista politico-identitario, i rapporti anche umani tra le due sponde dello Stretto sono regolati da un complicato pacchetto di norme, spesso sfuggenti e talvolta incomprensibili a chi non è familiare con la vicenda. Fatto sta, che ancora una volta il tema dei diritti dei cinesi continentali a Taiwan è tornato di stretta attualità. Sull’isola non è semplice ottenere il permesso di soggiorno, o ancor meno il passaporto, se si hanno dei documenti della Repubblica Popolare. Nei giorni scorsi, a Taipei si sono svolte due manifestazioni contrapposte. Da una parte, i sostenitori di una proposta di legge presentata dal Kuomintang (KMT, il partito nazionalista che fu di Chiang, su posizioni molto dialoganti con Pechino), che consentirebbe ai coniugi continentali di acquisire la cittadinanza taiwanese dopo quattro anni anziché sei. Dall’altra parte, i loro oppositori.

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Altre notizie

“Ora non è il momento opportuno per Tsai di visitare l’isola di Itu Aba” (isola di Taiping, amministrata da Taipei nell’arcipelago delle Spratly nelle acque contese del mar Cinese meridionale), a causa dei recenti scontri tra navi della guardia costiera cinese e filippina, ha detto il ministro degli Esteri taiwanese Joseph Wu. Il Gmd vorrebbe che Tsai andasse a inaugurare un nuovo porto sull’isola.

La vicepresidente eletta Hsiao Bi-khim è stata in visita privata negli Usa, dove è stata rappresentante di Taipei fino allo scorso autunno, poi ha viaggiato anche in Europa tra Cechia e Lituania.

Secondo un recente sondaggio della Federazione nazionale cinese delle industrie (CNFI) con sede a Taipei, la maggioranza degli imprenditori taiwanesi in Cina è pessimista riguardo al futuro economico del paese, ma molti affermano ancora di non avere intenzione di ridurre i propri investimenti nei prossimi anni.

Alla fine del 2023, una nave da ricerca cinese all’avanguardia ha circumnavigato Taiwan con una mossa rara che è rimasta in gran parte non segnalata. La Zhu Hai Yun, dotata di apparecchiature avanzate di monitoraggio e sorveglianza, ha tracciato un percorso che sembra destinato a sfidare Taiwan e sondare l’ambiente intorno all’isola. “Fonti cinesi insistono che la nave è destinata esclusivamente alla ricerca civile. Tuttavia, le immagini satellitari e altre informazioni open source mostrano che i confini che separano Zhu Hai Yun e l’Esercito popolare di liberazione sono estremamente sfumati”, scrive Csis. Qui il report.

L’esercito di Taiwan ha subito una fuga di dati. Gli hacker hanno ottenuto documenti sensibili da Chunghwa Telecom e dalle principali unità di sicurezza nazionale taiwanesi, inclusi dati dell’esercito e del ministero degli Esteri.

Il budget del Pentagono da 850 miliardi di dollari proposto dal presidente Joe Biden per l’anno fiscale 2025 attingerebbe alle scorte statunitensi per armare Taiwan e fornirebbe importanti aumenti di finanziamento per i missili antinave a lungo raggio.

Gli Stati Uniti hanno assicurato a Taiwan che intendono consegnare i sistemi missilistici Stinger entro il prossimo anno, dopo le lamentele di Taipei sui numerosi ritardi nelle spedizioni.

Il Wsj parla di “dura scelta di Taiwan tra armi più grandi o molte a buon mercato”. Qui l’opinione del National Interest su che cosa servirebbe a Taiwan. Nel frattempo, Taipei costruisce difese mobili per contrastare un possibile sbarco anfibio.

Taipei ha ammesso la presenza regolare di consigliere militari americani nelle isole minori, pur senza citare esplicitamente Kinmen, Matsu o Penghu. Parziale smentita statunitense.

I wargame su Taiwan espongono la vulnerabilità della rete energetica a un attacco esterno, ma continua il tabù del nucleare.

Due reportage interessanti. Uno sulla prontezza a combattere dei taiwanesi, l’altro sulla volontà di combattere dei cinesi continentali.

Su Sinification interessante intervista a Jia Qingguo, che parla delle prospettive delle relazioni tra le due sponde dello Stretto, di una potenziale presidenza Trump e dei legami Usa-Cina più in generale.

Membri di gruppi civici sono scesi in piazza per chiedere al governo taiwanese di intensificare gli sforzi per garantire giustizia di transizione pochi giorni prima del 77° anniversario dell’incidente del 28 febbraio. Tra i loro appelli, anche quello ricorrente da diverso tempo ormai di rimuovere un’imponente statua di Chiang Kai-shek che si trova nel centro di Taipei da oltre quattro decenni.

Dieci anni dal Movimento dei Girasoli. Qui un focus sul significato del movimento.

Nel 202o il ministero degli Esteri taiwanese sosteneva che il concetto di razzismo non esiste a Taiwan. I commenti della ministra del Lavoro sui migranti indiani, da cui è scaturita una forte polemica sia interna sia con Nuova Delhi, farebbe pensare il contrario.

Continua la battaglia per l’uguaglianza di genere.

Raddoppiano le vendite di Ferrari.

Di Lorenzo Lamperti

Taiwan Files – La puntata precedente

Taiwan Files –Lo speciale sulle elezioni 2024

Intervista a Ma Ying-jeou

Intervista ad Audrey Tang

Reportage da Kinmen

Reportage dalle isole Matsu