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Sustainalytics – Il caso Verra e il mercato delle compensazioni volontarie in Asia

In Sociale e Ambiente, Sustanalytics by Sabrina Moles

Una panoramica sul mondo delle compensazioni del carbonio in Asia per problematizzare l’impatto dei mercati delle emissioni nei paesi del sud globale. Una nuova puntata di Sustainalytics, la rubrica dedicata all’informazione su emergenza climatica, ambiente ed energia nel continente asiatico

A volte basta un click per pulirsi la coscienza. È quello che accade nel mercato delle compensazioni del carbonio, un sistema nato per responsabilizzare governi e imprese sulle attività più inquinanti e che oggi può essere adottato anche dai comuni consumatori. Una compagnia aerea stima la quantità di emissioni climalteranti prodotte in media in un dato periodo di tempo, e acquista dei “crediti” affinché da qualche parte del mondo queste emissioni vengano “compensate” da un’attività sostenibile, per esempio. I progetti di riforestazione sono i più noti, ma esistono anche programmi di finanziamento per centrali solari o finanziamenti affinché si prevenga l’abbattimento degli alberi nelle grandi foreste pluviali.

Un’indagine del Guardian ha rivelato l’inefficacia dei programmi proposti da una delle aziende leader del mercato privato delle compensazioni, la statunitense Verra. Secondo quanto emerso dalle ricerche, la compagnia che ripulisce la carbon footprint di realtà come Gucci, Disney e Shell non avrebbe l’impatto sui progetti di compensazione promessi. Su due terzi dei progetti totali (87), la maggior parte dei calcoli avrebbe sovrastimato l’impatto delle compensazioni, con solo nove iniziative effettivamente coerenti con quanto stimato dall’azienda. Al di fuori della complessità dei dati raccolti durante l’inchiesta, è interessante ragionare su queste dinamiche che, oggi e nel prossimo futuro, promuovono un’idea di sostenibilità “a credito”. In questo discorso entra in gioco il problema delle stime sull’impatto dei nuovi alberi piantati, ma anche – e soprattutto – dell’intervento diretto di compagnie estere sull’ecosistema di paesi terzi. Capire quanto effettivamente un’azienda riesca a influire sulle dinamiche di conservazione del patrimonio naturale aggiunge un livello di analisi che mette in discussione i ruoli e la comprensione del territorio dove si opera. L’esplosione del caso Verra, ha portato alcuni enti a denunciare l’esportazione dei progetti di compensazione, come nel caso di quindici municipalità australiane accusate di ignorare i problemi sul campo per “comprarsi una via d’uscita” più semplice in termini di discorso pubblico sulla sostenibilità ambientale.

In Asia non è semplice avere un quadro chiaro della situazione: ci sono governi che stanno implementando un mercato delle emissioni vincolante per le industrie più inquinanti, mentre altri stanno già avanzando sul piano del coinvolgimento dei privati in quello che – come nel caso di Verra – viene definito “mercato volontario dei crediti di carbonio”. In Cina, per esempio, il mercato dei crediti volontari si è sviluppato su base locale (municipale o provinciale) in linea parallela con il mercato delle emissioni nazionale, lanciato ufficialmente nel 2021. Le aziende possono scegliere tra i progetti proposti dall’ente regolatore in collaborazione con altre realtà del territorio, e lega in maniera più o meno vincolante i crediti alla realtà locale. Questi progetti, per molti versi, sono meglio avviati rispetto al più complesso sistema di mercato delle emissioni nazionale, che da oltre un decennio cerca di trovare nuove soluzioni per vincolare gli attori economici alle pratiche di compensazione. 

In un recente studio dell’International Institute for Applied Systems Analysis (Iiasa) si evidenzia come le aree tropicali siano centrali nel percorso di recupero degli ambienti naturali – obiettivo promosso anche dalla recente Cop15 sulla biodiversità. Per questa ragione, Asia meridionale e Sud-est asiatico risultano tra i luoghi più interessanti per l’evoluzione di questo mercato (soprattutto India, Myanmar, Malesia e Indonesia) ma, allo stesso tempo, tra i più controversi. Come nel caso della Cina, lo sviluppo di un mercato volontario dei crediti per le compensazioni è ancora agli inizi e rimane appannaggio delle sottounità governative. Allo stesso tempo, i governi possono promuovere numerose iniziative per collaborare con le organizzazioni internazionali, come nel caso di Indonesia e World Economic Forum sui progetti blue carbon, ovvero il potenziale di assorbimento della CO2 di mari e oceani – cinque volte maggiore rispetto a quello delle foreste. Come spesso accade l’intervento di attori esterni al paese non è solo funzionale in termini di condivisione di competenze e conoscenze, ma anche – e soprattutto – in termini finanziari. Lo sottolinea un approfondimento dell’Economic Times of India, che identifica nelle misure di compensazione “una delle chiavi per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione” del paese. E anche qui l’aspirazione è quella di diventare, successivamente, “un bacino attrattivo per i progetti nel sud globale”. 

Il mercato volontario dei crediti di carbonio è ancora un sistema agli inizi, dove agli standard locali si sovrappongono quelli consigliati dagli istituti di ricerca di tutto il mondo. Come in tutte le fasi progettuali nei piani di sviluppo sostenibile, rimane difficile tracciare i limiti delle politiche ambientali: cosa distingue un progetto genuinamente sostenibile da un’operazione di greenwashing? Cosa accade se i progetti di riforestazione danneggiano alcune comunità, come accade nel caso delle popolazioni indigene più emarginate? Sono interrogativi che emergono dallo sbilanciamento tra chi finanzia i progetti (perlopiù paesi G7 e multinazionali) e i territori interessati da questi investimenti (paesi poveri o politicamente instabili). Non a caso, quando parliamo di Asia, è la capitale della finanza Singapore a emergere come uno dei centri più avanzati in termini di attrattività dei capitali e fervore nel mondo della ricerca. Il Center for Nature-based Climate Solutions dell’Università di Singapore, per esempio, sta sviluppando una mappa interattiva per calcolare l’impatto di eventuali progetti di ripristino dell’ecosistema. Tra cui le cosiddette soluzioni nature-based perché utilizzano il capitale naturale per tentare di risolvere le grandi problematiche ambientali. 

La Malaysia rappresenta un altro paese dove si concentrano le attenzioni degli investitori. Complici la vicinanza con Singapore, ma anche l’annoso problema della “foschia transfrontaliera” (anche se con haze è più corretto parlare di un persistente smog provocato soprattutto dagli incendi in Indonesia). Anche qui non sono mancate le problematiche: a volte per mancanza di fondi, altri perché vere e proprie truffe. È quello che è accaduto nel caso di EcoBit, compagnia lanciata sul mercato delle criptovalute che nel 2017 aveva dichiarato di collaborare con l’Agenzia per lo sviluppo sostenibile dell’Onu ai progetti di compensazione del carbonio – notizia smentita dall’ente stesso.

Cina, boom dei prezzi del litio e problemi nel mondo EV

Il prezzo del litio negli ultimi anni viaggia su una montagna russa fatta di picchi nella domanda di veicoli elettrici (EV) e (prevedibili) rallentamenti. È quanto racconta un approfondimento di Caixin Global dedicato alle ultime ondate nel mercato dei metalli della transizione energetica. Un mercato di dimensioni colossali, che secondo gli analisti raggiungerà i 5,6 mille miliardi di dollari entro il 2030. La parabola cinese è centrale per questi mercati, tanto per la domanda quanto per l’offerta. La sola Tianqi Lithium Ltd. ha dichiarato un aumento del 1000% sulle entrate nel 2022 rispetto all’anno precedente.

Ora la tendenza potrebbe, ancora una volta, invertirsi. Al centro della questione non solo le difficoltà di approvvigionamento, che per gli estrattori cinesi sono ben inferiori agli competitor: solo pochi giorni fa, per esempio, il gigante delle batterie Catl ha vinto l’ennesimo appalto per estrarre  litio in alcune cave boliviane. Alla fine di dicembre Pechino ha confermato la chiusura ai sussidi per l’acquisto di mezzi elettrici a partire dal 1° gennaio, mettendo fine a dieci anni di sostegni per produttori e consumatori cinesi. A tenere in vita il mercato, prevedono gli analisti, potrebbero arrivare nuove leggi più severe in materia di trasporti, come la proposta del governo dello Henan per l’eliminazione totale delle auto a combustibili fossili entro il 2030.

Corea del Nord, la crisi alimentare è la peggiore degli ultimi trent’anni

La testata dedicata alle analisi sulla Corea del Nord dello Stimson Center, 38 North, ha dedicato un approfondimento alla crisi alimentare che negli ultimi mesi sta provocando una grave crisi umanitaria nel paese. A partire da agosto 2022, come dimostrerebbero i dati sulla produzione agricola, Pyongyang starebbe affrontando un crollo delle derrate alimentari causato da pandemia (e la conseguente chiusura della Corea del Nord a una buona parte di scambi commerciali) e difficoltà nello sviluppo di tecniche agricole più efficienti e sostenibili – le temperature sono basse per una stagione prolungata e molti terreni sono montagnosi, mentre dall’altro lato si investono enormi risorse per l’utilizzo massiccio di fertilizzanti. I dati non arrivano direttamente dalle fonti governative, ma sono trasmessi da ong o informatori sul territorio. L’aumento dei prezzi per beni come grano, riso e mais – fino a due volte maggiori rispetto al 2018 – dimostrerebbero la contrazione dell’offerta dei beni alimentari di base.

Thailandia, Charoen Pokphand Foods elimina il carbone dalle sue attività

Uno dei giganti dell’agrobusiness asiatico, la thailandese Charoen Pokphand Foods, ha annunciato di aver eliminato il carbone dalle fonti energetiche utilizzate nelle proprie attività. Si tratta di annunci ancora rari nei paesi del Sudest asiatico, dove rimane difficile misurare l’effettiva genuinità dei dati forniti dalle aziende. A motivare la scelta, anche un picco del fatturato provocato dalla guerra in Ucraina sebbene, dall’altro lato, l’aumento del prezzo del gas naturale liquefatto (gnl) abbia aumentato la dipendenza dalle fonti fossili più inquinanti. Ancora una volta diventa interessante osservare come le dinamiche di mercato possano influire sulle scelte delle aziende e quanto complessa rimanga la transizione energetica per le realtà con meno disponibilità di capitali in paesi ancora poco esposti a leggi e incentivi dedicati alle operazioni Esg.