SINOLOGIE – Stampa e libertà di stampa in Cina

In by Simone

La tesi La libertà di stampa nella Cina contemporanea analizza l’evoluzione del sistema editoriale cinese e le forme in cui la censura è istituzionalizzata. L’intenzione non è quella di concludere la ricerca prendendo banalmente atto di una presenza o di un’assenza, quanto piuttosto di indagare il perché di questa presenza o di questa assenza.
Storia recente della stampa in Cina
Con la riforma dei media (Meiti gaige, 媒体改革) del 1979 si moltiplicò la pervasività mediatica del Partito, esortando i comitati locali di ogni livello e i ministeri ad avviare ciascuno la propria testata giornalistica, si riaprì inoltre la porta alla pubblicità all’interno delle testate giornalistiche, rimettendo liquidità nel sistema. Anche grazie a questi nuovi fattori, il numero delle testate che, dopo esser crollato negli anni della Rivoluzione, in Cina era quasi fermo da trent’anni, iniziò a crescere vertiginosamente.

Gli introiti pubblicitari dei giornali dal 1980 a metà anni Novanta crebbero con tassi annui tra il 20 e l’80 per cento, portando i media a concepire i lettori sempre più come  consumatori verso cui orientare il proprio prodotto editoriale che come masse da educare. I giornali aumentarono allora la foliazione, dando sempre più spazio a cronache locali e non politiche: nacquero i primi giornali metropolitani e le riviste specializzate.

La direttiva con cui Deng Xiaoping nel suo Southern tour del 1992 ordinava ai giornali di raggiungere l’autosufficienza finanziaria, fu tra le cause che incentivarono quella che Zhao Yuezhi chiama “conglomerazione della stampa”: la creazione di gruppi editoriali sempre più grandi, economicamente più stabili e forse anche più semplici da “controllare” per il Partito.

Oggi, la ristrutturazione dell’industria editoriale cinese è ormai in fase avanzata e la creazione di “campioni nazionali”, capaci di competere per dimensioni e capitali con i grandi gruppi stranieri, è tra le priorità strategiche del Governo come dimostrano gli ingenti investimenti nella triade dell’informazione (Xinhua, Quotidiano del popolo, Cctv) e il suo successo.

Dopo il disastro mediatico della crisi seguente l’epidemia Sars nel 2003, il nuovo modo in cui le testate cinesi sembrano interpretare la strategicità del proprio ruolo è ben riassunto dai concetti di yulun daoxiang (舆论导向, guida dell’opinione pubblica) e baodao de zhudongquan (报道的主动权, prendere l’iniziativa nel riportare le notizie): non lasciare un vuoto mediatico in cui possano essere i reporter stranieri a raccontare una crisi, ma raccontarla in prima battuta perché possa imporsi la propria narrazione.

Il Dipartimento di propaganda
Come si legge dal suo stesso portale web, il Dipartimento è un organo interno del Partito comunista cinese (Pcc) col compito di guidare la ricerca teorica del Paese. Controlla il Ministero della cultura, l’Amministrazione generale della stampa e delle pubblicazioni (Gapp), il Quotidiano del popolo, la Xinhua, ecc.

L’impostazione del Dipartimento sembra essere ancora quella di Mao, alla cui base vi è l’assioma per cui non v’è distinzione tra interesse del Partito e interesse delle masse. Ecco che prende forma e si legittima la sovrapposizione tra Partito e Stato, per cui a un organismo di partito è affidata la gestione diretta di accademie, organi d’informazione e ministeri.

Grazie al lavoro di studiosi come Anne-Marie Brady e David Shambaugh è possibile comprendere meglio il funzionamento del Dipartimento, i cui vertici sono nominati direttamente dal Comitato centrale del Partito. Il Dipartimento lavora poi congiuntamente con l’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato, col Ministero della cultura, quello dell’industria, il Gapp e l’Amministrazione statale di radio, film e televisione, andando a comporre un complesso e capillare sistema della propaganda.

Il Dipartimento della propaganda incide sui contenuti editoriali delle testate tramite le proprie circolari con cui invita i redattori a servirsi di certe agenzie (generalmente, la Xinhua), a evitare certi argomenti sensibili che potrebbero minare l’armonia sociale, sopratutto in certi periodi dell’anno (in prossimità di anniversari storici o congressi del Partito), secondo alcuni studiosi (come Jonathan Hassid) addirittura nominando o rimuovendo i direttori dei singoli giornali.

Gli editoriali sugli organi ufficiali del Partito sono quelli sottoposti alla più stretta osservazione, tanto da poter essere a volte considerati scritti sotto dettatura. Il controllo è invece generalmente meno pressante man mano che ci si allontani dal “centro” verso la periferia, e dagli editoriali di teoria politica verso le pagine di cronaca.

La propaganda vera e propria è però quella che elogia la linea del Partito stimolando entusiasmo nelle masse perché lavorino alla realizzazione del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Il “sistema della propaganda” utilizza però anche meccanismi più laboriosi, come l’impiego di human-monitors (Brady ne stimava trentamila nel 2006) deputati al controllo sistematico delle pagine web.

Chiave di volta del sistema di diffusione e uniformazione delle notizie è l’agenzia di stampa Xinhua, con più di diecimila dipendenti e con sedi in ogni provincia cinese e in più di cento Paesi del mondo. Attraverso il controllo diretto dell’agenzia, che secondo Reporters sans Frontières nel 2005 contava per l’80 per cento su giornalisti con la tessera del Partito, il “sistema della propaganda” apre e chiude i rubinetti all’informazione interna ed esterna al Paese.

Tra i compiti della Xinhua vi sono anche le neibu tongxun (内部通讯, circolari interne), un vero e proprio mattinale con cui si informano i vertici del Partito di notizie non pubblicabili, e che può essere persino usato a scopi di battaglia politica per far circolare tra i vertici notizie riservate capaci di screditare i rivali interni.

Leggi sulla stampa
Nell’indagine dei perché della presenza o dell’assenza della libertà di stampa, e assumendo che la censura e il controllo di opinioni e informazioni passino anche per la proprietà dei mezzi di informazione, mi sono chiesto quali sarebbero i passi da compiere, e quali gli ostacoli, per moltiplicare le voci del panorama giornalistico (e quindi le opinioni e la libertà democratica) cinese. Ho quindi preso in esame alcune delle principali leggi che regolamentano la stampa, per evidenziare le criticità che potrebbero minare l’effettivo esercizio della libertà di stampa.

Prima tra queste leggi è ovviamente la Costituzione della Repubblica Popolare, che riconosce l’importanza della stampa nel servizio del popolo e del socialismo (art. 22), ne garantisce la libertà (art. 35), unitamente al diritto di portare critiche e suggerimenti (art. 41). In quasi tutte le leggi prese in esame viene sottolineata l’importanza del Marxismo-Leninismo, del pensiero di Mao, della teoria di Deng e delle “Tre rappresentanze” di Jiang Zemin.

La conoscenza di queste è richiesta ai responsabili delle pubblicazioni, ed è sulla base di queste che il Gapp svolge il proprio lavoro di censura.
Una criticità è rappresentata dal passaggio, per ottenere il permesso di pubblicazione, attraverso il Gapp, che abbiamo visto essere emanazione diretta del Partito e quindi un organo politico e non amministrativo (per confronto: in Italia la registrazione delle testate avviene tramite ratificazione della cancelleria del tribunale).

Le leggi vigenti sanciscono che solo i giornalisti legalmente accreditati di tesserino possano raccogliere notizie. Il fatto che questo sia rilasciato dal Gapp, sulla base della conoscenza delle teorie succitate, pone un nuovo punto di frizione nel terreno della libertà di stampa. Un altro pericoloso punto di discrezionalità è rappresentato dal “controllo annuale” cui le testate sono sottoposte per poter proseguire le pubblicazioni.

Il controllo verifica la “qualità della pubblicazione” (chuban zhiliang, 出版质量), la conformità alla “morale e alla pratica socialiste” (shehuizhuyi daodefengshang, 社会主义道德风尚) e lo “standard di stile” (gediao, 格调). La legge che lo regolamenta esplicita chi deve saggiare la conformità a questi criteri (il locale dipartimento del Gapp), ma non fa lo stesso per rispondere alle domande “cosa si intende per qualità della pubblicazione, morale e pratica socialiste e standard di stile?”, “come le si misura?” e “con quali strumenti?”. In questi casi, la criticità risiede pertanto nella mancanza di parametri oggettivi attraverso i quali poter definire la conformità o non conformità alle leggi delle testate prese in analisi.

L’autocensura
L’autocensura è, secondo alcuni degli studiosi presi in esame in questa tesi, la peculiarità del sistema cinese: un giornalista elogiato oggi per un articolo può venire punito domani per lo stesso articolo. Il risultato di questa strategia è che giornalisti e intellettuali sono costretti a vivere nell’incertezza di cosa si possa o meno dire, perché determinando post-hoc cosa sia lecito pubblicare, il Dipartimento della propaganda delimita il confine dell’accettabile in modo talmente confuso che i giornalisti finiscono per autocensurarsi per paura di fare un passo falso.

Sin dagli anni Ottanta, alcuni giornalisti e intellettuali cinesi hanno perciò cominciato a sollevare il problema della mancanza di una legge che ponga le basi per un’applicazione effettiva della libertà di stampa, esplicitando cosa possa essere pubblicato e cosa no. Ma si può definire per legge cosa può essere scritto?

Valutando alcune delle tesi a favore (liberare i giornalisti dall’incertezza, proteggerli da accuse arbitrarie) e di quelle contro (un’intromissione forzata nella stampa, un’ulteriore legittimazione della censura), ho concluso che, seppure la stesura di una legge simile sarebbe molto delicata e rischiosa, essa pare comunque necessaria nella misura in cui sancisca il “diritto di informare e commentare sui processi decisionali del Partito, gli eventi e le questioni importanti” di cui parla Sun Xupei, nonché garantisca ai giornalisti uno strumento di difesa dall’arbitrarietà delle accuse “vaghe”.

Una simile legge sarebbe insomma, in un contesto caratterizzato da una forte discrezionalità come quello cinese, un’apprezzabile passo avanti nella libertà di stampa perché, pur ponendo dei confini ai possibili oggetti di indagine giornalistica, garantirebbe al contempo la libertà di agire all’interno di tali confini.

D’altronde, come scriveva lo stesso Marx, la cui importanza ideologica è, come visto, centrale: “la mancanza di una legislazione sulla stampa dovrebbe essere considerata un’esclusione della libertà di stampa dalla sfera della libertà legale, in quanto la libertà legalmente riconosciuta esiste nello Stato come legge”.

Quale idea di libertà di stampa?
Le basi ideologiche della libertà di stampa sono ancora una volta quelle sottolineate dalla Costituzione, in primis Marx e Lenin. Va però notato che, mentre Marx sottolineava come “mancando la libertà di stampa, tutte le altre libertà diventano illusorie. Ogni forma di libertà presuppone le altre, come ogni membro del corpo presuppone gli altri”, Lenin precisava “i capitalisti chiamano ‘libertà di stampa’ l’abolizione della censura e la libertà per tutti i partiti di pubblicare qualunque giornale. Questa non è libertà di stampa, ma libertà per i ricchi, per la borghesia, d’ingannare le masse popolari oppresse e sfruttate”, e rilanciava che l’unico modo per garantire una vera libertà utile al proletariato è la statalizzazione degli organi di stampa.

Gli studiosi presi in esame nella tesi concordano nel ritenere che l’apertura al mercato abbia portato ad un aumento della libertà di stampa, per la varietà che ha introdotto nei contenuti dei giornali cinesi e per la maggior indipendenza dai dettami del Partito che la crescente attenzione necessariamente riservata ai clienti del prodotto-giornale ha portato.

In questa armonia di voci, sono fuori dal coro quelle di Zhao Yuezhi, Chen Huailin e Joseph Chan che sottolineano come questo apparente allentamento del controllo del Partito sia stato in realtà compensato da un nuovo vincolo che lega oggi le testate alla potenza finanziaria dei propri inserzionisti pubblicitari.

*Luigi Ottolini sei7otto[@gmail.com si è laureato presso la Facoltà di lingue e letterature straniere dell’Università di Torino il 9 luglio 2012 con votazione finale di 106/110. Si interessa di media e di società e cultura cinese.

** Questa tesi è stata discussa presso l’Università di Torino. Relatore: prof.sa Stefania Stafutti; correlatore: prof.sa Monica De Togni

[La foto di copertina è di Federica Festagallo]