Dragonomics – Il reddito del “ba ling hou”

In by Simone

Se sei iscritto al Partito guadagni di più. È quanto emerge da una ricerca (ufficiale) tra i nati negli anni Ottanta di Shanghai, generazione a cavallo tra studio e lavoro. Il fenomeno rivela una trasformazione del rapporto tra il Pcc e i suoi iscritti, che preoccupa la vecchia guardia, ma ben rappresenta i cambiamenti della stessa Cina. Fin da quando erano ragazzi, li hanno chiamati “me generation”: individualisti, autoaffermativi, consumisti, pragmaticamente apolitici. Ora, che stanno a cavallo dei trent’anni, si può cominciare a far loro i conti in tasca. Si scopra così che tra i “ba ling hou” (i nati negli anni Ottanta) di Shanghai, quelli che guadagnano di più sono comunque membri del Partito. Insomma, niente politica, ma con la tessera del Pcc gli affari vanno a gonfie vele. A svelare il dato è stata una ricerca dell’Università Fudan di Shanghai, prestigiosa istituzione della metropoli sullo Huangpu.

Nonostante lo studio non chiarisca i nessi tra la ricchezza e l’appartenenza certificata al Pcc, i ricercatori hanno evidenziato che tra i 25-34enni che guadagnano più di 10 mila yuan al mese (circa 1.150 euro) molti sono iscritti al Partito.
Nella capitale finanziaria della Cina, infatti, i nati negli Anni ’80 guadagnano annualmente in media 60 mila yuan (circa 7 mila euro): un dato che dimostra come stiano meglio rispetto al resto della popolazione, visto che nella città, secondo il Shanghai Statistics Bureau, il reddito medio annuo per persona nel 2012 è stato 43.851 yuan (circa 5 mila euro).
Tuttavia, un terzo del campione riceve meno di 3 mila yuan al mese (poco meno di 350 euro), mentre circa la metà ne prende fino a 10 mila. E solo un decimo degli intervistati – definiti «percettori di alto reddito» – si mette in tasca una cifra maggiore. Di questi, due terzi sono, o sono stati, membri del Partito.

Il Pcc è il più grande partito politico del mondo. Secondo gli ultimi dati certificati, che risalgono al suo 18esimo congresso (2012), ha oltre 82 milioni di iscritti – circa il 6 per cento della popolazione cinese – numero in continuo aumento. I giovani rappresentano una fetta importante dell’incremento. Secondo un sondaggio del ministero della Pubblica Istruzione, quasi tre milioni di studenti sono diventati membri del Partito comunista nel 2012, pari al 40 per cento dei nuovi arrivi. Otto studenti universitari su dieci – sempre secondo il ministero – vorrebbero aderire all’organizzazione, il che getta nello sconforto i teorici del suo collasso interno.

Tuttavia, valori e ideologia sembrano c’entrare poco. I “vecchi” del Partito lamentano spesso che la molla che spinge la “me generation” a iscriversi in massa è il bieco interesse personale.
Nel 2013, Zhang Xi’en, docente alla Scuola di Politica e Pubblica Amministrazione dell’Università dello Shandong, suggerì un taglio netto nel numero di membri del Partito a 30 milioni e di consentire un moderato incremento fino a 51 milioni in futuro. Una vera e propria potatura, che il professore giustificò così: “Diverse persone, speculatori inclusi, hanno cercato di ottenere guadagni personali a nome del Partito. Sciàmano in massa al suo interno, ne espandono rapidamente le dimensioni e costituiscono un enorme pericolo”.
Il paradosso sta nel fatto che è proprio la leadership post-Tian’anmen ad aver fatto di tutto per de-ideologizzare sia Partito sia giovani generazioni. E quindi, le seconde vedono nel primo un’opportunità di carriera, specie se favorisce l’ingresso nelle beneamate grandi imprese di Stato.

Quello che resta in piedi è il sistema. Fin dall’età scolare, il legame tra il fanciullo e il Partito è coltivato meticolosamente.
La maggior parte dei bambini cinesi dai sei ai quattordici anni fa parte dei Giovani Pionieri, organizzazione gestita dalla Lega della Gioventù Comunista, a cui si accede recitando: “Amo il Partito comunista, la patria e il popolo; studierò bene e mi terrò in forma, preparandomi per contribuire alla causa del comunismo”. Come quei bambini occidentali costretti a recitare la preghierina prima di andare a nanna, probabilmente i giovanissimi comunisti non ci capiscono nulla e sono semplicemente felici di far parte del gruppo esibendo la sfavillante hong ling jin (sciarpa rossa). Ma si noti tuttavia che la fedeltà al Partito in sé è anteposta a quella per la patria e per il popolo, e che le tre vengono fatte coincidere: una sedimentazione che può riemergere in seguito.
I Giovani Pionieri servono quindi a costruire fedeltà.

Quando arriva a 14 anni, l’ex pioniere può diventare membro della Lega della Gioventù, organizzazione di massa a cui aderiscono quasi tutti. Nel 2008, i membri della Lega rappresentavano il 45,4 per cento della popolazione totale della Cina. È il principale veicolo per entrare nel Partito vero e proprio e, facendosi strada al suo interno, il giovanotto comincia a valutare costi e benefici di una eventuale adesione. Molti si fermano lì, alla scadenza dei 28 anni, altri proseguono, come per esempio l’attuale premier Li Keqiang e l’ex presidente Hu Jintao.
La Lega della Gioventù è un’enorme macchina per la costruzione di guanxi (relazioni allargate), carriere, potere politico.

Nella mescolanza tra fedeltà al Partito, patriottismo e interesse personale, si riproduce il consenso attraverso le generazioni e si perde gradualmente lo spirito originario dell’organizzazione di classe degli “operai, contadini e soldati”. È un percorso del tutto analogo a quello della Cina stessa e funziona. Soprattutto se, come nel caso dei “ba ling hou” di Shanghai, si tiene d’occhio il proprio portafoglio.