La tesi Frontiere interne: il ruolo del sistema hukou nella Repubblica popolare cinese esamina le ragioni dello strumento e l’attuale dibattito in corso sulla sua abolizione. Attraverso l’esame del caso studio di Chongqing, conclude elencando diversi punti sui quali una positiva implementazione della riforma potrebbe scontrarsi.
Una vasta letteratura, negli ultimi 15 anni, si è dimostrata pronta – ogni volta che si parlava di riforma del sistema dell’hukou (o huji) – a celebrare l’abbandono di questo dispositivo, uno dei più importanti per capire l’architettura socioeconomica cinese. Eppure gli effetti che scaturiscono dal sistema dell’hukou hanno determinato un’architettura della società non certo modificabile o addirittura stravolgibile con alcuni articoli di una legge o con qualche dichiarazione politica. Un approccio molto più profittevole è quello di guardare alle funzioni che questo strumento possiede, e di valutarne i progetti di riforma in base proprio ai ruoli che esso svolge o che dovrà svolgere all’interno del contesto socioeconomico cinese.
Nel corso del Terzo Plenum del Diciottesimo Congresso del Pcc, si è annunciata la volontà di “rimuovere i controlli sui contadini che si stabiliscono in città e piccole città, e di allentare le restrizioni sugli insediamenti in città di medie dimensioni.” E’ proprio il sistema dell’hukou per come è in funzione oggi uno dei principali ostacoli a questa intenzione da parte del Pcc. Se infatti il dispositivo dell’hukou, nel momento in cui è stato implementato nelle sue funzioni-base durante i primi anni seguiti alla rivoluzione maoista, era funzionale ad un controllo complessivo del governo sullo sviluppo economico e dei flussi migratori tra città e campagne, ora diventa un freno allo spostamento di massa nelle città di quei migranti rurali che devono divenire il nuovo traino della crescita economica del paese.
E’ stato però proprio il ministro dello Commissione per lo sviluppo nazionale e le riforme, Xu Shaoshi, a sottolineare come la riforma dell’hukou sarà però un processo graduale e non certo un’immediata eliminazione del dispositivo. E’ ancora incerto se la “Commissione Centrale per la messa in pratica delle riforme” elaborata e guidata direttamente dal Presidente Xi Jinping (che dovrebbe quindi dominare gerarchicamente l’ente presieduto da Xu) sia stata pensata proprio per superare le resistenze politiche a riforme come quella del sistema dell‘hukou, prevedendo un insieme di provvedimenti riguardanti lo sviluppo del settore dei servizi, la riforma rurale, la gestione accurata del mercato immobiliare nonchè lo sviluppo delle regioni meno forti dal punto di vista economico.
Il terzo Plenum del Comitato Centrale del Pcc, tenutosi nel novembre 2013 è stato narrato da molti analisti (vedi Tiezzi o Nehru) come il momento di instaurazione vero e proprio dell’era di Xi Jinping alla guida della Cina. Il documento finale (cosiddetto “Communiquè”) può essere inteso come il manifesto politico di Xi Jinping, fissandone l’agenda politica riformatrice da qui al 2020. Il Communiquè si esprime sulla questione dell’hukou, la cui riforma è stata definita come una “priorità”: questo immaginandosi un graduale rilassamento dei criteri per accedere al godimento dei sistemi di welfare urbano, per permettere a più lavoratori migranti di poter ottenere miglioramenti in campo residenziale, pensionistico e sanitario, chiamando ad un’ urbanizzazione “centrata sulla persona”. Da un lato veniva sottolineata l’esigenza di procedere ad un allargamento della platea dei beneficiari dei sistemi di welfare urbano, dall’altro la necessità di istituire meccanismi di facilitazione della conversione dell’hukou da rurale a urbano.
Guida fondamentale per quanto riguarda la riforma in senso nazionale del sistema dell’hukou, discendente diretto dei lavori del Terzo Plenum, è però il parere del Consiglio di Stato sul tema datato 24 luglio 2014. In questo testo il governo si impegnava a rimuovere i limiti all’ottenimento dell’hukou nelle piccole città, ad allentarle in quelle medie e a impostare una serie di requisiti per le grandi città. Il progetto di fatto eliminava contestualmente la distinzione tra hukou rurale ed hukou urbano, creando la categoria di “hukou di residenza”. Obiettivo della riforma era permettere a circa 100 milioni di lavoratori migranti di insediarsi nelle città entro il 2020. In una conferenza stampa nei giorni successivi, il vice ministro alla Pubblica Sicurezza Huang Ming si espresse in questi termini:
“Le città di medie dimensioni con una popolazione tra un milione e tre milioni avranno una soglia bassa [di limitazioni alla possibilità di dotarsi di hukou urbano, ndr], mentre le megalopoli con più di cinque milioni di abitanti cercheranno di controllare rigorosamente l’afflusso di nuovi cittadini. Le persone che desidereranno stabilirsi in megalopoli come Pechino e Shanghai dovranno qualificarsi attraverso un "sistema a punti " calcolato in base alla loro anzianità di lavoro, alla loro sistemazione e alla sicurezza sociale.”
Il governo ha anche promesso di lavorare ulteriormente sul tema dei diritti di proprietà della terra da parte dei contadini, affermando che questi in futuro possano affittarla o venderla nel caso in cui desiderino lasciare il villaggio. Sulla linea dei lavori del Terzo Plenum, verrà anche affrontata la questione del ribilanciamento delle responsabilità fiscali tra governo centrali e amministrazioni locali, a partire dal tema della tassazione e dei trasferimenti fiscali da valutare sulla base del tasso di immigrazione nelle singole provincie.
Si sono subito levate in materia alcune voci critiche; ad esempio per Wang Chunguang, sociologo dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, la riforma dell’hukou dovrebbe essere guidata dalle forze di mercato, senza controlli esterni che riguardino la possibilità o meno di ottenere l’hukou nelle mega-città. Per il professor Wen Tiejun c’è da comprendere in maniera corretta le volontà politiche del PCC, che più che una “urbanisation” sarebbe determinato a mettere in campo un processo di “townisation”, ovvero a dirigere il flusso verso le città piccole e medie. Nella sua argomentazione, tratta da un’intervista rilasciata all’autore:
Pechino, migranti compresi, ha una popolazione di 26 milioni di persone, con problemi di acqua e inquinamento enormi. Il governo centrale deve controllare queste mega-città, come Shanghai, Canton etc..e per questo sta promuovendo una “townisation”, che non è una “urbanisation”; media e osservatori esterni hanno parlato di urbanizzazione ma qui la realtà è che il governo ha da un po’ cambiato strategia e appunto punta su una “urbanizzazione dei villaggi”, non quindi delle grandi città che hanno i problemi di cui sopra. Il problema è un’errata traduzione; non si parla del vero progetto che è appunto una “townisation” come si apprendere anche dai documenti delle istituzioni.
C’è chi fa notare che anche in città più grandi si sono lanciate proposte di modifica dell’hukou: eppure queste a volte sono state più misure che andavano a determinare delle sanatorie, o a creare un sistema di inclusione differenziale all’ottenimento dell’hukou desiderato. Come argomenta Cindy Fan, si è spesso andati nella direzione di impostare criteri per l’ottenimento dell’hukou basati sul merito, criteri utili per determinare l’ammontare, la composizione e la qualità corretta dell’immigrazione da regolarizzare. Basti pensare a Shanghai e alla sua riforma che avrebbe concesso l’hukou urbano a chi fosse in regola da 7 anni con i pagamenti delle tasse e di quelli a scopo previdenziale (nonché ovviamente in possesso di un lavoro stabile).
Peccato che il dato dell’enorme utilizzo di lavoro nero nei confronti dei migranti, anche talvolta per scelta di questi ultimi, secondo l‘Economist limita la classe di beneficiari della riforma a sole 3’000 persone. Lavoratori rurali migranti che dovrebbero invece divenire parte della nuove classe media, andando a risiedere nelle città meno popolose e anche in quelle che attualmente sono ribattezzate “città fantasma” che sorgono proprio all’interno delle regioni interne del paese che il governo vorrebbe fare sempre più crescere e divenire luoghi di insediamento dei migranti.
Secondo Cao Yuanzheng, capo economista della Bank of China, "l’integrazione dei servizi pubblici è l’essenza di una sana urbanizzazione, e gli agricoltori dovranno avere la libertà di fare una scelta tra la città e la campagna. L’integrazione di urbano e rurale, in particolare rispetto al welfare e ai servizi pubblici, diminuirà ampiamente la differenza tra città e campagna dovuta all’hukou; facendo questo esistere solo di nome. Tutto dipende dalla futura attuazione, siccome nessuna riforma può essere effettuata separatamente.”
Fortemente critico dell’idea che la riforma dell’hukou per come immaginata dal governo possa avere effetti migliorativi per le vite di ampie fasce di popolazione è invece Cham Kam Wing, che nel testo “Is China abolishing the hukou system?” argomenta invece che proprio quel “solo nome” che secondo Cao rimarrebbe all’hukou testimonia la vitalità dell’hukou stesso. Una vitalità che riguarda soprattutto le grandi città, che sarebbero poco toccate dal provvedimento di riforma ma che ospitano la maggior parte di chi l’hukou vorrebbe ottenerlo.
Il punto, sostiene ancora Chan, è che il sistema dell’hukou è integrato pienamente nella struttura socioeconomica cinese e nella strategia di sviluppo del governo. Ogni sua riforma significa andare a toccare l’attuale struttura dualistica tra città e campagna, universalizzando l’insieme delle prestazioni di previdenza sociale a carica dello Stato che al momento sono godute solo da un terzo della popolazione. Di conseguenza, immaginarsi una riforma dell’hukou che di colpo ne abolisca le funzioni è semplicemente impossibile.
In parallelo con le prese di posizione ufficiale delle istituzioni centrali già si contano, nell’ultimo decennio forme di sperimentazione locale di riforma del dispositivo hukou. Molto spesso in Cina le riforme su un determinato tema non vengono implementate su scala nazionale ma al contrario, si sperimentano diverse versioni di politiche per raggiungere un determinato obiettivo in diversi enti locali, per poi trarre conclusioni su quali abbiano funzionato meglio e quindi procedere ad una loro replica su scala ingrandita.
E’ evidente dalla comparazione tra diverse sperimentazioni come le modalità di riforma dell’hukou siano legate alle specificità dei territori e dei flussi economici che li attraversano, e non tanto da una orizzontale e unica volontà di cambiamento del dispositivo basata su un ragionamento di tipo etico. E’ presente una volontà politica complessiva, ovvero quella di adattare le funzioni svolte finora dal sistema hukou a nuovi obiettivi da raggiungere in accordo con la strategia di sviluppo socioeconomico della società cinese, declinandole in maniera differente.
Vi sono casi di cosiddetta “inclusione differenziale” su base economica come nel caso di Shanghai e della provincia del Guangdong, ed altri in cui si cerca di sviluppare territori dalla minore ricchezza complessiva come il Sichuan attraverso l’idea un pompaggio artificiale della domanda dovuto alla concessione di hukou urbani. Non va sottovalutato però l’importante questione di aver di fatto istituzionalizzato i meccanismi e le procedure per la conversione del proprio hukou: il tema sembra essere però quello di creare le condizioni economiche (e di salvaguardare la sostenibilità del processo anche dal punto di vista ambientale) affinchè si allarghi sempre di più la possibilità di poter affrontare i requisiti richiesti.
Venendo al caso di studio della tesi, ovvero la sperimentazione della riforma dell’hukou nella municiaplità di Chongqing , tirando le fila sembrano esserci diversi punti sui quali una positiva implementazione della riforma sembra scontrarsi. In primis la scarsa qualità dell’urbanizzazione in corso a Chongqing. Essa, non aumentando la propensione al consumo – poiché insufficiente a livello di prestazioni welfaristiche previste nei confronti dei migranti, che di conseguenza privilegiano il risparmio – rende difficile l’integrazione di questi nei flussi economici e di conseguenza abbassa l’utilità di ottenere un hukou urbano.
La presenza di ritmi di vita lavorativi asfissianti potrebbe inoltre impedire l’emergere di un tempo libero da poter dedicare all’industria del consumo e del divertimento da parte degli stessi lavoratori: sia che essi prendano l’hukou, sia che non lo prendano, ad ogni modo il loro impatto sull’economia del territorio è minimo. E le biografie personali della maggior parte dei migranti a quel punto possono essere decisive nella scelta.
Sembra esserci una forte, tenace volontà tra i migranti di mantenere legami con la zona rurale di origine. Questa, insieme all’inserimento delle loro parabole migratorie in strategie familiari/comunitarie complessive che si muovono su entrambi i terreni urbano e rurale – sembra portare al rifiuto del passaggio alla dimensione urbana in senso totalitario. Questo sembra avvenire sia perchè molto spesso il piano della migrazione è solamente temporaneo, finalizzato ad un arricchimento propedeutico ad una migliore esistenza una volta tornati nel luogo d’origine; ma anche perchè le forme di welfare, di mutualismo, presenti nelle comunità peri-urbane creano dei benefits significativi che svaniscono una volta compiuto il passaggio alla dimensione compiutamente urbana.
*Michele Mastandrea mikmast88[@]hotmail.it è nato a Campobasso il 12 agosto 1988, ha conseguito il diploma di laurea triennale in Relazioni Internazionali presso l’Università di Bologna nel marzo 2011, con una tesi di laurea incentrata sull’importanza per l’economia globale dell’analisi della conflittualità lavorativa in Cina. Grazie all’ottenimento di un finanziamento dell’Università di Bologna ha trascorso un soggiorno di alcuni mesi presso la città di Shanghai, dove ha scritto (muovendosi tra Shanghai, Pechino e Chongqing) la tesi di laurea in oggetto con cui ha conseguito il diploma di laurea magistrale nel dicembre 2014.
**Questa tesi è stata discussa presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Relatore: prof. Antonio Fiori