La tesi Han Han, intellettuale pop descrive lo scrittore-blogger-rallista e insieme la generazione degli anni ’80, quella dei giovani cinesi urbani all’epoca di internet e del “socialismo di mercato”. La voce del buonsenso in una società sempre più estrema e dicotomica.
“If you speak Chinese, you know who I am”.Han Han, classe 1982, si è presentato così in un’intervista televisiva, e la frase non è poi troppo eccessiva in rapporto alla realtà.
Dal 1999, anno di uscita del suo primo romanzo, Le tre porte, questa figura unica nel panorama cinese non ha mai smesso di far parlare di sé. A quei tempi Han Han aveva solo diciassette anni; oggi ne ha trenta, e finora ha pubblicato una dozzina di libri di saggistica e narrativa, ha avviato una fortunata carriera di pilota automobilistico, ha inciso un cd, è stato editore di una rivista letteraria, ha aperto un blog che è diventato in breve il più seguito del web cinese.
Ha fatto a pezzi con ironia e sfrontatezza il sistema scolastico, ha litigato con alcuni tra i più illustri esponenti del mondo dell’arte e dell’accademia (registi, poeti, studiosi), ha criticato, anche violentemente, le deformazioni della politica e della società cinesi. Il tutto con il supporto di milioni di fan adoranti, la stima di numerosi intellettuali (e il biasimo di altrettanti detrattori), le lusinghe da parte di media e pubblicità.
Di recente, il China Daily l’ha definito (generosamente) “a cross between James Dean and J.D. Salinger, with the brusque Lu Xun thrown in”. Con quell’aria da bravo ragazzo e la lingua tagliente di un ‘teppista’, Han Han ha letteralmente conquistato un ruolo da protagonista nell’arena culturale: che lo odino o lo amino, pochi in Cina sono riusciti a rimanergli indifferenti.
In Han Han si ritrovano anche, d’altra parte, i nuovi valori della società cinese: l’individualismo, l’arrivismo, il relativismo ideologico, il pluralismo culturale.
Quello che di lui mi ha incuriosito all’inizio, e il dilemma che ho cercato di sciogliere con questo lavoro, era proprio questa dicotomia, ovvero il suo essere allo stesso tempo considerato un ribelle linglei (alternativo) ed essere di fatto il prototipo dell’uomo di successo, un vanitoso egotista e un cittadino consapevole dei problemi della collettività, uno ‘bello e dannato’ e un ‘ragazzo della porta accanto’, una pop star da copertine patinate e un intellettuale impegnato e liberale. Il titolo della mia tesi, Han Han, intellettuale pop, racchiude il senso, e in parte le conclusioni, di questo percorso di ricerca.
L’ennesima ‘rivoluzione’ del novecento cinese ha portato con sé innovazioni e aperture, ma anche nuove forme di alienazione e di sfruttamento. A partire dal 1978, l’introduzione dell’economia di mercato e l’ammorbidimento del controllo ideologico da parte del Pcc hanno prodotto una serie di cambiamenti che si sono ripercossi su tutti gli aspetti della vita individuale e collettiva.
L’imprenditoria privata è diventata il traino di una crescita economica impressionante, e il benessere che ne è derivato, pur con il persistere di squilibri geografici e di classe, ha cambiato il volto fisico e spirituale della nazione cinese.
L’urbanizzazione, con le relative deformazioni (periferie di grattacieli ridotte al ruolo di ‘quartieri-dormitorio’, metropoli inquinate e sovraffollate, cementificazione delle campagne), ha trasformato i ritmi e i modi dell’esistenza.
Parallelamente, lo sviluppo di una società dei consumi e l’apertura al mondo esterno hanno introdotto nuovi modelli di vita, nuove vie di realizzazione individuale, nuove forme di socializzazione.
Tanti e tali cambiamenti influenzano soprattutto le generazioni più giovani: Han Han viene spesso considerato, in patria e all’estero, il portavoce dei balinghou (post-anni ’80). I post-anni ’80 sono il prodotto e l’incarnazione del percorso intrapreso dalla Cina degli ultimi trent’anni; essi ne riflettono così le innovazioni e le contraddizioni.
I balinghou consumano prodotti provenienti dall’estero e sono attenti alle nuove tendenze della moda e della tecnologia; navigano quotidianamente su Internet per studio o svago. Il loro livello di istruzione è generalmente più elevato di quello di genitori e fratelli maggiori (il cui corso di studi è stato ostacolato dagli sconvolgimenti della Rivoluzione Culturale), la maggioranza di essi conosce l’inglese, e grazie ai nuovi media possono avere accesso a una quantità di informazioni inimmaginabile fino a qualche decennio fa. Fanno parte a pieno titolo del mondo globalizzato del XXI secolo, e differiscono sempre meno, per abitudini e stili di vita, dai loro coetanei europei o americani.
La generazione nata dopo il 1980, a cui Han Han appartiene, riproduce i tratti e le contraddizioni della Cina post-riforme. Più ricchi, cosmopoliti e informati (almeno quelli delle città) rispetto alle generazioni precedenti, i giovani cinesi del terzo millennio hanno avuto maggiori opportunità e libertà più ampie, ma hanno dovuto fare i conti anche con una società sempre più competitiva, con la perdita di riferimenti morali, e con il tramonto dell’ideale utopico rivoluzionario.
Soprattutto negli ultimi anni, anche come conseguenza della crisi economica globale, le difficoltà hanno cominciato ad essere di tipo più concreto: i problemi nel trovare lavoro e alloggio, la crescente inflazione, un mercato interno ancora troppo debole a fronte del calo delle esportazioni, rendono la vita sempre più difficile anche ai giovani ‘colletti bianchi’.
Han Han è solo uno dei numerosi giovani scrittori che in questi anni diventano dei bestseller grazie a romanzi di vita vissuta che riflettono i problemi e le aspirazioni di un’intera generazione, con la quale vengono subito identificati: l’etichetta di balinghou (post-anni ’80) passa con facilità dal designare questi autori all’includere il loro pubblico e tutti i cinesi nati dopo il 1980.
Han Han, Guo Jingming, Zhang Yueran, Li Shasha e Chun Shu sono alcuni dei nomi di queste star della letteratura nate tra il 1980 e il 1985, che all’inizio del nuovo millennio hanno fatto parlare di sé per opere che hanno poco in comune in quanto a forma e stile, ma sono caratterizzate tutte da forti elementi autobiografici e da un retroterra sociale-culturale condiviso, quello dei giovani cinesi urbani nell’epoca di Internet e del “socialismo di mercato”.
Il successo della “letteratura dei post-anni ’80” (balinghou wenxue) è legato al web, dove molti dei suoi rappresentanti pubblicano le prime opere e costruiscono una fanbase virtuale, e alla rivista letteraria Mengya (Germogli), che dal 1999 indice il concorso xin gainian (Nuova concezione), destinato agli aspiranti scrittori delle scuole superiori.
È grazie al xin gainian che la maggior parte di questi autori suscita l’interesse delle case editrici e dei lettori più giovani, intercettando, da un lato, le esigenze di ampliamento del mercato editoriale seguite alla liberalizzazione del settore, e, dall’altro, quelle di un pubblico alla ricerca di nuovi modelli di identificazione e di affermazione individuale.
L’esordio letterario di Han Han, Le tre porte (Sanchongmen), racconta le vicissitudini di uno studente nel passaggio dalla scuola media a quella superiore; è una narrazione amara e ironica della fatica del crescere e insieme una critica impietosa al sistema dell’istruzione in Cina. Le tre porte scala le classifiche di vendita e diventa subito un caso letterario: nasce il “fenomeno Han Han”.
L’adolescente schivo ma ribelle, con i capelli lunghi e il sorriso da star del cinema, catalizza l’attenzione di giornali e tv e indirizza il dibattito pubblico sui temi dell’educazione e della scrittura giovanile.
Una volta lasciata la scuola, Han Han può dedicarsi a tempo pieno all’attività di scrittore. Lo spirito critico e la verve ironica che contraddistinguono l’esordio di Han Han continuano ad essere una costante della sua produzione, e gli valgono l’appellativo di scrittore “alternativo” (linglei). Questo termine viene usato (e, spesso, abusato) in Cina per indicare stili di vita, prodotti artistici e fenomeni culturali che sono al di fuori del mainstream, caratterizzati da un atteggiamento indipendente e ostile nei confronti della tradizione, della morale comune e dell’autorità.
Han Han viene definito linglei anche in virtù della sua privata: la scelta di non frequentare l’università, l’atteggiamento ribelle e arrogante che mostra in pubblico e, infine, l’avvio di una carriera come pilota di rally professionista, sono sicuramente un’ ‘alternativa’ al modello che i genitori cinesi sognano per i propri figli. I balinghou, invece, che costituiscono il grosso del pubblico di Han Han, sono affascinati proprio da questa possibilità, che la sua esperienza rappresenta, di decidere del proprio destino; Han Han incarna la liberazione dalle pressioni della famiglia e della società e la facoltà di dire e fare quello che si vuole.
La definitiva consacrazione di Han Han come icona di una generazione è giunta dopo l’apertura del blog, nel 2006. E’ sul web, infatti, che Han Han è emerso quale opinion leader e figura di riferimento per molti giovani cinesi. Grazie a questa nuova piattaforma di comunicazione, egli può rivolgersi ai suoi lettori in maniera più immediata; i suoi post, letti e commentati da migliaia di persone e prontamente ripubblicati su altri siti in Cina e all’estero, hanno infiammato animi e generato polemiche, accrescendo la sua notorietà insieme alle schiere di fan e detrattori.
Tutto questo non è un caso. La diffusione di Internet in Cina ha cambiato il modo in cui i cinesi, soprattutto i giovani delle città, comunicano, si informano, producono e consumano cultura; negli ultimi quindici anni si è formato un popolo di cittadini della rete, wangmin, che usa il web, oltre che per svago, per trovare notizie, avvicinarsi a opinioni indipendenti, esprimere sentimenti, frustrazioni e preoccupazioni.
Con l’avvio dell’era web 2.0 (wangluo 2.0), caratterizzata da una sempre crescente interattività e partecipazione dei netizen alla creazione dei contenuti online, il blog personale è diventato strumento principe per il racconto di sé e il confronto con gli altri, su problemi e situazioni della vita intima e quotidiana, ma anche su tematiche più ampie della vita sociale e politica cinese. Il blog, unito ad altri strumenti come riviste online, chat, newsgroup e forum, ha permesso la formazione di una “sfera culturale” cinese, spazio intermedio tra pubblico e privato che diviene arena di dibattito, interazione sociale, costruzione di identità.
Il blog di Han Han diventa in breve uno dei più seguiti della Cina (ad oggi ha ricevuto più di 550 milioni di visite), aumentando la sua popolarità grazie a un interscambio continuo tra media tradizionali e nuovi media, che alimentano la fama del giovane scrittore-pilota-blogger facendo rimbalzare la sua immagine e le sue parole dalla rete, ai giornali, alla tv, ai libri (e viceversa).
Sul suo blog, Han Han lancia proclami, pubblicizza i suoi libri, offre resoconti di viaggi e gare, attacca direttamente esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo, ma soprattutto discute di molti problemi della società cinese, denunciandone abusi e ingiustizie: “As a citizen I think I have the right to express my opinions and views about a few social problems”, dice.
Comincia così ad affrontare temi di attualità politica e sociale, nello stile ironico e disincantato che lo contraddistingue, trattando argomenti anche molto ‘sensibili’, come le proteste in Tibet nel 2008, l’incidente ferroviario avvenuto a Wenzhou nel 2011, la corruzione dei funzionari, la censura sull’informazione.
Le tematiche affrontate da Han Han gli hanno permesso di ampliare il numero e la tipologia dei suoi lettori. Il tono della scrittura dei post del blog di Han Han, oltre al loro argomento, è parte fondamentale di questo risultato. In diversi casi, Han Han riesce a trattare con leggerezza delle questioni molto serie: il sarcasmo e l’ironia servono a stimolare nel lettore la riflessione critica.
Sono anche espressione di un certo menefreghismo, del disprezzo per le gerarchie e le forme culturali prestabilite. Sotto questi aspetti, Han Han è rimasto il ragazzino insolente della porta accanto, il ‘bullo’ che si fa beffe di tutto e tutti, o anche, se vogliamo, il buffone, il chou del teatro tradizionale cinese, che può dire la verità nascosta dietro la risata grazie al suo status di outsider. In altre occasioni è invece l’emotività a prevalere, con il coinvolgimento nelle sofferenze altrui che lo rende partecipe e lo fa percepire come vicino alla gente e ai suoi problemi.
Una delle caratteristiche che lo rende così apprezzato è il suo anti-intellettualismo. Egli non ha le basi e la formazione necessaria per un’analisi seria e approfondita della società cinese, e nemmeno ha la pretesa di farlo. Han Han non propone soluzioni, non dà indicazioni politiche, nè si può dire che le sue siano considerazioni particolarmente originali.
Facendo uso di una logica semplice e non sempre rigorosa, egli espone i problemi della società cinese e ne suggerisce (senza in realtà mai entrare nello specifico né proporre soluzioni) le responsabilità. Han Han è semplicemente uno che ha il coraggio e la possibilità di dire quello che pensa (facendolo con grande arguzia), e che, spesso, riflette il pensiero di molti cinesi.
Le sue critiche sono espressione di una razionalità immediatamente comprensibile e di una sincera indignazione nei confronti delle ingiustizie, di uno spirito “umanista” che pone al centro della riflessione la dignità umana. Ma è difficile considerarlo un “intellettuale”: egli rappresenta, come è stato detto, la conoscenza comune (changshi), il buon senso; un sentire, insomma, che non necessariamente anticipa o indirizza le tendenze di una parte della società, ma più spesso va di pari passo con esse, assecondandole più o meno consapevolmente.
** Questa tesi è stata discussa presso l’Università “L’Orientale” di Napoli: relatrice prof.ssa Sandra Marina Carletti, correlatrice Valeria Varriano.
[La foto di copertina è di Federica Festagallo]