Sinologie – Dal patriottismo al nazionalismo nella Cina contemporanea

In Sinologie by Redazione

La Cina è ormai diventata uno dei più potenti e influenti paesi del mondo, acquisendo giorno dopo giorno crescente rilevanza nel contesto internazionale. Tuttavia, la storia della Cina è molto differente da quella di ogni altro paese. Gli occidentali si trovano spesso in difficoltà quando si tratta di comprendere le scelte politiche della Cina, soprattutto se ignorano il suo passato e la sua storia contemporanea.

Negli ultimi decenni il Partito comunista cinese (Pcc) ha dovuto affrontare dure sfide, conseguenza di diversi eventi che hanno minacciato il sistema politico cinese inducendo i membri del Partito a cercare una soluzione. Uno degli espedienti più riusciti, utilizzati con lo scopo di placare ogni possibile scontento nel lungo termine e di rimettere in piedi l’ormai vacillante legittimità politica del Partito, è stato la Campagna di Educazione Patriottica iniziata da Jiang Zemin nei primi anni Novanta.

Durante gli stessi anni, la Cina ha assistito ad un interessante revival del nazionalismo, un movimento nuovo rispetto ai precedenti. La natura di tale fenomeno è ancora oggetto di discussione, e molte ipotesi sono state sollevate durante il corso degli anni. Molti sostengono che il risveglio nazionalista cinese sia stato una conseguenza dell’educazione patriottica intensiva cui è stato sottoposto il popolo, tuttavia esistono differenti opinioni riguardanti gli effetti di tale educazione sulla percezione che i cinesi hanno del proprio paese. Il nazionalismo non ha poi solo influenzato il modo dei cinesi di percepire la propria nazione, ma anche il resto del mondo e, in particolare, il Giappone.

Obiettivo della tesi è stato studiare e mettere a confronto la nascita e l’evoluzione del nazionalismo cinese e giapponese per meglio comprendere quali siano gli ostacoli principali che impediscono ai due paesi di ristabilire sane e vantaggiose relazioni bilaterali.

Il lavoro offre innanzitutto un capitolo interamente dedicato ai concetti di nazione, nazionalismo e patriottismo dal punto di vista occidentale, necessario per distinguere le principali differenze culturali, per arrivare poi al punto di vista cinese e seguire l’evoluzione del nazionalismo di pari passo con le vicende storiche più importanti del paese. Storicamente, il nazionalismo ha influenzato la politica estera cinese in vari modi.

Esistono tre differenti prospettive nazionaliste: nativismo, anti-tradizionalismo e pragmatismo. Si ritiene che ciascuna di queste prospettive abbia differenti implicazioni per la politica estera: mentre il nativismo è da associarsi a sentimenti anti-stranieri e l’anti-tradizionalismo si conforma a un sistema internazionale progressista, il nazionalismo pragmatico è quello che più si addice ad un mondo che cambia rapidamente come quello cinese. L’adattamento pragmatico messo in opera dal governo cinese ha l’obiettivo di difendere gli interessi nazionali della Cina attraverso la costruzione di una cooperazione fruttuosa nelle relazioni con le maggiori potenze.

Tuttavia, il nazionalismo cinese viene definito come arma a doppio taglio: è sia un modo di legittimare il governo del Partito-stato, sia un modo per l’opinione pubblica cinese di giudicare la performance politica del regime. A livello governativo, dunque, il nazionalismo popolare viene visto come un fenomeno positivo finché questo non minaccia l’autorità e la legittimità del Partito-stato.

Oltre al nazionalismo, infatti, esiste un altro elemento di fondamentale importanza nel sistema cinese: la legittimità politica. Il termine legittimità spiega la propria importanza già di per sé stesso. Le cosiddette «crisi di legittimità» sono un fenomeno alquanto recente che si manifesta durante i periodi di transizione verso nuove strutture sociali. Tali crisi sono tipicamente accompagnate da instabilità politica se non addirittura da rivoluzioni, che vengono messe in atti quando un determinato gruppo considera illegittimo il regime esistente.

Alcuni autori sostengono che la legittimità sia fondamentalmente una questione di percezione: la percezione che l’opinione pubblica ha della legittimità è equivalente alla legittimità stessa del regime. Disobbedire al Partito o mettere in dubbio il suo ruolo e la sua legittimità equivale ad essere traditori del paese. E, infatti, è stato proprio in difesa della legittimità che il Pcc si è dedicato in modo spettacolare al rafforzamento dell’educazione patriottica in ogni ambito della vita dei cittadini cinesi. Attraverso l’ampio uso della narrazione dell’umiliazione nazionale, oltraggio inferto al paese dalle potenze occidentali e dal Giappone nella seconda metà del XIX secolo, la Cina è riuscita a riconquistare la legittimità perduta facendo del patriottismo la propria bandiera.

In termini di legittimità, centrale è lo studio della Campagna di Educazione Patriottica, cui è dedicato il secondo capitolo della tesi. In seguito alla violenta repressione, da parte del governo cinese, delle manifestazioni di piazza Tian’anmen nel giugno 1989, il Pcc ha dovuto affrontare una seria crisi di legittimità che ne ha minacciato l’esistenza.
Uno degli espedienti messi a punto dall’allora presidente Jiang Zemin per riacquistare la legittimità perduta è stata la cosiddetta Campagna di Educazione Patriottica.

L’obiettivo principale era quello di infondere nel popolo cinese sentimenti patriottici che distogliessero l’attenzione dai problemi interni del paese e li dirottassero invece verso presunte minacce esterne, di fatto rendendo più facile la vita del Pcc. Il potenziamento del patriottismo era iniziato in realtà già dagli anni ’80, ma gli eventi dell’89 ne resero definitivamente necessaria l’istituzionalizzazione. Durante questi ultimi decenni la campagna non si è interrotta ma è anzi andata sviluppandosi sempre più, toccando pressoché ogni ambito della vita dei cittadini.

Punto cardine della campagna è anzitutto il rafforzamento dei corsi scolastici dedicati alla storia moderna, con particolare enfasi sull’importanza dell’unità nazionale, sul ruolo fondamentale della Cina nella sconfitta del Giappone durante la seconda guerra mondiale e, soprattutto, sulla vittimizzazione del popolo cinese. Altro importante aspetto è stato l’istituzione di Basi per l’Educazione Patriottica, siti facenti riferimento ai luoghi della storia rivoluzionaria cinese.

La pratica di visitare le basi patriottiche prende il nome di Turismo Rosso, i cui obiettivi principali sono due: lo sviluppo economico e la rigenerazione ideologica. La richiesta di politiche per un turismo di questo tipo, infatti, proveniva da due fattori esterni, la minaccia alla leadership del Pcc e l’ampio gap economico tra regioni costiere e interne: mentre le province sulla costa godevano di vantaggi grazie alle riforme di Deng Xiaoping, che le avevano rese protagoniste dello sviluppo economico, quelle interne soffrivano ancora della mancanza di molti servizi. La pratica del Turismo Rosso deve il suo successo iniziale all’espediente ingegnoso utilizzato dal governo di sostituire la parola «educazione» con il termine «turismo», nella speranza di rendere più attraenti le visite alle zone suggerite e incoraggiare un gran numero di persone ad intraprendere questo tipo di viaggi.

Le «basi patriottiche», tuttavia, non riuscivano ad attrarre nel modo sperato; le opinioni popolari rispetto alle figure da seguire come esempio cambiavano rapidamente, riflettendo l’evoluzione stessa della società e portando al passaggio da una forma di narrativa rivoluzionaria, e quindi politica, ad una di intrattenimento popolare. Questo fenomeno cui si è cominciato ad assistere, per quanto riguarda la Cina, a metà degli anni Novanta, prende il nome di disneyzzazione, e si traduce nel concreto con la costruzione di parchi a tema costituiti da giochi interattivi e spettacoli, luoghi ibridi che non hanno linee di demarcazione precise tra la sfera sociale, culturale, economica, filosofica, politica e scientifica.

Come non è difficile immaginare, non sono immuni dalla Campagna Patriottica nemmeno i media. La propaganda patriottica non rimane delimitata nei confini dei libri di testo, dei musei o delle scuole; televisione, radio e internet sono potentissimi mezzi di diffusione propagandistica. Oggi il Partito fa uso della televisione come uno dei principali strumenti diretti alle masse; questo è dato principalmente dal fatto che la maggior parte dei cinesi ha accesso a un televisore.

Come dimostrato dal caso del Turismo Rosso, gli specialisti della propaganda del Pcc hanno da lungo tempo compreso che il modo più efficace per diffondere messaggi politici tra il popolo è presentarli sotto forma d’intrattenimento.

Infine, si può dire che Internet sia diventata una piattaforma per il lavoro di propaganda del Partito. Nel 2006 il governo cinese ha aperto il sito web di Educazione Patriottica Cinese (中国爱国主义网, Zhōngguó àiguó zhǔyì wǎng, www.aicn.org), con l’intento di disseminare idee e notizie sul patriottismo. Oggi, il sito in questione non è più in uso, ma esiste un altro interessante e funzionale sito web interamente dedicato al patriottismo cinese e con gli stessi obiettivi del precedente: www.aiguowang.org.

Anche se cominciata negli anni ’90, la campagna di educazione patriottica in Cina non si è mai conclusa definitivamente; al contrario, si tratta di un progetto che prosegue nel tempo, e che si modifica di pari passo con il modificarsi della società per meglio adattarvisi. Jiang Zemin, Hu Jintao e l’attuale presidente Xi Jinping hanno sempre seguito nelle loro politiche, in un modo o nell’altro, la strada del patriottismo. Jiang Zemin ha provato a farlo implementando e diffondendo a livello nazionale la Campagna di Educazione Patriottica; Hu Jintao facendo appello alla riunificazione pacifica della Cina tra gruppi etnici, religiosi e classi sociali e incoraggiando i giovani a trasformare la loro passione patriottica in azioni concrete come lo studio e l’impegno in occasione delle Olimpiadi del 2008; Xi Jinping portando avanti il discorso del 中国梦 (Zhongguo Meng), il Sogno Cinese.

Il terzo capitolo è incentrato infine sul nazionalismo giapponese, mettendo in luce le principali differenze con quello cinese. Dopo aver ottenuto un’analisi di ampio raggio delle realtà dei due paesi e delle rispettive interpretazioni del patriottismo, lo studio si focalizza sulle relazioni bilaterali sino-giapponesi e sui motivi del loro progressivo peggioramento. La percezione che Cina e Giappone hanno prima di se stessi, e poi l’una dell’altro è un elemento di fondamentale importanza nella risoluzione delle controversie che da anni impediscono una serena riappacificazione tra le due parti. L’infinita disputa sulle isole Senkaku/Diaoyu, la questione dei libri di testo e le continue critiche ai premier giapponesi per le visite al tempio Yasukuni ne sono esempi lampanti.

L’importanza dell’analisi del crescente fervore nazionalista cinese risiede proprio nelle implicazioni che questo potrebbe avere per la politica interna ed estera del paese. Conoscere i fattori essenziali che fanno da sfondo alle persistenti controversie tra i due paesi, come l’identità nazionale e la narrativa storica, è una condizione necessaria per ipotizzare quale direzione potranno prendere i loro rapporti.

Se da una parte i cinesi sono affascinati dalla cultura e dalle tradizioni del Giappone, dall’altra non possono ignorare il peso degli avvenimenti passati. L’umiliazione subìta negli anni delle guerre è una ferita aperta che i cinesi, un po’ per la profondità del trauma e un po’ per comodità, sembrano non riuscire a superare.

Il Giappone, da parte sua, vede minacciata la propria sicurezza da una Cina sempre più in ascesa il cui rafforzamento militare e l’imponente rigenerazione ideologica incutono non poco timore. Se quindi i rapporti commerciali non sembrano essere stati particolarmente compromessi, quelli politici –nonostante sporadici riavvicinamenti- appaiono sempre in un equilibrio precario.

Se i due paesi intendono impegnarsi in un rapporto di amicizia solida, il primo passo da compiere è sicuramente quello di una sincera riconciliazione accompagnata dalla risoluzione delle controversie che da troppo tempo ostacolano la rappacificazione. Per il momento, tuttavia, il Giappone appare più pronto a scusarsi di quanto la Cina sembri disposta ad accettare le scuse.


*Eleonora M. Fanile, (eleonorafanile[at]gmail.com), è nata a Reggio Emilia l’11/10/1990. Appassionata di cultura, letteratura e politica cinese collabora con il sito www.asiaexpress.it. Nel 2013 si è laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Bologna, e nel marzo 2016 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze Internazionali presso l’Università di Torino. Ha inoltre maturato due esperienze di studio all’estero di cui una in Cina presso la Zhejiang University di Hangzhou.

**Questa tesi è stata discussa presso l’Università di Torino il 23/03/2016. Relatore: Prof. Giovanni Andornino