Si immolano in tre. La polizia: sono petizionisti

In by Simone

Tre persone si danno fuoco all’interno di una macchina, nel bel mezzo di un pomeriggio pechinese. Lo fanno nella zona della shopping, tra le centralissime Wanfujing e Chang’an, la strada che porta dritta al simbolo della capitale cinese, piazza Tian’anmen. Le autorità inizialmente non forniscono alcun dettaglio e parte immediata la ricostruzione da parte dei media stranieri, attraverso raccolte di testimonianze e congetture. Perché che si avvicinassero giorni e periodi caldi in Cina, non lo metteva in discussione nessuno, ma non era certo a Pechino che ci si aspettava il fattaccio.

Ieri infatti è iniziato il capodanno tibetano, il Losar («nuovo anno») celebrazione temuta dal governo cinese che aveva approntato piani speciali per la ricorrenza: controlli costanti, chiusura del Tibet fino a fine del mese di aprile e zone off limits per i giornalisti. I tibetani infatti avrebbero deciso di boicottare i festeggiamenti per racchiudersi invece in un silenzio di commemorazione per le vittime della rivolta di Lhasa del marzo scorso e per la repressione continua che patirebbero da parte di autorità ed esercito cinese, preoccupato per il divampare di potenziali scintille. In più quest’anno l’allerta per i cinesi è ancora più alta: a marzo infatti si celebrerà il cinquantesimo anniversario dell’esilio del Dalai Lama, leader spirituale del Tibet; tradizionalmente, proprio nei giorni di ricorrenze (spesso di altri scontri, altri morti, altre polemiche), la situazione in Tibet diventa incandescente. Alla notizia del tentato suicidio, quindi, il primo pensiero è corso alla causa tibetana.

Anche perché esistono dei precedenti non da poco: nel 1998, un profugo tibetano si suicidò dandosi fuoco a New Delhi, in India, per protestare contro «l’ oppressione» cinese sul Tibet, mentre proprio in Cina, nel 2001, cinque attivisti (una donna e quattro uomini) della setta religiosa proibita, il Falun Gong, si erano dati fuoco in piazza Tian’anmen, venendo salvati dall’intervento della polizia cinese. Sanum Wangqi è un tibetano che vive a Pechino da più di dieci anni ed è il proprietario di un negozietto vicino al tempio del Lama. Dice di non sapere cosa sia successo tanto l’anno scorso in Tibet, quanto ieri nelle vie di Pechino: «noi qui abbiamo poche informazioni di quanto succede in Tibet, o circa il Tibet. E se qualche informazione esiste, non è chiara. Quest’anno i tibetani non celebrano il capodanno, perché non c’è niente da festeggiare. In più la crisi porta altra crisi: in Tibet non ci vanno i turisti». Poi basta, che è meglio non parlare troppo con gli stranieri con un taccuino in mano, specie nella giornata di ieri.

Alcuni quotidiani di Hong Kong nel corso della giornata hanno azzardato un’altra interpretazione: un testimone avrebbe affermato che la targa della macchina all’interno della quale si sarebbe sviluppato il fuoco, era dello Xinjiang. In questo caso il gesto sarebbe da collegarsi gli uiguri, abitanti dello Xinjiang, regione del nord ovest cinese a maggioranza musulmana, da sempre teatro di attentati e scontri tra indipendentisti e cinesi. Anche in questo caso l’ipotesi sarebbe plausibile, visto l’anno terribile vissuto dagli uiguri, tra attentati e repressione, migliaia di arresti da parte del governo di Pechino, impegnato a sinizzare un’area troppo importante per risorse naturali e confini strategici. Proprio nel bel mezzo del bailamme mediatico, però, la polizia pechinese ha fornito le prime parziali ricostruzioni. Secondo l’autorità cinese alcuni poliziotti si sarebbero insospettiti nel vedere un’ automobile grigia con una targa «non di Pechino» transitare a velocità ridotta sulla Wangfujing.

Dopo aver fatto cenno al guidatore di fermarsi per un controllo, si sarebbero avvicinati e in quel momento, secondo la versione degli agenti, «all’interno della vettura si sviluppa un fuoco, che è stato rapidamente spento». Alcuni testimoni hanno parlato però di «un’esplosione» e di aver visto un uomo che zoppicava ed una donna che urlava, mentre venivano catturati dagli agenti. Due delle persone protagoniste del gesto, sarebbero state portate all’ospedale, uno sarebbe agli arresti. Si tratterebbe di due uomini e una donna di cui non sono state fornite le generalità. Di fronte a questi eventi, il flusso informativo in Cina diventa decisamente problematico. Oltre alla ricostruzione dell’accaduto, secondo le autorità cinesi sarebbe anche noto il motivo del gesto: le tre persone infatti sarebbero giunti a Pechino per presentare una petizione al governo, pratica rimasta integra fin dai tempi dell’Impero. Cittadini scontenti dei propri amministratori si recano nella capitale per presentare le proprie lamentele al governo. Spesso non sono graditi e vengono rispediti a casa o semplicemente mai ricevuti. E mentre Pechino piomba nella sua notte elettrica, non esiste ancora una versione dei fatti che permetta di collegare l’evento della giornata ad uno dei motivi di rischio per il governo pechinese, mentre la ricostruzione delle autorità non convince.

[pubblicato su Liberazione del 26 febbraio 2009]