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Shanghai, diario di una città senza frontiere

In Dialoghi: Confucio e China Files by Martina Bucolo

“Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano. Questa puntata offre la testimonianza di Martina Bucolo, docente di italiano a Shanghai. Uno spaccato su una nuova quotidianità post riapertura. 

FASE 1: Una città scarsamente popolata. Settembre – ottobre.

Spaesamento: è questa la sensazione che si ha quando si arriva. Strade ampie, grandi zone pedonali, piste ciclabili che costeggiano il fiume e centri commerciali che sfiorano le nuvole, le scale mobili dei quali collegano il terzo e il quinto  piano, saltando il quarto. Ho calpestato il suolo di Shanghai il 26 luglio. La vita scorreva abbastanza lenta, troppo per una città da 26 milioni di abitanti. Tutto andava piano, senza fretta e senza file. Sono tante le persone che sono andate via. “Gli ultimi mesi sono stati duri”, mi dicono. 

La stanchezza non la percepisco subito. I controlli ferrei che ho affrontato a Nanchino durante la settimana di quarantena vengono meno appena metto piede fuori dal treno alla stazione di Hongqiao 虹桥. Passaporto, cinque fogli per la fine della quarantena centralizzata, altri tre per l’inizio del periodo di osservazione a casa: sono questi i documenti che vengono controllati dal momento in cui lascio la mia stanza a quando arrivo a Shanghai. Ora tocca al poliziotto di turno alla stazione: spetta a lui controllare di nuovo tutto, registrarmi e accompagnarmi, come se fossi una staffetta, nelle mani del prossimo giocatore. Mi guarda e lo vedo alzare gli occhi al cielo, non ha voglia di ripetere tutta la trafila. Mi indica l’uscita e con un gesto della mano mi fa segno di andarmene. 

Resto lì a fissarlo per un attimo, poi mi dileguo velocemente prima che cambi idea. Mentre cammino continuo a chiedermi perché non abbia controllato nulla, è probabile che abbia avuto un turno di lavoro pesante. Cerco l’uscita e nel frattempo scrivo l’indirizzo dell’appartamento dove devo andare: chiamo un taxi. Sarebbe dovuto venire a prendermi un ufficiale del comitato di quartiere perché una volta conclusa la quarantena non è permesso prendere mezzi pubblici. La sera prima, però, ho ricevuto un messaggio in cui mi veniva detto di rientrare in autonomia e di comunicare quando sarei arrivata a casa. Così ho fatto.

Salgo in taxi. Io e l’autista chiacchieriamo un po’. Si chiama Song e mi scaraventa addosso 45 minuti di lamentele alle quali non so come rispondere se non annuendo e dicendo “嗯, 我知道” (eh sì, lo so.) “嗯, 那肯定受不了了” (eh certo che non ce la fate più!). Le lamentele sono varie ma hanno un denominatore comune: poche persone in giro = pochi soldi. La colpa? La gestione della politica zero covid. 

I giorni passano. Sento e vedo persone prese dallo sconforto, ma con tanta voglia di riprendere in mano la propria vita, speranzosi, nonostante tutto, che qualcosa cambierà. La città è calma. C’è gente in giro. Facciamo tamponi ogni 72 ore, i contatti stretti vengono messi in quarantena per sette giorni, dobbiamo scannerizzare i qr code per prendere i mezzi, per entrare al centro commerciale, per andare al ristorante, per vivere. A ogni passo potrebbe corrispondere un messaggio da parte del comitato che comunica l’inizio di una nuova quarantena. Sembra di giocare a mine. 

Andiamo avanti tentando di rassicurarci che la tosse della ragazza del tavolo accanto è causata dall’aria condizionata. Nessuno vuole parlare dello stress, del senso di oppressione mentale e fisica, della stanchezza e della solitudine, ma la rabbia e gli sfoghi vengono fuori quando il cameriere, prima di farci accomodare, ci chiede di scannerizzare il codice. Si va avanti così, in bilico in questo equilibrio precario di tensione e speranza. 

FASE 2: fine zero covid, inizio zero tamponi. Novembre

Tra morti a causa di mancata assistenza medica e suicidi, il cambio di rotta del governo si sta pagando caro. Iniziano a farsi strada pochi e timidi allentamenti sulle quarantene, accompagnati come di consueto da forti dubbi sull’effettiva riapertura. Sul fronte internazionale una breccia di speranza: otto giorni (non più dieci) di quarantena per chi rientra dall’estero; per l’imbarco, invece, non più due tamponi ma uno; eliminazione della sospensione del volo in caso di passeggeri positivi a bordo. 

Dall’altro lato, sul fronte interno, continuano i severi lockdown che vanno avanti da mesi. Dopo l’ennesimo incidente in cui sono morte delle persone bloccate in casa a causa dei lockdown, il malcontento esplode. È troppo. Le rivolte prendono piede in varie  città e continuano per diversi giorni finché iniziano a girare delle voci che dicono: “Da lunedì non si faranno più tamponi”, oppure “Non si dovranno più scannerizzare i qr code”. Siamo increduli. Felici e dubbiosi, allo stesso tempo: negli ultimi due anni le promesse fatte sono state tante…

FASE 3: il contagio e la ripresa. Dicembre

Il famoso lunedì, però, stavolta arriva davvero. Da un giorno all’altro spariscono i qr code in metropolitana, i camerieri non fermano più le persone all’ingresso per controllare il codice sanitario, niente più tamponi. È una svolta. È LA svolta che, dopo tre anni di chiusure, dà inizio ai viaggi interni. Milioni di persone iniziano a spostarsi tra una provincia e l’altra con la serenità di non dover correre il rischio di venir  bloccati da qualche  parte. 

Come prevedibile, nel giro di una settimana Shanghai, come molte altre città, viene avvolta da silenzio e desolazione. Centri commerciali, ristoranti e supermercati chiusi. Sono tutti a casa malati. La mia collega, che abita a due isolati da casa mia, mi chiama per chiedermi di andarle a comprare qualcosa per far scendere un po’ la febbre. Nel mio quartiere ci sono cinque farmacie ma non riesco a trovare del paracetamolo, né altro che possa essere d’aiuto. Alla terza farmacia sono incredula e anche un po’ spaventata: “Cosa faccio? Sta male. Ha la febbre alta”. “Se è troppo grave andate in ospedale”, mi dice una delle farmaciste. Si  volta e torna ai suoi conti. 

Rientro a casa a prendere la tachipirina, meno male che sono una 老外 (straniera) previdente. Qualche giorno dopo mi ammalo anche io. Tutto come da manuale: tosse, dolori muscolari, febbre e stanchezza. Devo mangiare qualcosa, apro 盒马 (Hema, una app per la spesa online) per comprare delle verdure. Non funziona. Il messaggio che appare quando provo a completare il mio ordine è: 运力不足, non c’è “forza lavoro”. Anche i fattorini si sono ammalati, quindi niente spesa online. 

Quando la febbre passa decido di andare al mercato sotto casa. Gli unici commercianti che ci sono hanno pochi prodotti e tanta tosse. Tossiscono, tossiscono senza sosta. Tossisco anche io, non mi sono ripresa del tutto ma devo pur mangiare. Compro qualcosa e torno a casa. Per strada non si muove una foglia. Mi sento la protagonista inconsapevole di un film post apocalittico. La tosse continua per diversi giorni. Ricomincia il mio tour delle farmacie che stavolta si espande anche ad altri quartieri: niente sciroppo, niente caramelle al miele o allo zenzero. Niente. Provo online. Tempo per la spedizione: due settimane (minimo). Ci rinuncio, mi tengo la tosse.

06.01.2023

È venerdì, sono le 17:30. Sono in Via Nanjing, la strada che porta al 外滩 (The Bund). Ci sono così tante persone che oggi, dopo tanto tempo, finalmente non riesco a vedere il marciapiede di fronte. Siamo ben coperti, fa freddo e nessuno vuole rischiare di (ri)ammalarsi. Tante ancora le mascherine, ma hanno un peso diverso ora. Abbiamo passato due settimane complicate, con tanta paura, senza sapere come curarci e a volte senza averne la possibilità, ma siamo felici perché abbiamo comprato i biglietti per tornare a casa, per riabbracciare amici e parenti lontani. Per viaggiare, soli o in compagnia non importa. Per attraversare il paese senza una meta o varcare il confine e poi rientrare in patria dopo 22 ore. Siamo felici perché le luci del Bund, stasera, avranno un sapore diverso.

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