Seul cede la piazza ai cristiani e la sottrae alla comunità Lgbtq

In Sociale e Ambiente by Serena Console

Dopo otto anni il gay pride sudcoreano non si terrà nella piazza principale della città, ceduta all’evento di un’emittente religiosa

Dall’estate del 2015 la Seoul Plaza nella capitale sudcoreana si è tinta dei colori della bandiera arcobaleno. In otto anni (fatta eccezione lo stop legato alle restrizioni anti-pandemiche), centinaia di cittadini si sono riuniti per celebrare l’orgoglio Lgbtq in un grande spazio verde fuori dal municipio, luogo di Seul preferito dagli organizzatori di manifestazioni ed eventi. Ma quest’anno il Seoul Queer Culture Festival, la più grande manifestazione Lgbtq del paese, non si terrà nella principale piazza della città.

GLI ORGANIZZATORI del gay pride in programma il prossimo primo luglio dovranno trovare un altro spazio. Perché l’amministrazione di Seul ha ceduto la piazza a un evento organizzato da un’emittente cristiana, la Christian Television System, per un concerto di giovani cantanti. Una decisione che ha scatenato l’indignazione dei gruppi Lgbtq, che accusano di discriminazione e omotransfobia l’amministrazione di Seul guidata dal partito conservatore People Power Party.

PER DIFENDERSI dalle critiche, il governo della città giustifica la sua scelta appellandosi a cavilli burocratici. Perché sia gli organizzatori del gay pride sia quelli dell’evento musicale hanno presentato richiesta per utilizzare lo spazio dal 30 giugno al primo luglio. L’amministrazione locale si sarebbe sentita costretta ad affidare la decisione a un comitato civico, dopo che gli organizzatori di entrambi i festival si sono rifiutati di scegliere un’altra data per l’evento. Nel prendere la decisione, il comitato ha dato priorità alla manifestazione in cui sono coinvolti bambini e adolescenti per l’alto «interesse pubblico».

SPIEGAZIONE che non getta acqua sul fuoco. I gestori del Seoul Queer Culture Festival ritengono che, dietro alla scelta del gruppo cristiano di tenere un concerto nello stesso giorno del gay pride, ci sia la volontà di impedire alle minoranze sessuali di esprimersi. Da otto anni, gli organizzatori dell’evento Lgbtq lottano per ottenere lo spazio di fronte alla sede del municipio di Seul. Anche lo scorso anno hanno incontrato non poche difficoltà, quando 15mila manifestanti sostenuti da gruppi cristiani e conservatori si sono scagliati contro i partecipanti del gay pride, urlando slogan omofobi. L’episodio dello scorso anno è solo l’ultimo di una lunga lista di eventi caratterizzati da discriminazione e repressione nei confronti della comunità Lgbtq.

NONOSTANTE la crescente accettazione sociale delle minoranze sessuali nel paese, i diritti Lgbtq sono ancora al palo. A fare da ago della bilancia è proprio la comunità cristiana, che trova terreno fertile nel parlamento sudcoreano, il Gukhoe, dove il 41% dei membri si identifica come cristiano. Ed è proprio nell’Assemblea che è fermo da oltre 15 anni un disegno di legge che criminalizza le discriminazioni contro la comunità Lgbtq, mentre sembra ancora lontana una norma per la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Seppur goda di un alto tasso di approvazione tra i sudcoreani (secondo un recente sondaggio di Gallup Korea, il 57% degli intervistati è a favore), la proposta legislativa contro i crimini di odio è la chiave spesso utilizzata dai politici conservatori per fare leva su un elettorato costituito principalmente da fedeli del cristianesimo (circa il 23% dei sudcoreani). Ma anche quando il Partito Democratico di centrosinistra era al potere, i legislatori non si sono sottratti alle pressioni dei gruppi religiosi. La legge contro le discriminazioni nei confronti della comunità Lgbtq, così come l’omosessualità, viene rappresentata come un pericolo per la comunità religiosa nazionale, perché minaccia le tradizioni cristiane, sfida l’integrità della famiglia e potrebbe corrompere le giovani generazioni.

GLI ATTIVISTI religiosi fanno battaglia anche nelle scuole per far cancellare i provvedimenti che proteggono gli studenti gay e transgender. In risposta, il ministero dell’Istruzione ha imposto che le parole «parità di genere», «minoranze sessuali» e «diritti riproduttivi» non compaiano più nei libri di testo delle scuole pubbliche e nei materiali didattici dal 2024. E così nelle scuole, in piazza e in parlamento il dibattito sui diritti Lgbtq non è nelle mani della comunità, ma in quelle dei reazionari cristiani.

[Pubblicato su il manifesto]