Senkaku/Diaoyu, un anno dopo

In by Gabriele Battaglia

Un anno fa, il Giappone comprava dal loro proprietario le isole Senkaku/Diaoyu, suscitando le reazioni irritate di Pechino. Oggi il conflitto sembra essersi insabbiato. E intanto il Global Times, quotidiano in lingua inglese molto vicino ai vertici del Pcc, scrive che dalla attuale situazione di stallo è la Cina a trarre vantaggio. L’11 settembre non è solo l’anniversario del golpe di Pinochet in Cile o dell’attacco alle torri gemelle di New York. In Estremo Oriente, è la data in cui, giusto un anno fa, il Giappone piantò la bandiera del Sol Levante sul suolo delle isole Senkaku (per Tokyo) o Diaoyu (per i cinesi).

Gli isolotti del Mar Cinese Orientale sono occupati dal Giappone da fine Ottocento (tranne che nel periodo dell’occupazione Usa postbellica, 1945-72). Tokyo le ascrive a sé in quanto ritiene che al momento dell’occupazione fossero “terra nullius” (cioè di nessuno); Cina e Taiwan le rivendicano perché sostengono che appartengano al mondo cinese per ragioni storiche antecedenti all’occupazione giapponese.

Un anno fa, il governo giapponese acquistò formalmente tre delle isole contese dal loro proprietario privato, forse per scongiurare colpi di mano ben più gravi. Un falco del nazionalismo nipponico, l’allora sindaco di Tokyo Shintaro Ishihara, aveva infatti minacciato di comprare le isole per conto del governo municipale della capitale.

L’atto unilaterale provocò tuttavia un putiferio in Cina, con manifestazioni quasi quotidiane di fronte all’ambasciata nipponica di Pechino e boicottaggio diffuso di tutto ciò che puzzasse anche lontanamente di Sol Levante (dalle automobili ai ristoranti).

La crisi è a oggi irrisolta, ma negli ultimi mesi si è gradualmente insabbiata, probabilmente per volontà delle stesse diplomazie coinvolte, che hanno indubbiamente meglio da fare che scannarsi per isolotti semisperduti nel Mar Cinese Orientale. Ogni tanto, qualcuno soffia sul fuoco del nazionalismo soprattutto per ragioni di politica interna o per marketing personale.

Ed ecco l’ottantenne Ishihara, che è attualmente leader del Partito della restaurazione giapponese (all’opposizione) e che torna oggi alla carica: in un intervista sulle pagine dell’Asahi Shimbun dichiara infatti che il Giappone dovrebbe costruire un faro sulle isole, per proteggere i pescatori, e che sarebbe stato meglio se alla fine le Senkaku le avesse comprate il governo municipale e non quello centrale. Infatti – sostiene – il fatto che la vicenda si sia trasformata in una contesa diplomatica tra due nazioni ha provocato una situazione di stallo. Se invece fosse stato lui a comprarle, in quanto sindaco, che diavolo avrebbe potuto dire e fare la Cina?

La provocazione potrebbe sfociare nell’ennesima escalation, ma l’impressione è che la Cina non ne abbia granché voglia. Un editoriale del Global Times – la versione pop del Quotidiano del Popolo – tira le somme di un anno vissuto pericolosamente sostenendo in sintesi che la situazione di conflitto latente ha danneggiato sia Cina sia Giappone: ma a Tokyo è andata peggio.

Il ragionamento è un capolavoro di sottigliezza e va quindi riportato per bene. “Il Giappone ha fallito nel suo tentativo di consolidare un effettivo controllo sulle isole Diaoyu”, si legge. E inoltre, “dal momento che sta diventando sempre più dipendente dall’economia cinese, tale situazione di stallo logora la resistenza strategica del Giappone e comporta maggiori preoccupazioni per Tokyo”.

In pratica, il punto morto diplomatico favorirebbe la Cina, piuttosto che il Giappone. Non manca un messaggio a nuora perché suocera intenda. “La Cina ha fissato come suo più grande obiettivo di sviluppo la realizzazione di una crescita pacifica. Ma questo progetto è stato contrastato e combattuto da altre potenze, come il Giappone e gli Stati Uniti. Le isole Diaoyu sono già diventate la valvola di sfogo con cui queste potenze esprimono ostilità e risentimento contro la Cina. Ma la Cina è riuscita a controllare questa valvola di sfogo, replicando con azioni efficaci”.

Difesa e contropiede ma, soprattutto, addormentare la partita: “L’aumento della prosperità economica e il sostegno popolare alla sua politica verso il Giappone legittimano la Cina a proseguire nella situazione di stallo, se è necessario. Allo stesso tempo, il confronto continuo renderà il Giappone sempre più dipendente dagli Stati Uniti, che non potranno fare altro che imporre una pressione limitata sulla Cina. Questo tipo di ‘confronto freddo’ probabilmente continuerà. Ma ciò che conta davvero è che la Cina ha assunto l’iniziativa”, e quindi – si dice – gli sforzi del Giappone per accerchiarla saranno vani.

Questo editoriale può essere letto in due chiavi.
Primo. La Cina lancia un messaggio di appeasement rispetto alla isole contese: non tirate troppo la corda, che per quanto ci riguarda non abbiamo nessuna voglia di altre escalation.
Secondo. S’odono echi di Laozi e Sun Tzu: “Agire senza agire”; “sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità”.

Le due non si escludono. La strategia cinese del trarre beneficio dalla situazione di stallo è all’opera.
A patto che si tenga anche conto del messaggio implicito: che qualcuno metta la museruola a Ishihara.

[Scritto per Lettera43; foto credits: voanews.com]